"Manchester By The Sea" di Kenneth Lonergan. Con Casey Affleck, Lucas Hedges, Michelle Williams, Kyle Chandler, Gretchen Moi, Kara Hayward, Heather Burns, Anna Katharina Baryshnikov, Matthew Broderick, Tate Donovan e altri. USA 2016 ★★★★★
Che bel film e che bella sorpresa, quella di un drammaturgo, sceneggiatore e regista semisconosciuto, capace di confezionare una pellicola di raro rigore, pulizia, equilibrio, descrivendo per una volta gente comune (e per alcune tematiche torna alla memoria Common People girato quasi quarant'anni fa da Robert Redford e che fece man bassa di premi Oscar e Golden Globe, com'è possibile che faccia questo) e un'America lontana anni luce dalla stupidità e dalla cafoneria hollywoodiana come dal glamour e dagli intellettualismi newyorkesi, per lo più nella loro visione ebraica (un accenno all'immancabile Bar mitzvah che entra in qualche modo nel 50% dei film USA, probabilmente per una pervertita forma di politically correct, c'è anche qui all'inizio del film, e suona alle mie orecchie come una deliziosa presa in giro per chi la vuol capire). La storia è quella del rapporto fra un disadattato, Lee Chandler, e il nipote sedicenne, Patrick, di cui diventa tutore per volontà del rispettivo fratello e padre, morto improvvisamente ma non inaspettatamente per una malattia cardiaca che non lascia scampo e rimasto solo perché la madre, alcolizzata, se ne è andata di casa per risposarsi con una specie di fondamentalista evangelico. Lee torna nella cittadina natale, quella del titolo, un porticciolo sulla costa del Massachusetts, per organizzare i funerali e riprendere i contatti con Patrick da Boston, dove vive facendo il portiere e l'idraulico-tuttofare per quattro condomini, conducendo un'esistenza da disadattato, in preda a una perdurante depressione in seguito a un tragico incidente di cui è stato causa per una colpevole distrazione e che ha condotto alla morte dei tre figli piccoli e alla distruzione del suo matrimonio con Randy, la moglie con cui viveva felicemente a Manchester. Il suo passato, i rapporti con il fratello, col piccolo nipote, con Randy e i figli, con l'amico di famiglia Rodney e il resto della comunità vengono ricostruiti mediante efficaci flashback mentre a sua volta prova a ricostruire quello col nipote sedicenne, in piena tempesta ormonale adolescenziale, per trovare una soluzione che permetta al ragazzo di rimanere nella cittadina natale, dov'è fortemente radicato e a lui di tornare a Boston per allontanarsene, invece, perché comunque non riesce a fare pace col suo passato benché un paio di incontri con Randy, l'ex moglie nel frattempo risposatasi e che ha appena avuto un altro bimbo, che l'aveva pesantemente incolpato per la morte dei loro figli, riescono in qualche modo a riconciliarlo con sé stesso e così aprire la possibilità di stabilire un rapporto proficuo anche col nipote. In particolare l'ultimo colloquio a quattr'occhi con Randy, verso la fine del film, è una scena potente e toccante come poche senza essere lacrimosa e artefatta. E' un film fatto di sfumature, di rara attenzione alla psicologia dei personaggi, tutti veri, tutti significativi e tutti attraversati da un qualche disagio, che per riuscire ha avuto bisogno di interpreti di grande bravura e sensibilità e di un regista in grado di sceglierli e guidarli: qui il miracolo è avvenuto, e Casey Affleck si dimostra ancora più convincente del più famoso e pur bravo fratello maggiore Ben. Più che un film, un blues bianco fatto a immagini che, al posto di Kenneth Lonergan, avrebbe potuto girare, con altrettanta essenzialità e credibilità, soltanto Clint Eastwood, e questo da parte mia è più che un complimento.
Che bel film e che bella sorpresa, quella di un drammaturgo, sceneggiatore e regista semisconosciuto, capace di confezionare una pellicola di raro rigore, pulizia, equilibrio, descrivendo per una volta gente comune (e per alcune tematiche torna alla memoria Common People girato quasi quarant'anni fa da Robert Redford e che fece man bassa di premi Oscar e Golden Globe, com'è possibile che faccia questo) e un'America lontana anni luce dalla stupidità e dalla cafoneria hollywoodiana come dal glamour e dagli intellettualismi newyorkesi, per lo più nella loro visione ebraica (un accenno all'immancabile Bar mitzvah che entra in qualche modo nel 50% dei film USA, probabilmente per una pervertita forma di politically correct, c'è anche qui all'inizio del film, e suona alle mie orecchie come una deliziosa presa in giro per chi la vuol capire). La storia è quella del rapporto fra un disadattato, Lee Chandler, e il nipote sedicenne, Patrick, di cui diventa tutore per volontà del rispettivo fratello e padre, morto improvvisamente ma non inaspettatamente per una malattia cardiaca che non lascia scampo e rimasto solo perché la madre, alcolizzata, se ne è andata di casa per risposarsi con una specie di fondamentalista evangelico. Lee torna nella cittadina natale, quella del titolo, un porticciolo sulla costa del Massachusetts, per organizzare i funerali e riprendere i contatti con Patrick da Boston, dove vive facendo il portiere e l'idraulico-tuttofare per quattro condomini, conducendo un'esistenza da disadattato, in preda a una perdurante depressione in seguito a un tragico incidente di cui è stato causa per una colpevole distrazione e che ha condotto alla morte dei tre figli piccoli e alla distruzione del suo matrimonio con Randy, la moglie con cui viveva felicemente a Manchester. Il suo passato, i rapporti con il fratello, col piccolo nipote, con Randy e i figli, con l'amico di famiglia Rodney e il resto della comunità vengono ricostruiti mediante efficaci flashback mentre a sua volta prova a ricostruire quello col nipote sedicenne, in piena tempesta ormonale adolescenziale, per trovare una soluzione che permetta al ragazzo di rimanere nella cittadina natale, dov'è fortemente radicato e a lui di tornare a Boston per allontanarsene, invece, perché comunque non riesce a fare pace col suo passato benché un paio di incontri con Randy, l'ex moglie nel frattempo risposatasi e che ha appena avuto un altro bimbo, che l'aveva pesantemente incolpato per la morte dei loro figli, riescono in qualche modo a riconciliarlo con sé stesso e così aprire la possibilità di stabilire un rapporto proficuo anche col nipote. In particolare l'ultimo colloquio a quattr'occhi con Randy, verso la fine del film, è una scena potente e toccante come poche senza essere lacrimosa e artefatta. E' un film fatto di sfumature, di rara attenzione alla psicologia dei personaggi, tutti veri, tutti significativi e tutti attraversati da un qualche disagio, che per riuscire ha avuto bisogno di interpreti di grande bravura e sensibilità e di un regista in grado di sceglierli e guidarli: qui il miracolo è avvenuto, e Casey Affleck si dimostra ancora più convincente del più famoso e pur bravo fratello maggiore Ben. Più che un film, un blues bianco fatto a immagini che, al posto di Kenneth Lonergan, avrebbe potuto girare, con altrettanta essenzialità e credibilità, soltanto Clint Eastwood, e questo da parte mia è più che un complimento.
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