"Billy Lynn - Un giorno da eroe" (Billy Lynn's Long Halftime Walk) di Ang Lee. Con Joe Alwyn, Garret Hedlund, Mason Lee, Arturo Castro, Kristen Stewartl, Vin Diesel, Makenzie Leigh, Steve Martin e altri. USA, GB, Cina 2016 ★★★★
Buona parte della critica si concentra sull'aspetto tecnico, dolendosi che pochissimi hanno potuto vedere il film (girato in 3D e con 120 frame al secondo, cinque volte la normale frequenza) al massimo delle sue potenzialità, il che spiega la concentrazione del registra sui primissimi piani degli interpreti, soprattutto dell'ottimo esordiente Joe Alwin, più che credibile nei panni dell'eroe per caso al centro del film; meno sul suo significato, dato che non solo mostra ancora una volta le contraddizioni di una società degenerata e prossima al collasso, fondata su "valori" che è essa per prima svaluta e ridicolizza, ma denuncia con forza la mercificazione e la spettacolarizzazione di ogni aspetto dell'esistenza. Siamo nel 2004 e il diciannovenne Billy, diventato un eroe nazionale suo malgrado perché una telecamera rimasta casualmente di un reporter rimasta accesa ha filmato il suo tentativo di salvare un sergente (l'ottimo, in questo caso, Vin Diesel, nella parte di un sottufficiale paternamente zen e filosofeggiante) durante un'azione di combattimento in Irak, viene mandato assieme agli altri componenti della Bravo Squad degli Airborne (divisione della fanteria aviotrasportata) in tournée in patria per due settimane, in cui vengono sottoposti a un fuoco di file di interviste e celebrazioni nonché costretti a partecipare a eventi grotteschi, il cui culmine è costituito dalla presenza sul palco nelll'intevallo di un match del Superbowl con protagonisti i Dallas Cowboys che si svolge nel Giorno dell'Indipendenza, il 4 di luglio nella città texana, durante lo spettacolo di Byoncé (da qui l'altrimenti incomprensibile Halftime Walk del titolo originale, tradotto al solito con ampia licenza e puntualmente ad minchiam). Il ragazzo e i suoi colleghi attraversano questo incubo, molto più squassante e deprimente di quello che vivono in Irak, odiati dalla popolazione e consci di partecipare e una guerra sbagliata oltre che inutile e anzi controproducente, come in un mondo parallelo e paranoide rendendosi conto di far parte di un meccanismo implacabile quanto dettato da regole assurde, e Billy rivive nei momenti culminanti dello spettacolo la propria "azione", che per primo ritiene tutt'altro che eroica, in flashback di grande efficacia. Illuminante anche la situazione di incomunicabilità ed estraneità nella sua stessa famiglia, a parte il rapporto con la sorella maggiore Katryn, la quale è, ironia, della sorte, involontariamente responsabile dell'arruolamento del fratello pur essendo l'unica persona con una certa cultura e sensibilità in famiglia, e completamente contraria alla guerra e al militarismo in generale. Sarà lei a tentare di convincerlo fino all'ultimo a trovare un pretesto per sganciarsi dall'esercito ma prevarranno il senso del dovere, nei confronti dei commilitoni e non certo della Paese, e il disgusto per la manipolazione di cui sono oggetto in patria, nonché l'atteggiamento della neo-fidanzata, una cheerleader che per prima lo considera un eroe e dà per scontato che continui ad esserlo, in divisa. Insomma un film tutt'altro che banale, pieno di spunti di riflessione, efficace, che mi sento di consigliare perché spiega molto di quel che dono gli USA. E perché un giovane in condizioni disagiate, per lo più di recente immigrazione, spesso non abbia in quel Paese altre prospettive se non la carriera militare, preferendo rischiare la pelle in una situazione in qualche modo reale piuttosto che un'esistenza alienante e senza prospettive, affrontabile soltanto imbottendosi di psicofarmaci o droghe, il che è lo stesso.
Buona parte della critica si concentra sull'aspetto tecnico, dolendosi che pochissimi hanno potuto vedere il film (girato in 3D e con 120 frame al secondo, cinque volte la normale frequenza) al massimo delle sue potenzialità, il che spiega la concentrazione del registra sui primissimi piani degli interpreti, soprattutto dell'ottimo esordiente Joe Alwin, più che credibile nei panni dell'eroe per caso al centro del film; meno sul suo significato, dato che non solo mostra ancora una volta le contraddizioni di una società degenerata e prossima al collasso, fondata su "valori" che è essa per prima svaluta e ridicolizza, ma denuncia con forza la mercificazione e la spettacolarizzazione di ogni aspetto dell'esistenza. Siamo nel 2004 e il diciannovenne Billy, diventato un eroe nazionale suo malgrado perché una telecamera rimasta casualmente di un reporter rimasta accesa ha filmato il suo tentativo di salvare un sergente (l'ottimo, in questo caso, Vin Diesel, nella parte di un sottufficiale paternamente zen e filosofeggiante) durante un'azione di combattimento in Irak, viene mandato assieme agli altri componenti della Bravo Squad degli Airborne (divisione della fanteria aviotrasportata) in tournée in patria per due settimane, in cui vengono sottoposti a un fuoco di file di interviste e celebrazioni nonché costretti a partecipare a eventi grotteschi, il cui culmine è costituito dalla presenza sul palco nelll'intevallo di un match del Superbowl con protagonisti i Dallas Cowboys che si svolge nel Giorno dell'Indipendenza, il 4 di luglio nella città texana, durante lo spettacolo di Byoncé (da qui l'altrimenti incomprensibile Halftime Walk del titolo originale, tradotto al solito con ampia licenza e puntualmente ad minchiam). Il ragazzo e i suoi colleghi attraversano questo incubo, molto più squassante e deprimente di quello che vivono in Irak, odiati dalla popolazione e consci di partecipare e una guerra sbagliata oltre che inutile e anzi controproducente, come in un mondo parallelo e paranoide rendendosi conto di far parte di un meccanismo implacabile quanto dettato da regole assurde, e Billy rivive nei momenti culminanti dello spettacolo la propria "azione", che per primo ritiene tutt'altro che eroica, in flashback di grande efficacia. Illuminante anche la situazione di incomunicabilità ed estraneità nella sua stessa famiglia, a parte il rapporto con la sorella maggiore Katryn, la quale è, ironia, della sorte, involontariamente responsabile dell'arruolamento del fratello pur essendo l'unica persona con una certa cultura e sensibilità in famiglia, e completamente contraria alla guerra e al militarismo in generale. Sarà lei a tentare di convincerlo fino all'ultimo a trovare un pretesto per sganciarsi dall'esercito ma prevarranno il senso del dovere, nei confronti dei commilitoni e non certo della Paese, e il disgusto per la manipolazione di cui sono oggetto in patria, nonché l'atteggiamento della neo-fidanzata, una cheerleader che per prima lo considera un eroe e dà per scontato che continui ad esserlo, in divisa. Insomma un film tutt'altro che banale, pieno di spunti di riflessione, efficace, che mi sento di consigliare perché spiega molto di quel che dono gli USA. E perché un giovane in condizioni disagiate, per lo più di recente immigrazione, spesso non abbia in quel Paese altre prospettive se non la carriera militare, preferendo rischiare la pelle in una situazione in qualche modo reale piuttosto che un'esistenza alienante e senza prospettive, affrontabile soltanto imbottendosi di psicofarmaci o droghe, il che è lo stesso.
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