Vathi, penisola di Mani |
Avevo pronosticato, lo ammetto con un’abbondante
dose di scaramanzia, una vittoria di Nea Demokratia alle elezioni-bis tenutesi
ieri in Grecia e ho sperato fino all’ultimo di essere smentito, ma non posso
considerare che una vittoria quella di Syriza, per cui facevo il tifo, che ha
incrementato il suo bottino del 10% rispetto alle votazioni del 6 maggio, al
27%, che piazza l’alleanza della sinistra radicale ed ecologista alle spalle
del partito conservatore, che si è avvalso del premio di maggioranza di 50
seggi al partito che arriva primo. Così come considero una vittoria l’ulteriore
batosta dubita dal Pasok, ridotto, putr di stare attaccato al potere, a fare da stampella a un probabile governo
Samaras auspicato dal partito delle banche impersonato in Europa da personaggi
come Angela Merkel e Mario Monti. Vedremo se sarà una vittoria del blocco "finanziario" e se Antonis Samaras, leader di Nea
Demokratia che ha appena ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo, potrà
evitare di chiedere la revisione del “patto di salvataggio” imposto dalla
triade UE-BCE-FMI. E non solo nel senso di una dilazione temporale, come
arrogantemente ha subito tenuto a precisare il ministro degli Esteri tedesco
Westerwelle, ma anche nella sostanza. Che è poi quel che, legittimamente, ha
sempre sostenuto Alexis Tsipras, anche con un articolo sul Financial Times, il
quale è stato censurato dai media locali come stranieri asserviti al partito finanziario-bancario quando non gli hanno messo in bocca inesistenti propositi di
uscita dall’euro. Hanno invece dato fiato, TV e giornali, qui in Grecia
equamente suddivisi tra Nea Demokratia e Pasok, alla diffamazione e
all’allarmismo: particolarmente disgustoso nella sua arroganza è risultato Evangelos Venizelos, erede del partito familista e pseudosocialista di Papandreu, quello maggiormente
responsabile, fin dagli anni Ottanta, del malgoverno del Paese, della
corruzione e dell’infiltrazione ovunque dei partiti. Né più né meno il metodo
di governo del partito fratello italiano ancora esistente a quei tempi, il PSI
di Bottino Craxi, il cui posto nell’opera di distruzione del Paese è stato
preso con successo, come sappiamo, dalla Banda Berlusconi a destra e
dall’attuale PD sull’altro versante (si fa per dire), di cui auspico una
altrettanto rapida e definitiva sparizione. Anche oggi, questo emerito stronzo
si è permesso di stigmatizzare il rifiuto di Syriza di partecipare a un governo
di unità nazionale che, dalla base di un miserabile 13% scarso di voti, si è
sentito autorizzato a chiedere. Non resta che stare a vedere. Un po’ di
delusione, tra i miei interlocutori che votavano Syriza ieri sera e stamattina c’era, perché al
colpaccio si è andati vicinissimi, però non ho visto nessuno rassegnato.
Intanto sono giunto all’estrema punta Sud della Grecia continentale e del mio
attuale viaggio, a quel Capo Matapan (o Tenaro) fatale alla Marina italiana nel
marzo del 1941. Si trova all’estremo meridionale della penisola del Mani,
quello medio delle tre dita del Peloponneso. Il Mani misterioso, duro, pietroso,
rifugio degli ultimi spartani e sempre irriducibile nei confronti dell’Impero
Ottomano e in prima fila nella guerra d’indipendenza greca. Terra complessa, di
povertà estrema, di villaggi turriti e di faide, che ricorda l’Aspromonte o la
Barbagia, splendidamente descritta nel memorabile libro che Patrick Leigh
Fermor, autentico precursore di Bruce Chatwin, gli ha dedicato nel 1958 e che
mi accompagna piacevolmente nell’occasione.
Marmaris, presso Capo Matapan (Mani, Peloponneso) |
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