venerdì 26 ottobre 2007
Memoria di un massacro
BUENOS AIRES -
Chiusa con la giornata di ieri la campagna elettorale, senza fuochi
d'artificio salvo il tentativo in extremis di rendere simpatica e
popolare Dona Cristina Kirchner corteggiando i media, e terminati anche i
temporali primaverili che hanno imperversato nel pomeriggio, splendida
giornata di sole e passeggiata lungo tutto Puerto Madero, l'ex zona
portuale SUR con i suoi quattro storici bacini, trasformato in quartiere di lusso sotto la regia di Sir Norman Foster. Un po' troppo leccato,
per i miei gusti, discutibile la scelta di farne una enclave
residenziale, ma un bel lavoro di riqualificazione che a mio parere è
all'altezza di quelli effettuati a Barcellona, Amburgo e Londra. Da lì, a
piedi, al Centro Cultural Recoleta (e non è esattamente una
passeggiata, per chi conosce Buenos Aires), aperto proprio in fianco al
famoso cimitero dove riposano le spoglie di Evita Perón. A cui questa
volta mi sono rifiutato di rendere omaggio, perché comunque meta di
torme di turisti in braghette corte. "Santa Evita" ha beneficiato ancora
una volta un quartiere già abbastanza ricco di suo, che da qualche
anno si è riempito di locali ipermoderni, cool, come si dice, ossia modaioli, ma anche cool se non chilled
per via della temperatura polare da condizionatore abbinata alle
ambientazioni glaciali. E al cibo di plastica. Alla larga, dunque. Al
Centro Culturale, invece, la mostra "spazio(des)aparecidos de centros clandestinos de detención para la memoria",
coproduzione dell'associazione H.I.J.O.S. (i figli dei desaparecidos), e
di Progetto Sur (una ONLUS italiana) con il sostegno della Cooperazione
Italo-Argentina, già presentata qualche tempo fa a Roma. Si tratta di
foto scattate all'interno dei centri clandestini di detenzione, di cui
si è avuto notizia e l'ubicazione anche parecchi anni dopo la fine della
dittatura genocida (1983), una volta che ne è stato reso possibile
l'accesso. Al suo interno, la sezione "Rostros, fotos sacadas de la ESMA",
ossia le fotografie che Victor Basterra, un'internato nel principale
campo di tortura, la Escuela Mecánica de la Armada, appunto, in pieno
centro, e uno dei pochi a scampare alla desapareción, era
riuscito a trafugare. Grafico e fotografo, iscritto al sindacato
peronista CGT, fu sequestrato il 10 agosto del 1979 insieme alla moglie e
alla figlia di due mesi, rilasciate però dopo una settimana. Lui fu
trattenuto, portato alla ESMA, torturato, ma presto, per le sue
competenze e capacità, fu assegnato al gabinetto di falsificazione
documenti dei militari. Quando avevano bisogno di una identità falsa
(capitava spesso, in previsione delle ricorrenti "operazioni di
pulizia"), essi gli chiedevano quattro fotografie: lui ne stampava
cinque (restituendo i negativi, per non destare sospetti) e ne
tratteneva una, che nascondeva nelle casse dove era conservata la carta
fotosensibile, e che quindi non venivano mai aperte in occasione delle
perquisizioni di rito. Dato che per il suo incarico delicato godeva di
un trattamento di favore, e qualche volta lo facevano tornare a casa "non per una forma di bontà - dice oggi - ma perché alla mia famiglia fosse chiaro che non dovesse denunciare la mia sparizione",
in tali occasioni trafugava le fotografie in più occultandole nelle
mutande. Ed è stato anche grazie ad esse che alcuni torturatori sono
stati inchiodati. Liberato il 3 dicembre del 1983, soltanto una
settimana prima che il presidente democraticamente eletto, Alfonsín,
assumesse la carica, naturalmente sotto minacce di morte se avesse
rivelato qualcosa, riuscì a "salvare" anche delle foto di desaparecidos,
tra cui la sua stessa, che gli aguzzini stavano bruciando insieme ad
altre "prove". Oggi è chiaro e riscontrato che i militari avessero un
piano ben preciso e preordinato di eliminazione tolate della futura
classe dirigente: 30 mila tra militanti, sindacalisti, intellettuali e
studenti impegnati nelle lotte sociali e politiche degli anni Sessanta e
Settanta e non, si badi, "guerriglieri", se non in minima parte,
spariti nel nulla. Ed è altrettanto evidente che si trattasse di un
regime economico e sociale prima ancora che politico, fondato su un
capitalismo sfrenato e l'accumulazione da rapina di ricchezza a
discapito delle classi più deboli. Siccome si trattava di demonizzare
l'oppositore, creando ad arte la figura istituzionalizzata del sovversivo, e
la conseguenza era quella di negargli sia l'identità sia la stessa
umanità, è ancora più importante oggi personalizzare e umanizzare la
figura del desaparecido, rendendola, al contrario, visibile:
altro che "voltare pagina", come suggeriscono gli ignavi. Dice oggi uno
degli "Hijos", i bambini figli di desaparecidos "rubati" e adottati da
famiglie di militari e che sono riusciti a risalire alla loro vera
identità: "Si credevano magnanimi: come fossero degli dei, sentivano
di avere il potere di togliere e dare la vita. E così hanno fatto:
l'hanno tolta a 30 mila nemici per darla a noi, 500 bambini figli di
desaparecidos". "Un Paese che non conosce il suo stesso passato non ha futuro",
ricorda oggi Carlos Pisoni, altro esponente degli Hijos, che hanno
ripreso la politica dei loro genitori, attualizzandola. E la campana
suona anche per noi italiani, notoriamente gente di memoria corta.
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