"Il cattivo poeta" di Gianluca Jodice. Con Sergio Castellitto, Francesco Patané, Tommaso Ragno, Clotilde Courau, Lidiya Liberman, Fausto Russo Alesi, Massimiliano Rossi, Elena Bucci, Lino Musella, Paolo Graziosi e altri. Italia 2020 ★★★★
Ottimo esordio nel lungometraggio del regista napoletano già autore di corti e documentari di alta qualità, con un film importante, incentrato sugli ultimi anni di vita di un personaggio controverso, tanto noto quanto poco conosciuto, come Gabriele D'Annunzio e i suoi rapporti con il fascismo, di cui pure era stato per certi versi un ispiratore (o meglio: il regime ne aveva succhiato e adattato ai suoi fini propagandistici molte immagini retoriche nonché la stessa propensione allo spettacolo, certo non la profondità, raffinatezza e criticità di pensiero). Perno del racconto è il personaggio del giovane federale di Brescia, Giovanni Comini, incaricato dal segretario del PNF Starace dalla primavera del 1936 a tenere sotto sorveglianza il Vate, ormai confinato da 15 anni al Vittoriale, sul Lago di Garda, e a comunicargli qualsivoglia dettaglio. Il comandante è ormai una reliquia di sé stesso, vecchio, avvilito, deluso dalla piega che stanno prendendo le cose e soprattutto dall'attrazione fatale del vecchio "amico" Mussolini nei confronti di Hitler, ritenuto non solo uno zotico e un pagliaccio, ma l'emblema del nemico storico di quell'Italia per cui D'Annunzio si è sempre battuto. Esemplificata dall'Impresa di Fiume, di cui a Natale dell'anno scorso cadeva il centesimo anniversario del tragico epilogo (il film avrebbe dovuto uscire allora nelle sale), di cui il poeta e letterato abruzzese fu protagonista e tradito dalle ambiguità dell'allora amico Mussolini, che aveva appena fondato, nel 1919, il movimento fascista. Nell'affascinante ambientazione del Vittoriale, feticcio lasciato dal regime come concessione al vecchio poeta, ma irriducibile libero pensatore, in compagnia ad alcuni "reduci" dell'impresa ma circondato da sbirri e spie dell'OVRA per osservarne mosse e pensieri, prende corpo la relazione tra D'Annunzio e il giovane alto funzionario che lo dovrebbe tenere a bada, e che per quanto sia un fascista di provata fede (ché mai avrebbe ricevuto altrimenti l'incarico), essendo una persona intelligente e sensibile non subisce soltanto il fascino del D'Annunzio, ma ne intuisce le ragioni e ne fa propri i dubbi. Che sono essenzialmente quelli che hanno a che vedere col rapporto tra la libertà del pensiero e il potere. Grande merito del film è di non estetizzare per nulla un personaggio estetizzante per definizione come D'Annunzio, mettendogli anzi in bocca, tramite il bravissimo e perfettamente calzante nel ruolo Sergio Castellitto in versione coupé (nel senso della chioma), soltanto parole che effettivamente aveva pronunciato: protagonista sì, ma non assoluto. Non lo è nemmeno Comini, che peraltro pagò, con il mancato rinnovo dell'incarico, l'aver segnalato al partito la contrarietà della Federazione bresciana all'entrata in guerra a fianco della Germania. Lo è, invece, l'atmosfera cupa di quegli anni, e le immagini la rendono, grazie a una fotografia eccellente e a una ricostruzione ambientale di prim'ordine, palpabile e angosciosa. Peccato che nemmeno nei licei venga studiato quel periodo storico e che di quel che accadde a Fiume tra il 1919 e il 1920 forse un italiano du 100 ne abbia una pur vaga idea. Bravi gli interpreti, impeccabile la regia, ottima la fotografia, bel film.
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