"Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie" (Dawn of the Planet of the Apes) di Matt Reeves. Con Andy Serkis, Jason Clarke, Gary Oldman, Keri Russell, Toby Kebbell e altri. USA 2014 ★★★★
I blockbuster, e questo film senz'altro è stato girato per esserlo e ha raggiunto lo scopo, riempiendo le sale anche in piena estate, proprio per il profluvio di mezzi con cui sono prodotti vanno a mio parere giudicati con parametri diversi e più severi rispetto a quelli usati per i film normali e ancor più a basso budget. Viene in mente Berlusconi: buoni tutti a fare televisione (e, sostiene il personaggio, "impresa") investendo soldi altrui, ottenendo concessioni pubbliche a titolo pressoché gratuito, senza concorrenza; un altro paio di maniche è fare un buon prodotto. Nel caso del piazzista brianzolo, il risultato è una televisione di merda. Vale lo stesso discorso per il cinema: si possono investire quattrini a profusione per produrre film inguadrabili, come C'era una volta a New York, probabilmente la peggiore porcheria vista in questa stagione, oppure mediocri e deludenti come Zero Dark Dirty e Prometheus. Apes Revolution mantiene le promesse: è spettacolare; pur facendo largo uso del computer appare molto reale, come verosimile è la trama, perché che un virus creato in laboratorio possa sfuggire al controllo e infettare, uccidendola, gran parte dell'umanità e, al contempo, potenziare le attitudini degli animali su cui viene sperimentato non è per nulla fantascientifico; si basa su una sceneggiatura semplice ma solida; non antropomorfizza eccessivamente le scimmie che, come nella realtà, sono diverse ma simili a noi, e distribuisce il "bene" e il "male" equamente; per meglio dire, affronta efficacemente la questione del perché il male sia inevitabile anche con le migliori intenzioni, e vi siano situazioni in cui non è così facile operare una distinzione. Sicuramente è un film razionalmente pacifista e, in quanto tale, pessimista. Il dialogo può esistere, certo, tra diversi, ma la sete di potere avrà alla fine il sopravvento, con gli inevitabili strascichi di violenza, distruzione, odio che ne derivano. Qui siamo a dieci anni di distanza dall'episodio precedente, quando dopo una battaglia durissima sul Golden Gate le scimmie di laboratorio "potenziate" dal virus che veniva testato su di loro fuggirono da San Francisco per rifugiarsi in una foresta di sequoie. Nel frattempo hanno sviluppato una società preindustriale pacifica ed efficiente, convinte che gli umani non esistano più. Ma piccolissime comunità di costoro, formate da persone naturalmente immuni, sopravvivono, una di esse proprio a San Francisco, e alcuni suoi emissari entrano in contatto con le scimmie perché vorrebbero raggiungere e rimettere in funzione una vecchia centrale idroelettrica (dismessa a suo tempo a vantaggio dell'energia nucleare) che si trova nel loro territorio. Da questo incontro nascono due spaccature speculari nei due fronti, tra chi vuole dialogo e pace e chi la guerra per soddisfare desiderio di vendetta e di sopraffazione: tra i primi Cesare, il condottiero delle scimmie nato e cresciuto tra gli umani, e Malcolm, uno scienziato; dall'altra Koba, una scimmia guerriera a suo tempo atrocemente torturata dagli umani e il guerrafondaio a capo della difesa dell'insediamento umano. Avranno la meglio le scimmie - anche in previsione del sequel e per fedeltà alla vicenda -, ma avranno perso per sempre l'innocenza. Oltre al lavoro a computer, agli effetti speciali e alla sempre più perfetta interpretazione in "motion capture", specializzazione dell'ottimo Andy Serkis (bisogna davvero essere bravi attori per recitare solo con occhi e mimica), ciò che funziona è il mix di generi, perfettamente calibrato: si va da quello "pandemico" al post-apocalittico, a quello di guerra, fondendo sequenze panoramiche mozzafiato e primi piani estremamente efficaci. Convincente e soddisfacente. Ave Cesare e alla prossima!
