"Una donna fantastica" (Una mujer fantástica) di Sebastián Lelio. Con Daniela Vega, Francisco Reyes, Luis Gnecco, Aline Küppenheim, Amparo Noguera e altri. Cile, Germania 2017 ★★★½
Un buon film, anzi: molto buono, che conferma in pieno le qualità di Sebastián Lelio, di cui in Italia era già stato distribuito Gloria e, come questo, premiato all'ultima Berlinale, questa volta per la sceneggiatura. Prodotto da Pablo Larraín, l'altro e più conosciuto esponente della cinematografia cilena contemporanea, con la cui produzione ha molti punti in comune sia per i temi trattati sia per la forma, tanto che verrebbe la tentazione di parlare di una vera e propria corrente estetica, ma non ne raggiunge la complessità, visionarietà e forza espressiva. Anche in questo film Lelio si avvale della prestazione straordinaria dell'interprete principale, Daniela Vega, nei panni di Marina, ventisettenne cameriera e aspirante cantante lirica, una transessuale la cui relazione d'amore con Orlando, un imprenditore tessile di mezza età, viene troncata dall'improvvisa morte del compagno dopo un malore notturno alla vigilia di un viaggio alle cascate di Iguazu, regalo di compleanno di Orlando a Marina. La quale, già all'ospedale, dove lo porta ormai privo di coscienza, comincia a subire le angherie del poliziotto che ne pretende il documento d'identità (e che riporta ancora iil nome di nascita, Daniel) e del medico di guardia che intuisce la relazione innaturale con l'uomo e che non hanno nessuna comprensione per il sincero dolore che la sconvolge, mentre già il giorno successivo la ex moglie di Orlando ne pretende la restituzione della macchina e lo sgombero al più presto dell'appartamento e il figlio le sottrae perfino il cane che possedeva col convivente, ma soprattutto viene avvertita di non farsi vedere alla veglia funebre e meno che mai al funerale. Nei giorni seguenti Marina tiene duro, con caparbietà prosegue la sua vita, tra gli impegni di lavoro, lo sgombero della casa aiutata dalla sorella e dal cognato, due "alternativi", e le tocca anche subire una umiliante visita medica su richiesta di una dirigente di polizia che si occupa di reati sessuali per accertare che non abbia subito abusi da parte di Orlando, poco propensa a credere che le lesioni trovate sul corpo di lui siano dovute a una caduta accidentale, ma piuttosto a vedere il torbido in una relazione che invece era serena e lineare. Marina capisce anche che la famiglia di Orlando non riesca ad inquadrarla, a definire la loro relazione se non come una chimera, ma non riesce a resistere al bisogno che sente di dare l'ultimo saluto alla persona amata, venendo cacciata dalla veglia funebre e poi perfino inseguita, insultata, caricata in macchina e impacchetatta con cerotti e abbandonata in una strada secondaria dal figlio e dai suoi amici: l'unico ad accettarla per quel che è a capire il suo dolore, ma impotente davanti all'incomprensione e alla mancanza di umanità degli altri, è il fratello del defunto. L'ambientazione è ancora una volta nella Santiago benestante dei quartieri settentrionali, con qualche timida escursione nella bohème ma comunque a distanza siderale da quella popolare e periferica: nessuno stupore che le questioni di genere siano appannaggio degli strati sociali superiori, cui del resto appartengono sia Lelio sia Larraín, con la differenza che, rispetto ai colleghi europei e soprattutto nordamericani che dell'esaltazione delle lotte per i diritti LGBT hanno ormai fatto un filone cinematografico e di serie TV a sé stante ormai stucchevolmente ripetitivo, affrontano i temi della sessualità e anche dell'identità con storie esemplari e senza gridare e dare giudizi, ma ponendo domande alla coscienza comune; e lo fanno in modo ovattato, lasciando spazio al non detto, all'ambiguità, non rinunciando a un'atmosfera a tratti sospesa e a volte ipnotica. Sceneggiatura pulita e montaggio con tempi giusti, interpretazione superlativa di una transessuale autentica, attrice e cantante lirica anche nella realtà, una grande Daniela Vega.
