venerdì 15 agosto 2014

Balkane moj

Jajce, Bosnia, tra i fiumi Vrbas e Pliva

Con il pretesto di evitare ingorghi autostradali al demenziale casello autostradale di Trieste-Lisert, detto "L'imbuto", ed eventuali code alla frontiera sloveno-croata, che delimita l'Area -Schengen, durante il fine settimana più affollato d'agosto, ho anticipato di qualche giorno la partenza verso la mia consueta settimana di "svacco totale" in riva al mare nell'amata Dalmazia arrivando a destinazione, fra Traù e Spalato, dopo aver attraversato tutta la Bosnia Erzegovina. Ingresso da Bosanska Gradiska, un centinaio di chilometri a Sud-Est di Zagabria fino a Banja Luka, capitale di una delle due principali entità in cui è suddivisa lo Stato in seguito agli Accordi di Dayton, la Republika Srpska, percorrendo la verde, sinuosa, boscosa e bellissima vallata del fiume Vrbas, gonfio al limite dell'esondazione (ma questa zona si è salvata dalle alluvioni che hanno colpito il Paese in maggio) fino alla suggestiva città fortificata di Jajce, alla confluenza col Pliva, già parte della Federazione (croato-musulmana) e poi, via Travnik, altra splendida e storica cittadina nonché patria di Ivo Andrić (Nobel per "Il ponte sulla Drina", quando quel premio godeva ancora del massimo prestigio) verso Sarajevo, mon amour


Sarajevo, la Miljačka nella città vecchia


Dove sono tornato dopo sette anni di assenza, che ho visto la prima volta ancora nei primi anni Sessanta da bambino e che da allora è sempre rimasta nel mio cuore. Una città, come Belgrado, dove ho soggiornato di recente e altre, sempre più rare, che conservano un'anima e sopravvivono anche alle prove più difficili, compreso l'assedio, durato quasi quattro anni, dal 5 aprile del 1992 al 29 febbraio del 1996, che ha minato la sua caratteristica peculiare di capitale multietnica, multireligiosa e multiculturale, ma senza riuscire a distruggerla. Sarajevo si è ricostruita in questi anni (di recente sono finiti i lavori di recupero della ex Biblioteca Nazionale Universitaria, oggi sede del Municipio) anche se sono visibili ovunque i segni di granate e pallottole nonché ruderi di palazzi divelti, ma per quanto riguarda la vita quotidiana ha ripreso e scorrere come da sempre, e si parla di qualche migliaio di anni, in un luogo che, per la sua collocazione, è stato sede di insediamento umano da che se ne abbia memoria e le ferite pian piano si stanno rimarginando e la sua verve, il suo carattere, hanno subito ripreso il sopravvento: la rassegnazione, da queste parti, è sconosciuta. Ora Sarajevo è tornata ad essere, com'è sempre stata, anche meta di un vivace turismo ma, come tutte le città che hanno conservato, come dico io, un'anima, lo assorbe senza farsene sopraffare (a differenza della vicina Mostar, almeno nella sua parte "cristiana": tralascio ogni accenno a Venezia, Firenze, Roma e Milano per carità di patria), e anche questo testimonia della sua forza. 


La parte più "islamica" e autentica di Mostar, dallo Stari Most


Per concludere questo breve soggiorno nel cuore dei Balcani, un passaggio in Erzegovina e, come accennavo, a Mostar, che comunque, a distanza di sicurezza dallo Stari Most e nella sua parte più genuinamente musulmana, conserva i suoi ritmi lenti e le sue caratteristiche più autentiche, e poi verso la costa dalmata lungo la valle della verdissima Neretva il suo fiume (la Narenta dei veneziani), con sosta d'obbligo a Počitelj, altra cittadina fortificata rimasta miracolosamente intatta, fino alla zona del suo florido e ricchissimo delta che si apre dopo Metković sboccando nell'Adriatico a Nord di Dubrovnik. E ora sole, mare e ozio a volontà alla faccia dei monsoni autunnali nella Padania e dintorni!


La Neretva dal borgo fortificato di Počitelj, Erzegovina

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