"Diamanti grezzi" (Uncut Gems) di Benny e Josh Safdie. Con Adam Sandler, Lakeith Sandfield, Julia Fox, Idina Menzel, Judd Hirsch, Eric Bogosian, Pom Klementieff, Robbie De Raffaele e altri. USA 2019 ★½
Apparso, almeno per il momento, soltanto su Netflix e acclamato dalla critica militonta, Diamanti grezzi è film irritante, inutilmente adrenalinico, una versione riuscita male di una pellicola di Martin Scorsese, dove quei bravi ragazzi sono, come di consueto, d'origine italiana ma il personaggio principale un indisponente gioielliere ebreo con un'attività nel cuore del Diamond District di Manhattan, imbroglione, giocatore d'azzardo incallito, totalmente inaffidabile nella vita privata come negli affari, logorroico, contaballe, pasticcione irrecuperabile, interpretato in maniera così convincente da Adam Sandler che quando al 130' minuto dei 135 che dura questo hellzapoppin' maldestro, dopo che per una volta nella vita una scommessa gli è finalmente andata per il verso giusto e sarebbe in grado di soddisfare i suoi creditori, gli scagnozzi al servizio di suo cognato (non ho voluto approfondire se marito della sorella oppure fratello della moglie ma questo aspetto, nella confusione generale, è assolutamente irrilevante), esasperati dalle sue continue manfrine finalmente lo stendono con un colpo in mezzo agli occhi, chi assiste tira finalmente un sospiro di sollievo: l'unico assieme alla parole Fine e alle sigle finali. Quindi un bravo ad Adam Sandler, che i due fratelli registi hanno tormentato al punto di fargli accettare la parte, così come agli altri ottimi caratteristi che rendono, almeno in parte, digeribile questa specie di commedia sconclusionata, piena di luoghi comuni, dove tutti quanti si agitano in continuazione senza un attimo di tregua presi da una frenesia senza limiti anche se nel corso del film nessuno viene mostrato ad assumere dosi massicce di cocaina come ci sarebbe da aspettare, si parlano sopra in continuazione senza ascoltarsi, non si riesce a capire un dialogo che sia uno, e a fatica il senso di tutto quanto, soprattutto quello dell'esistenza di personaggi come questo indigesto Howard Ratner, la cui esistenza breve ma intensa non lascia rimpianti in nessuno che l'abbia conosciuto né visto traslato sullo schermo, ma che a sua volta, fottendosene del prossimo preso com'è da un inguaribile egocentrismo infantile, era l'unica per lui possibile e, in fondo, anche felice: ha avuto quel che ha voluto, e pace all'anima sua. In un susseguirsi di inquadrature in perpetuo movimento quanto i personaggi, per accentuare l'effetto motion la regia segue il protagonista spesso camera in spalla, col risultato che lo spettatore, più che coinvolto nell'azione, diviene preda del mal di mare. Fotografia accettabile ma certo non originale, niente di che la colonna sonora, ambientazione abbastanza credibile, inserti di basket qui e là, tanto rumore e soprattutto tante parole per nulla o poco più.
Apparso, almeno per il momento, soltanto su Netflix e acclamato dalla critica militonta, Diamanti grezzi è film irritante, inutilmente adrenalinico, una versione riuscita male di una pellicola di Martin Scorsese, dove quei bravi ragazzi sono, come di consueto, d'origine italiana ma il personaggio principale un indisponente gioielliere ebreo con un'attività nel cuore del Diamond District di Manhattan, imbroglione, giocatore d'azzardo incallito, totalmente inaffidabile nella vita privata come negli affari, logorroico, contaballe, pasticcione irrecuperabile, interpretato in maniera così convincente da Adam Sandler che quando al 130' minuto dei 135 che dura questo hellzapoppin' maldestro, dopo che per una volta nella vita una scommessa gli è finalmente andata per il verso giusto e sarebbe in grado di soddisfare i suoi creditori, gli scagnozzi al servizio di suo cognato (non ho voluto approfondire se marito della sorella oppure fratello della moglie ma questo aspetto, nella confusione generale, è assolutamente irrilevante), esasperati dalle sue continue manfrine finalmente lo stendono con un colpo in mezzo agli occhi, chi assiste tira finalmente un sospiro di sollievo: l'unico assieme alla parole Fine e alle sigle finali. Quindi un bravo ad Adam Sandler, che i due fratelli registi hanno tormentato al punto di fargli accettare la parte, così come agli altri ottimi caratteristi che rendono, almeno in parte, digeribile questa specie di commedia sconclusionata, piena di luoghi comuni, dove tutti quanti si agitano in continuazione senza un attimo di tregua presi da una frenesia senza limiti anche se nel corso del film nessuno viene mostrato ad assumere dosi massicce di cocaina come ci sarebbe da aspettare, si parlano sopra in continuazione senza ascoltarsi, non si riesce a capire un dialogo che sia uno, e a fatica il senso di tutto quanto, soprattutto quello dell'esistenza di personaggi come questo indigesto Howard Ratner, la cui esistenza breve ma intensa non lascia rimpianti in nessuno che l'abbia conosciuto né visto traslato sullo schermo, ma che a sua volta, fottendosene del prossimo preso com'è da un inguaribile egocentrismo infantile, era l'unica per lui possibile e, in fondo, anche felice: ha avuto quel che ha voluto, e pace all'anima sua. In un susseguirsi di inquadrature in perpetuo movimento quanto i personaggi, per accentuare l'effetto motion la regia segue il protagonista spesso camera in spalla, col risultato che lo spettatore, più che coinvolto nell'azione, diviene preda del mal di mare. Fotografia accettabile ma certo non originale, niente di che la colonna sonora, ambientazione abbastanza credibile, inserti di basket qui e là, tanto rumore e soprattutto tante parole per nulla o poco più.
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