KASTRAKI (METEORE) - Duplice è
stata la motivazione che mi ha spinto ad attraversare in una sola tirata, nella
giornata di domenica scorsa, da Nord a Sud tutti i Balcani (senza nemmeno una
sosta nell’amata Serbia) per arrivare in Grecia: una cognitiva, per non essere
mai stato, salvo Atene, nella parte continentale del Paese; l’altra politica, e
proprio nella settimana delle decisive elezioni-bis, che si terranno domenica
17: mi è sembrato doveroso portare la mia fattiva solidarietà al popolo ellenico, in forma di testimonianza ma
anche concretamente, prendendo il posto, in termini di entrate per le
disastrate casse del Paese, di almeno un turista tedesco che latiterà
quest’estate. Diciamo due, considerando quanto quello “tipo” lesini
abitualmente sul quattrino. Passato il confine con la Macedonia, attraversata
l’omonima provincia greca verso Sud, tagliando fuori Salonicco e, più a Est, la
Tracia, mi sono fiondato direttamente in Tessaglia, alle Meteore. Tra i
pinnacoli che spuntano dalla pianura e i relativi scoscesi dirupi, si coglie e
vive un’atmosfera surreale, e le scarpinate per salire ai monasteri che li
costellano finiscono per rappresentare una sorta di esperienza mistica. Da quel
che mi avevano raccontato amici che ci erano stati e quel che avevo letto in
proposito, sapevo che mi sarei trovato davanti a qualcosa di straordinario.
Ciononostante, sono rimasto attonito e incantato. Se c’è qualcosa che detesto
sono le salite, e si sa che per raggiungere qualcosa che vale la pena bisogna
faticare: un’esperienza che negli ultimi tempi mi è capitato di fare spesso,
quella dell’ascensione, per esempio ai templi birmani (e oggi scalando il
monastero della Santa Trinità mi è tornato alla mente quella del Monte Popa),
ma che per visitare i monasteri aperti al pubblico delle Meteore ho ripetuto
volentieri, anche sotto il sole cocente di questi giorni. Per verificare che,
per quanto siano straordinari e mozzafiato visti dall’esterno (basta pensare a
dove e cine siano stati costruiti), il loro autentico tesoro si cela
all’interno, nei meravigliosi affreschi che adornano i “katholikón”, le chiese
principali cuore dei monasteri ortodossi: un tripudio, ove sono illustrati
episodi interi dei vangeli e della tradizione cristiana, vere e proprie
biblioteche visive. Pochi turisti in giro (dei tedeschi che avevano disdettato
in massa le prenotazioni si sapeva da qualche mese), e quei pochi sono nella
stragrande maggioranza dei casi russi, che si muovono generalmente in comitiva.
Era raccapricciante lo spettacolo offerto, in visita a questi monasteri per
definizione eterei, dalle frotte di beghine russe che, sotto la guida di una sorta
di predicatore laico invasato,
infervorate, si producevano in baci lascivi e salivosi a ogni sorta di icona di
un santo influente: roba da far
rimpiangere quelle polacche in visita a Roma nei primi anni del papato di
Woityla. Quando non slinguazzano le immagini dei santi protettori, i russi si
dilettano nella fotografia. A differenza degli altri orientali con gli occhi a
mandorla, che immortalano ogni panorama od oggetto che a loro sembra
inconsueto allo scopo, magari, di riprodurlo, i russi, e le russe in
particolare, usano la macchina fotografica esclusivamente per ritrarre sé
stessi, producendosi in pose pacchianamente esilaranti, e il luogo dove si
trovano è preso in considerazione, se tutto va bene, esclusivamente come sfondo scenografico,
che se fosse di cartapesta sarebbe uguale. Come se non bastassero quelli in
torpedone, ci sono pure russi che si muovono con mezzi propri, generalmente
SUV, con targa della repubblica putiniana; tra quelli che prendono auto a
noleggio, finora ho visto più americani (nel senso di yankee) che europei, e più asiatici che tedeschi.
A un
primo impatto la Grecia non sembra quel Paese in crisi di cui parlano i
giornali nostrani: a Florina e Kastroria, centri medio-grandi della Macedonia
greca, ho visto animazione, attività, gente sorridente e apparentemente
spensierata. Una cosa che mi ha stupefatto sono i bancomat che dispensano fino
a 1000 € in contante: impensabile nella Terra dei Cachi, dove si fa di tutto,
con la avvilente collaborazione dei nesci pseudo progressisti e moralizzatori
ottusi, per limitare l’uso che del denaro fa la gente comune e renderlo "tracciabile" (i
“sopracciò” e gli ideatori società di scatole cinesi non hanno certo di questi
problemi). Se però si guarda bene, si osserva che i nuovi, rutilanti locali per
“gggiòvani” e turisti d’accatto, uguali dappertutto, sono vuoti: quando va
bene qualche ragazzo sorseggia per ore degli improbabili beveroni a base di finto caffè e nient’altro; le popolari taverne sono semideserte, di turisti così come
di indigeni, tradizionalmente ben
disposti a uscire per pranzo e cena. Resistono i “kafeníon”, ma occorre
precisare che un caffè servito al tavolo qui costa 50 centesimi di euro, e un
bicchiere di vino o di ouzo raramente superano l’euro. E l’arte sta nel farli
durare per ore, anche se nessuno da queste parti si sognerebbe di farti
sloggiare. Della campagna elettorale, almeno nei piccoli centri, si coglie
poco: gli unici a essere presenti nelle strade, a parlare con la gente e a
distribuire il proprio materiale, sono quelli di Syriza, la coalizione della sinistra radicale ed
ecologista, i veri vincitori delle scorse elezioni e che potrebbero diventare
il primo partito, incaricato quindi di formare il futuro governo, dopo quelle di domenica
prossima. E non a caso Syriza è al centro di una campagna diffamatoria che ha
consistenti appoggi 2500 chilometri a Nord. A Berlino e nelle sue succursali,
per capirci. Ho visto finora tre sedi del Pasok, giocattolo nelle sciagurate mani della famiglia Papandreu, tutte invariabilmente chiuse, e
nemmeno una di Nea Demokratia,
il partito di destra creato dalla corrispettiva dinastia Karamanlis; dei neonazisti di Alba
Dorata non ho avuto finora
fortunatamente, percezione. Ma esiste. Per il resto i politici locali impazzano nei programmi televisivii: dei cui discorsi, opportunamente sottotitolati in greco, non si
capisce un accidente. Per cui non rimane che affidarsi alla fisiognomica, e
dalle facce che si vedono campeggiare sui teleschermi, l’unica intelligente,
ironica, colta e, in una parola, presentabile, è quella di Alexis Tsypras,
lleader di Syzira. Io tifo
per lui. Mi auguro anche la maggioranza dei greci che andranno alle urne.
Come essere nel "posto giusto, al momento giusto".
RispondiEliminaDue cose trovo indicative e insieme inquietanti: le comitive di beghine russe che baciano le icone dei santi e gli yankee che noleggiano auto: che ci fanno lì?
Restando sulle metafore, sembrano avamposti di una contesa occupazione prossima futura, fra Putin e Obama.
Syriza, se vince, dovrà fare molta attenzione a chi si compra qualcosa in Grecia.
Svalutata, potrebbe finire che le Meteore diventino il preossimo parco giochi disneyano della mafia russa o la piattaforma di lancio nucleare della potenza militare americana.
Occhio!