I blockbuster, e questo film senz'altro è stato girato per esserlo e ha raggiunto lo scopo, riempiendo le sale anche in piena estate, proprio per il profluvio di mezzi con cui sono prodotti vanno a mio parere giudicati con parametri diversi e più severi rispetto a quelli usati per i film normali e ancor più a basso budget. Viene in mente Berlusconi: buoni tutti a fare televisione (e, sostiene il personaggio, "impresa") investendo soldi altrui, ottenendo concessioni pubbliche a titolo pressoché gratuito, senza concorrenza; un altro paio di maniche è fare un buon prodotto. Nel caso del piazzista brianzolo, il risultato è una televisione di merda. Vale lo stesso discorso per il cinema: si possono investire quattrini a profusione per produrre film inguadrabili, come C'era una volta a New York, probabilmente la peggiore porcheria vista in questa stagione, oppure mediocri e deludenti come Zero Dark Dirty e Prometheus. Apes Revolution mantiene le promesse: è spettacolare; pur facendo largo uso del computer appare molto reale, come verosimile è la trama, perché che un virus creato in laboratorio possa sfuggire al controllo e infettare, uccidendola, gran parte dell'umanità e, al contempo, potenziare le attitudini degli animali su cui viene sperimentato non è per nulla fantascientifico; si basa su una sceneggiatura semplice ma solida; non antropomorfizza eccessivamente le scimmie che, come nella realtà, sono diverse ma simili a noi, e distribuisce il "bene" e il "male" equamente; per meglio dire, affronta efficacemente la questione del perché il male sia inevitabile anche con le migliori intenzioni, e vi siano situazioni in cui non è così facile operare una distinzione. Sicuramente è un film razionalmente pacifista e, in quanto tale, pessimista. Il dialogo può esistere, certo, tra diversi, ma la sete di potere avrà alla fine il sopravvento, con gli inevitabili strascichi di violenza, distruzione, odio che ne derivano. Qui siamo a dieci anni di distanza dall'episodio precedente, quando dopo una battaglia durissima sul Golden Gate le scimmie di laboratorio "potenziate" dal virus che veniva testato su di loro fuggirono da San Francisco per rifugiarsi in una foresta di sequoie. Nel frattempo hanno sviluppato una società preindustriale pacifica ed efficiente, convinte che gli umani non esistano più. Ma piccolissime comunità di costoro, formate da persone naturalmente immuni, sopravvivono, una di esse proprio a San Francisco, e alcuni suoi emissari entrano in contatto con le scimmie perché vorrebbero raggiungere e rimettere in funzione una vecchia centrale idroelettrica (dismessa a suo tempo a vantaggio dell'energia nucleare) che si trova nel loro territorio. Da questo incontro nascono due spaccature speculari nei due fronti, tra chi vuole dialogo e pace e chi la guerra per soddisfare desiderio di vendetta e di sopraffazione: tra i primi Cesare, il condottiero delle scimmie nato e cresciuto tra gli umani, e Malcolm, uno scienziato; dall'altra Koba, una scimmia guerriera a suo tempo atrocemente torturata dagli umani e il guerrafondaio a capo della difesa dell'insediamento umano. Avranno la meglio le scimmie - anche in previsione del sequel e per fedeltà alla vicenda -, ma avranno perso per sempre l'innocenza. Oltre al lavoro a computer, agli effetti speciali e alla sempre più perfetta interpretazione in "motion capture", specializzazione dell'ottimo Andy Serkis (bisogna davvero essere bravi attori per recitare solo con occhi e mimica), ciò che funziona è il mix di generi, perfettamente calibrato: si va da quello "pandemico" al post-apocalittico, a quello di guerra, fondendo sequenze panoramiche mozzafiato e primi piani estremamente efficaci. Convincente e soddisfacente. Ave Cesare e alla prossima!
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