"Alla mia piccola Sama" (To Sama) di Waad Al-Khateab ed Edward Watts. Voce Jasmine Trinca. GB 2019 ★★★★
Testamento in forma di videolettera alla primogenita Sama, che significa Cielo in arabo, nata durante l'assedio di Aleppo del 2016, in Siria, a opera della madre, Waad Al-Khateab (pseudonimo di una giovane reporter presumibilmente cristiana, dato che la si vede coperta dal velo solo in alcune riprese da esterno: Aleppo è la città del mondo arabo con la maggiore percentuale di popolazione cristiana dopo Beirut e il Cairo), Alla mia piccola Sama racconta dall'interno di un ospedale la parte finale della sanguinosa battaglia che si svolse a partire dal 2012 nella antichissima e magnifica Capitale del Nord, la seconda città dal Paese, tra forze ribelli e quelle fedeli a Bashar al Assad, appoggiate dall'aviazione russa, e che produsse oltre 30 mila morti. Waad nel 2001 studiava giornalismo all'università della città quando scoppiarono le rivolte che presero il nome di Primavera Araba, a cui prese parte e cominciò a documentarne le fasi cruciali con la videocamera, seguendo in particolare la creazione, quando nel 2012 ebbe inizio la battaglia di Aleppo vera e propria, di un ospedale nella parte Est della città, in mano ai ribelli, a opera dell'amico Hamza, divenuto poi suo marito, e al contempo la sua storia d'amore col giovane medico; la distruzione di quel primo pronto soccorso e il suo trasferimento in una seconda sede quando Aleppo Est venne assediata e sottoposta a continui bombardamenti; la decisione della coppia, e dei loro amici e colleghi, di rimanere e, perfino, quella di affrontare una gravidanza e mettere al mondo per l'appunto Sama in una situazione estremamente pericolosa e senza prospettive, per di più nel luogo che era uno dei bersagli più ambiti per le forze filo-governative. La stessa Waad non giustifica la sua scelta davanti alla figlia: sa che questa un giorno potrebbe incolpare i suoi genitori per questo, e lo trovo il merito più grande del film, oltre a quello di mostrare gli effetti di quella come di qualsiasi guerra nella vita quotidiana dei civili che vi sono coinvolti loro malgrado e la capacità incredibile dell'uomo ad adattarsi e sopravvivere alle situazioni più estreme, di cui perde completamente il controllo; allo stesso modo personalmente non mi permetto di giudicare la sua decisione anche se probabilmente non avrei fatto lo stesso. L'odissea della coppia e degli ultimi resistenti (non combattenti) ha fine nel dicembre del 2016 quando gli ultimi abitanti di Aleppo Est ottennero un salvacondotto per raggiungere Idlib e, da lì, il confine turco. La scelta di Waad e di Edward Watts, che immagino abbia curato le immagini dall'alto della città, effettuate probabilmente con un drone, nel suo successivo ridursi in un cumulo di macerie, di non risparmiare le situazioni più crude, come quelle che possono verificarsi in un pronto soccorso d'emergenza e nelle condizioni date, è coraggiosa e può suscitare critiche: io l'ho considerata appropriata e necessaria, avverto però che sono un pugno nello stomaco e consiglio chi è più sensibile di astenersi. Da vedere, se si vuol capire.
Testamento in forma di videolettera alla primogenita Sama, che significa Cielo in arabo, nata durante l'assedio di Aleppo del 2016, in Siria, a opera della madre, Waad Al-Khateab (pseudonimo di una giovane reporter presumibilmente cristiana, dato che la si vede coperta dal velo solo in alcune riprese da esterno: Aleppo è la città del mondo arabo con la maggiore percentuale di popolazione cristiana dopo Beirut e il Cairo), Alla mia piccola Sama racconta dall'interno di un ospedale la parte finale della sanguinosa battaglia che si svolse a partire dal 2012 nella antichissima e magnifica Capitale del Nord, la seconda città dal Paese, tra forze ribelli e quelle fedeli a Bashar al Assad, appoggiate dall'aviazione russa, e che produsse oltre 30 mila morti. Waad nel 2001 studiava giornalismo all'università della città quando scoppiarono le rivolte che presero il nome di Primavera Araba, a cui prese parte e cominciò a documentarne le fasi cruciali con la videocamera, seguendo in particolare la creazione, quando nel 2012 ebbe inizio la battaglia di Aleppo vera e propria, di un ospedale nella parte Est della città, in mano ai ribelli, a opera dell'amico Hamza, divenuto poi suo marito, e al contempo la sua storia d'amore col giovane medico; la distruzione di quel primo pronto soccorso e il suo trasferimento in una seconda sede quando Aleppo Est venne assediata e sottoposta a continui bombardamenti; la decisione della coppia, e dei loro amici e colleghi, di rimanere e, perfino, quella di affrontare una gravidanza e mettere al mondo per l'appunto Sama in una situazione estremamente pericolosa e senza prospettive, per di più nel luogo che era uno dei bersagli più ambiti per le forze filo-governative. La stessa Waad non giustifica la sua scelta davanti alla figlia: sa che questa un giorno potrebbe incolpare i suoi genitori per questo, e lo trovo il merito più grande del film, oltre a quello di mostrare gli effetti di quella come di qualsiasi guerra nella vita quotidiana dei civili che vi sono coinvolti loro malgrado e la capacità incredibile dell'uomo ad adattarsi e sopravvivere alle situazioni più estreme, di cui perde completamente il controllo; allo stesso modo personalmente non mi permetto di giudicare la sua decisione anche se probabilmente non avrei fatto lo stesso. L'odissea della coppia e degli ultimi resistenti (non combattenti) ha fine nel dicembre del 2016 quando gli ultimi abitanti di Aleppo Est ottennero un salvacondotto per raggiungere Idlib e, da lì, il confine turco. La scelta di Waad e di Edward Watts, che immagino abbia curato le immagini dall'alto della città, effettuate probabilmente con un drone, nel suo successivo ridursi in un cumulo di macerie, di non risparmiare le situazioni più crude, come quelle che possono verificarsi in un pronto soccorso d'emergenza e nelle condizioni date, è coraggiosa e può suscitare critiche: io l'ho considerata appropriata e necessaria, avverto però che sono un pugno nello stomaco e consiglio chi è più sensibile di astenersi. Da vedere, se si vuol capire.
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