"Molto forte, incredibilmente vicino" (Extremely Loud and Incredibly Close) di Stephen Daldry. Con Thomas Horn, Tom Hanks, Sabdra Bullock, Max von Sydow, Viola Davis. USA, 2012. ★★★
Non ho letto l'omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, la cui costruzione e scrittura mi dicono alquanto complessa, originale e articolata, e non sono quindi in grado di esprimere un parere sulla riuscita del film rispetto al libro, però la pellicola mi pare funzioni egregiamente rispetto a una trama che ha come filo conduttore l'11 settembre del 2001 con l'attacco al World Trade Center di New York, ma che si snoda su diverse linee. Protagonista assoluto il quindicenne Thomas Horn che interpreta in maniera strepitosa Oskar Shell, un bambino di nove anni "strano", affetto da sindrome di Asperger, quindi "speciale" e pieno di fobie, che trova una maniera particolare per elaborare il lutto per la perdita dell'adorato padre (Tom Hanks), rimasto vittima del crollo delle Torri Gemelle, e lo fa andando a caccia delle sue tracce attraverso una chiave che trova nel guardaroba e lo induce a cercare quale serratura possa aprire rintracciando tutti gli oltre 400 "Black", questo il nome sulla busta che la conteneva, che abitano nella città. Impresa che inizia da solo per poi farsi aiutare dal fantomatico inquilino della nonna, il quale si esprime solo per mezzo di biglietti dopo lo shock subito durante il bombardamenti di Dresda nella Seconda Guerra Mondiale, città d'origine della famiglia e che si scoprirà essere il nonno di Oskar (Max von Sydow), che a sua volta aveva avuto paura di riconoscere il proprio figlio. Un film sulla paura, alla fine, e sui sensi di colpa che prova anche Oskar, per non aver risposto alle telefonate sempre più disperate del padre che si trovava nelle Torri al momento dell'attentato, limitandosi ad ascoltare i suoi messaggi nella segreteria telefonica e anche sulla necessità di affrontare il dolore. La madre, Linda (Sandra Bullock per una volta convincente) all'inizio del film sembra assistere alle ricerche ossessive del figlio con una rassegnazione che rasenta l'indifferenza, e di assenza la accuserà con durezza Oskar, ma si scoprirà che delle intenzioni e della maniacale ricerca delle tracce del padre da parte del figlio era al corrente fin dal principio e anzi ne preparava il terreno, e in questo assecondarlo apparentemente passivo in un percorso che poi è quello di crescita e di accettazione anche del dolore, in cui consiste il vero compito del genitore e che non è per niente facile da raccontare, sta a mio parere la parte migliore del film, girato comunque con mano sicura e che non eccede oltremodo in retorica e sentimentalismi, cui le vicende e la tragedia che sta sullo sfondo pure si prestano.
Non ho letto l'omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, la cui costruzione e scrittura mi dicono alquanto complessa, originale e articolata, e non sono quindi in grado di esprimere un parere sulla riuscita del film rispetto al libro, però la pellicola mi pare funzioni egregiamente rispetto a una trama che ha come filo conduttore l'11 settembre del 2001 con l'attacco al World Trade Center di New York, ma che si snoda su diverse linee. Protagonista assoluto il quindicenne Thomas Horn che interpreta in maniera strepitosa Oskar Shell, un bambino di nove anni "strano", affetto da sindrome di Asperger, quindi "speciale" e pieno di fobie, che trova una maniera particolare per elaborare il lutto per la perdita dell'adorato padre (Tom Hanks), rimasto vittima del crollo delle Torri Gemelle, e lo fa andando a caccia delle sue tracce attraverso una chiave che trova nel guardaroba e lo induce a cercare quale serratura possa aprire rintracciando tutti gli oltre 400 "Black", questo il nome sulla busta che la conteneva, che abitano nella città. Impresa che inizia da solo per poi farsi aiutare dal fantomatico inquilino della nonna, il quale si esprime solo per mezzo di biglietti dopo lo shock subito durante il bombardamenti di Dresda nella Seconda Guerra Mondiale, città d'origine della famiglia e che si scoprirà essere il nonno di Oskar (Max von Sydow), che a sua volta aveva avuto paura di riconoscere il proprio figlio. Un film sulla paura, alla fine, e sui sensi di colpa che prova anche Oskar, per non aver risposto alle telefonate sempre più disperate del padre che si trovava nelle Torri al momento dell'attentato, limitandosi ad ascoltare i suoi messaggi nella segreteria telefonica e anche sulla necessità di affrontare il dolore. La madre, Linda (Sandra Bullock per una volta convincente) all'inizio del film sembra assistere alle ricerche ossessive del figlio con una rassegnazione che rasenta l'indifferenza, e di assenza la accuserà con durezza Oskar, ma si scoprirà che delle intenzioni e della maniacale ricerca delle tracce del padre da parte del figlio era al corrente fin dal principio e anzi ne preparava il terreno, e in questo assecondarlo apparentemente passivo in un percorso che poi è quello di crescita e di accettazione anche del dolore, in cui consiste il vero compito del genitore e che non è per niente facile da raccontare, sta a mio parere la parte migliore del film, girato comunque con mano sicura e che non eccede oltremodo in retorica e sentimentalismi, cui le vicende e la tragedia che sta sullo sfondo pure si prestano.
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