"L'uomo di neve" (The Snowman) di Tomas Alfredson. Con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer. GB 2017 ☠
Se siete masochisti e vi piacciono i thriller scandinavi con trame tanto arzigogolate quanto inverosimili interpretati da attori invariabilmente e adeguatamente basiti, oppure esplorare nei meandri bacati delle psicosi che attanagliano molti degli autori di lassù, specchi lampanti di una società tanto benestante quanto sempre più avviata a essere composta da cyborg, e siete pure disposti a rovinarvi la serata, ecco il film che fa per voi. Tratto da uno dei romanzi del norvegese Jo Nesbø con protagonista il detective Harry (ass) Hole, puntualmente un disperato alla deriva e pesantemente alcolizzato però imbattibile nel risolvere casi che solo una mente pervertita o in preda all'acido può concepire, il film prova a raccontare la caccia a un serial killer che si rifà vivo a ogni prima neve invernale e che lascia come marchio di fabbrica un pupazzo, per l'appunto di neve, come dal titolo, sul luogo del delitto. Le vittime sono sempre donne che hanno avuto relazioni extraconiugali e i cui figli hanno una particolare tara genetica: la mancanza dei capezzoli. Ovviamente il serial killer sfida lo (ass) Hole (uno che perfino nella polizia della più scalcagnata repubblica delle banane sarebbe già stato radiato dal corpo) e altrettanto regolarmente il passato riemerge per tutti i protagonisti e naturalmente l'assassino è molto più vicino al detective di quanto questi riesca a immaginarsi (lo spettatore invece lo sospetta non appena il personaggio in questione entra in scena). A giudicare dalla sfilza di cadaveri che cospargono il filmaccio, ambientato tra Oslo e Bergen, luoghi magari anche suggestivi per il panorama ma in cui nessuna persona appena assennata può essere tentata di trascorrere l'intera esistenza, e men che mai un inverno, in Norvegia devono esserci in percentuale più morti violente che negli USA: per quanto il Paese sia stato in grado di produrre un Anders Breivik, dubito fortemente che sia così. La pellicola non merita altre parole, nemmeno uno spoiler, solo una considerazione sul protagonista principale, Michael Fassbender, la cui stolidità perfora lo schermo: un Monica Bellucci al maschile che non si capisce per quale motivo venga ingaggiato come attore. O forse sì: sembra il prototipo catatonico di un replicante, altro che Blade Runner. Per il resto, il quadro che esce da un film come questo, ma anche da serie TV come The Bridge, Fortitude e perfino il demenziale Lilyhammer (che però ci azzecca) delle società scandinave è sconcertante e allarmante nella sua desolazione: ma da gente che è disposta a farsi inserire un microchip sottopelle per andare in treno c'è da aspettarsi il peggio.
Se siete masochisti e vi piacciono i thriller scandinavi con trame tanto arzigogolate quanto inverosimili interpretati da attori invariabilmente e adeguatamente basiti, oppure esplorare nei meandri bacati delle psicosi che attanagliano molti degli autori di lassù, specchi lampanti di una società tanto benestante quanto sempre più avviata a essere composta da cyborg, e siete pure disposti a rovinarvi la serata, ecco il film che fa per voi. Tratto da uno dei romanzi del norvegese Jo Nesbø con protagonista il detective Harry (ass) Hole, puntualmente un disperato alla deriva e pesantemente alcolizzato però imbattibile nel risolvere casi che solo una mente pervertita o in preda all'acido può concepire, il film prova a raccontare la caccia a un serial killer che si rifà vivo a ogni prima neve invernale e che lascia come marchio di fabbrica un pupazzo, per l'appunto di neve, come dal titolo, sul luogo del delitto. Le vittime sono sempre donne che hanno avuto relazioni extraconiugali e i cui figli hanno una particolare tara genetica: la mancanza dei capezzoli. Ovviamente il serial killer sfida lo (ass) Hole (uno che perfino nella polizia della più scalcagnata repubblica delle banane sarebbe già stato radiato dal corpo) e altrettanto regolarmente il passato riemerge per tutti i protagonisti e naturalmente l'assassino è molto più vicino al detective di quanto questi riesca a immaginarsi (lo spettatore invece lo sospetta non appena il personaggio in questione entra in scena). A giudicare dalla sfilza di cadaveri che cospargono il filmaccio, ambientato tra Oslo e Bergen, luoghi magari anche suggestivi per il panorama ma in cui nessuna persona appena assennata può essere tentata di trascorrere l'intera esistenza, e men che mai un inverno, in Norvegia devono esserci in percentuale più morti violente che negli USA: per quanto il Paese sia stato in grado di produrre un Anders Breivik, dubito fortemente che sia così. La pellicola non merita altre parole, nemmeno uno spoiler, solo una considerazione sul protagonista principale, Michael Fassbender, la cui stolidità perfora lo schermo: un Monica Bellucci al maschile che non si capisce per quale motivo venga ingaggiato come attore. O forse sì: sembra il prototipo catatonico di un replicante, altro che Blade Runner. Per il resto, il quadro che esce da un film come questo, ma anche da serie TV come The Bridge, Fortitude e perfino il demenziale Lilyhammer (che però ci azzecca) delle società scandinave è sconcertante e allarmante nella sua desolazione: ma da gente che è disposta a farsi inserire un microchip sottopelle per andare in treno c'è da aspettarsi il peggio.
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