"Lady Bird" di Greta Gerwig. Con Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Beanie Feldstein, Lucas Hedges, Timothée Chalamet, Odeya Rush e altri. USA 2017 ★★★
Altro film che ero in dubbio se andare a vedere e che invece n'è valso la pena, grazie soprattutto alle due interpreti principali, in particolare Saoirse Ronan, che veste i panni di Lady Bird, alias Christine, un'adolescente irrequieta e anticonformista ma nemmeno più di tanto che frequenta un liceo cattolico di Sacramento e ha un rapporto sanamente conflittuale, per l'età che ha, con la madre (Laurie Metcalf), la quale non vede di buon occhio l'idea, a causa delle ristrettezze economiche in cui veleggia la famiglia dopo il licenziamento del padre della ragazza, che la figlia si trasferisca sulla Costa Orientale per frequentare l'università, come invece spera la giovane per sfuggire all'atmosfera provinciale da cui si sente oppressa, e che per essere ammessa a uno dei cui prestigiosi college sta facendo domanda di nascosto. Il fatto è che Lady Bird/Christine altri non è che Greta Gerwig stessa, nata proprio a Sacramento e trasvolata a direttamente a Manhattan, con la differenza che invece di interpretare di fatto sé stessa, come aveva fatto nei suoi due precedenti film newyorkesi, si è fatta sostituire dalla giovane e bravissima attrice d'origine irlandese, che ha dato al personaggio quel tanto di verve che basta distinguerla dall'originale e a renderla meno monotona della indie finta stralunata, malvestita, imbranata e alla fine un po' indisponente che era diventata, nell'arco di due sole pellicole, la Gerwig. Che è indubbiamente il nuovo Woody Allen in gonnella (ha pure recitato con lui in quell'autentico fiasco che era il penoso To Rome With Love), solo in parte attualizzato (l'essere sostanzialmente un po' rétro fa parte del cliché che si è data), con gli indubbi pregi del vecio (pur non essendo altrettanto geniale e non avendo lo stesso sarcasmo talvolta iconoclasta) e gli stessi difetti: la spaventosa autoreferenzialità, il non essere in grado di guardare al di fuori del proprio ambiente e il tendere a fare all'infinito lo stesso film: avendo un talento non comune è un vero peccato, e il timore è che diventi per il cinema quello che Luciano Ligabue è per la musica pop rockeggiante italiana. La pellicola racconta in sostanza l'ultimo anno di liceo della ragazza, tra botte di eccentricità, scazzi con la madre infermiera e il fratello acquisito, velleità artistiche, ragazzi (il primo con cui si mette si rivela omosessuale e lei lo consola; dal secondo, musicista bel tenebroso con pose da intellettuale impegnato, si fa sverginare), qualche canna qui e là, le amicizie e confidenze femminili, la complicità col padre disoccupato e depresso che l'appoggia in segreto nella scelta di tentare l'ingresso in un college prestigioso: tutto qui, ma fatto bene e raccontato con grande scorrevolezza, semplicità, realismo. Anche un po' troppo buonismo, diciamolo, che rende tanto cinema "indipendente" USA piuttosto melenso, ripetitivo e di scarsa profondità e visione. Però, in questo caso, gradevole: giova anche la durata limitata a 95'.
Altro film che ero in dubbio se andare a vedere e che invece n'è valso la pena, grazie soprattutto alle due interpreti principali, in particolare Saoirse Ronan, che veste i panni di Lady Bird, alias Christine, un'adolescente irrequieta e anticonformista ma nemmeno più di tanto che frequenta un liceo cattolico di Sacramento e ha un rapporto sanamente conflittuale, per l'età che ha, con la madre (Laurie Metcalf), la quale non vede di buon occhio l'idea, a causa delle ristrettezze economiche in cui veleggia la famiglia dopo il licenziamento del padre della ragazza, che la figlia si trasferisca sulla Costa Orientale per frequentare l'università, come invece spera la giovane per sfuggire all'atmosfera provinciale da cui si sente oppressa, e che per essere ammessa a uno dei cui prestigiosi college sta facendo domanda di nascosto. Il fatto è che Lady Bird/Christine altri non è che Greta Gerwig stessa, nata proprio a Sacramento e trasvolata a direttamente a Manhattan, con la differenza che invece di interpretare di fatto sé stessa, come aveva fatto nei suoi due precedenti film newyorkesi, si è fatta sostituire dalla giovane e bravissima attrice d'origine irlandese, che ha dato al personaggio quel tanto di verve che basta distinguerla dall'originale e a renderla meno monotona della indie finta stralunata, malvestita, imbranata e alla fine un po' indisponente che era diventata, nell'arco di due sole pellicole, la Gerwig. Che è indubbiamente il nuovo Woody Allen in gonnella (ha pure recitato con lui in quell'autentico fiasco che era il penoso To Rome With Love), solo in parte attualizzato (l'essere sostanzialmente un po' rétro fa parte del cliché che si è data), con gli indubbi pregi del vecio (pur non essendo altrettanto geniale e non avendo lo stesso sarcasmo talvolta iconoclasta) e gli stessi difetti: la spaventosa autoreferenzialità, il non essere in grado di guardare al di fuori del proprio ambiente e il tendere a fare all'infinito lo stesso film: avendo un talento non comune è un vero peccato, e il timore è che diventi per il cinema quello che Luciano Ligabue è per la musica pop rockeggiante italiana. La pellicola racconta in sostanza l'ultimo anno di liceo della ragazza, tra botte di eccentricità, scazzi con la madre infermiera e il fratello acquisito, velleità artistiche, ragazzi (il primo con cui si mette si rivela omosessuale e lei lo consola; dal secondo, musicista bel tenebroso con pose da intellettuale impegnato, si fa sverginare), qualche canna qui e là, le amicizie e confidenze femminili, la complicità col padre disoccupato e depresso che l'appoggia in segreto nella scelta di tentare l'ingresso in un college prestigioso: tutto qui, ma fatto bene e raccontato con grande scorrevolezza, semplicità, realismo. Anche un po' troppo buonismo, diciamolo, che rende tanto cinema "indipendente" USA piuttosto melenso, ripetitivo e di scarsa profondità e visione. Però, in questo caso, gradevole: giova anche la durata limitata a 95'.
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