lunedì 27 febbraio 2017

Jackie

"Jackie" di Pablo Larraín. Con Nathalie Portland, Billy Crudup, Greta Gerwig, Caspar Parsgaad, John Hurt, Caspar Philipson, Richard Grant, David Caves, Sunnie Pelant, Maria Aaron e altri. USA 2016 ★★★★★
Primo film statunitense del cileno Pablo Larraín, e che per di più affronta la nascita di uno dei grandi miti con cui quella nazione cerca al contempo di darsi un'identità ed esportare i propri "valori", in parte riuscendoci se la moglie Jacqueline, nata Bouvier, è diventata una figura iconica almeno per quelli che appartengono alla mia generazione, e che si ricordano ancora le immagini trasmesse milioni di volte in TV dell'attentato di Dallas del 22 novembre del 1963. Lo era già prima di quel giorno, al centro delle riviste per famiglie come di quelle di gossip di tutto il mondo: moglie giovane, bella e bennata del presidente giovane, bello e bennato (mah: lei 31 anni, lui 43 al loro arrivo a Washington; bella proprio no, con quel muso rincagnato e le fronte sporgente, lui nemmeno; bennati secondo gli standard a stelle e strisce: lui veniva da una progenie di contrabbandieri e trafficoni, lei da una pseudonobiltà d'origine francese); eleganti (sempre secondo i canoni yankee: sì, lei vestiva Chanel e spendeva patrimoni in abiti dai colori sgargianti e in cappellini non meno ridicoli di quelli di Elisabetta II), e poi ancora dopo l'assassinio, non chiarito a oltre mezzo secolo di distanza, un'ossessione da rotocalco. E' fuor di dubbio che la figura della First Lady, di fatto, nasca con lei. E comunque fu lei a creare il mito di JFK, secondo la lettura che Larraín fa dei cinque giorni successivi all'attentato, tra il rientro a Washington con la bara, il giuramento del successore e vice Lyndon B. Johnson, i preparativi degli sfarzosi funerali di Stato, voluti dalla vedova sulla falsariga di quelli avuti da Abraham Lincoln quasi un secolo prima e l'intervista da lei concessa al notista politico di Life, a cui si confida off the records vietandogli di citare altro che la versione da lei riletta e approvata. Larraín racconta tutto ciò sfalsando i piani narrativi, come già aveva fatto in Neruda, e anche in questo film utilizza il genere del biopic per destrutturarlo dall'interno, mostrando quanto non esista una sola versione dei fatti, e che le realtà è plasmata a seconda della visione personale che ognuno dei protagonisti ne ha. Lo stesso vale per il potere, la cui autorappresentazione è sempre al centro dell'attenzione del regista cileno: per rendere tutto questo Larraín è fedelissimo ai fatti ufficiali, come sono documentati soprattutto dalla TV, mentre lavora di fantasia (ma quanta verosimiglianza!) quando racconta i "dietro le quinte", a cominciare dai rapporti con l'entourage della Casa Bianca, Johnson e soprattutto il cognato Bob Kennedy, preoccupato invece del miserrimo lascito politico dalla presidenza del fratello che tante speranze aveva suscitato alla sua elezione: sarà Jackie a voler creare una mistica, un'immagine epica del marito e del suo sacrificio, che ne renda luminosa la figura, mettendo in ombra la scarsezza dell'opera e dei risultati. Vediamo una grandissima Nathalie Portman nei panni della vedova Kennedy in numerosi flashback, a cominciare da una famosa trasmissione della CBS in cui presenta al pubblico americano l'interno della Casa Bianca e spiega le modifiche che vi ha apportato: già qui è chiaro che Jackie sa sfruttare al meglio un mezzo che proprio in quegli anni diventa decisivo nel racconto che di sé fa il potere, così come conosce bene i meccanismi della comunicazione in generale. E ci riesce non per scienza infusa o un'intelligenza particolare, ma perché lei stessa era parte dello spettacolo, protagonista di una favola che era andata in frantumi con l'assassinio del marito, e che poteva continuare sotto altra forma solo attraverso la creazione del suo mito. Larraín ce la presenta come l'interprete di questa favola, con tutte le insicurezze e gli infantilismi tipici dell'attore e dell'artista, abituato a indossare maschere per ogni occasione proprio per esorcizzarli, e ha affidato Jackie a una attrice dei giorni nostri che la rappresenta in maniera portentosa, più Jackie ancora di quella vera, probabilmente anche più complessa. Il tutto in 90' così intensi e ricchi di sfaccettature da richiedere un'attenzione costante e una certa fatica che però viene ampiamente compensata. Il livello è altissimo: da vedere. 

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