Un buon film, anzi: molto buono, che conferma in pieno le qualità di Sebastián Lelio, di cui in Italia era già stato distribuito Gloria e, come questo, premiato all'ultima Berlinale, questa volta per la sceneggiatura. Prodotto da Pablo Larraín, l'altro e più conosciuto esponente della cinematografia cilena contemporanea, con la cui produzione ha molti punti in comune sia per i temi trattati sia per la forma, tanto che verrebbe la tentazione di parlare di una vera e propria corrente estetica, ma non ne raggiunge la complessità, visionarietà e forza espressiva. Anche in questo film Lelio si avvale della prestazione straordinaria dell'interprete principale, Daniela Vega, nei panni di Marina, ventisettenne cameriera e aspirante cantante lirica, una transessuale la cui relazione d'amore con Orlando, un imprenditore tessile di mezza età, viene troncata dall'improvvisa morte del compagno dopo un malore notturno alla vigilia di un viaggio alle cascate di Iguazu, regalo di compleanno di Orlando a Marina. La quale, già all'ospedale, dove lo porta ormai privo di coscienza, comincia a subire le angherie del poliziotto che ne pretende il documento d'identità (e che riporta ancora iil nome di nascita, Daniel) e del medico di guardia che intuisce la relazione innaturale con l'uomo e che non hanno nessuna comprensione per il sincero dolore che la sconvolge, mentre già il giorno successivo la ex moglie di Orlando ne pretende la restituzione della macchina e lo sgombero al più presto dell'appartamento e il figlio le sottrae perfino il cane che possedeva col convivente, ma soprattutto viene avvertita di non farsi vedere alla veglia funebre e meno che mai al funerale. Nei giorni seguenti Marina tiene duro, con caparbietà prosegue la sua vita, tra gli impegni di lavoro, lo sgombero della casa aiutata dalla sorella e dal cognato, due "alternativi", e le tocca anche subire una umiliante visita medica su richiesta di una dirigente di polizia che si occupa di reati sessuali per accertare che non abbia subito abusi da parte di Orlando, poco propensa a credere che le lesioni trovate sul corpo di lui siano dovute a una caduta accidentale, ma piuttosto a vedere il torbido in una relazione che invece era serena e lineare. Marina capisce anche che la famiglia di Orlando non riesca ad inquadrarla, a definire la loro relazione se non come una chimera, ma non riesce a resistere al bisogno che sente di dare l'ultimo saluto alla persona amata, venendo cacciata dalla veglia funebre e poi perfino inseguita, insultata, caricata in macchina e impacchetatta con cerotti e abbandonata in una strada secondaria dal figlio e dai suoi amici: l'unico ad accettarla per quel che è a capire il suo dolore, ma impotente davanti all'incomprensione e alla mancanza di umanità degli altri, è il fratello del defunto. L'ambientazione è ancora una volta nella Santiago benestante dei quartieri settentrionali, con qualche timida escursione nella bohème ma comunque a distanza siderale da quella popolare e periferica: nessuno stupore che le questioni di genere siano appannaggio degli strati sociali superiori, cui del resto appartengono sia Lelio sia Larraín, con la differenza che, rispetto ai colleghi europei e soprattutto nordamericani che dell'esaltazione delle lotte per i diritti LGBT hanno ormai fatto un filone cinematografico e di serie TV a sé stante ormai stucchevolmente ripetitivo, affrontano i temi della sessualità e anche dell'identità con storie esemplari e senza gridare e dare giudizi, ma ponendo domande alla coscienza comune; e lo fanno in modo ovattato, lasciando spazio al non detto, all'ambiguità, non rinunciando a un'atmosfera a tratti sospesa e a volte ipnotica. Sceneggiatura pulita e montaggio con tempi giusti, interpretazione superlativa di una transessuale autentica, attrice e cantante lirica anche nella realtà, una grande Daniela Vega.
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