"L'altra metà della storia" (The Sense of an Ending) di Ritesh Batra. Con Jim Broadbent, Michelle Dockery, Matthew Goode, Charlotte Rampling, Harriet Walter e altri. GB 2017 ★★★★
Film molto inglese, anzi: londinese, ma quietamente, nulla a cha fare con la Londra swinging o cool in preda al turismo e ai modaioli, eppure girato da un regista indiano che sa il fatto suo e, grazie a un soggetto ben scritto tratto da un romanzo di Julian Barnes, Il senso di una fine (Einaudi, 2012) e a un cast di alta qualità scelto accuratamente, sforna un film perfettamente bilanciato tra passato e futuro capace di stimolare riflessioni proficue partendo dalla semplice constatazione che la nostra vita non appartiene solo a noi e comunque è soltanto la storia che ne abbiamo raccontato: altri, che abbiamo incontrato e conosciuto, ne hanno avuto una visione completamente diversa e delle conseguenze che, nel nostro "raccontarcela", non possiamo nemmeno immaginare. Tony Webb, da giovane aspirante poeta e letterato e oggi pensionato bisbetico e abitudinario, proprietario di un negozietto che vende e ripara vecchie Leica per non cedere alla noia, vedovo di un'avvocatessa di grande intelligenza intelligente e successo, e con una figlia futura madre volutamente single che accompagna alle sedute pre-parto, vede riaffacciarsi il passato quando da uno studio legale gli viene comunicato che ha ricevuto un lascito da parte della madre della sua fidanzata di quando era studente, Veronica, e costituito da una piccola somma in denaro ma soprattutto da un diario, quello del suo più caro amico dei tempi del liceo, il brillante e tormentato Adrian, morto suicida ancora studente, e custodito proprio da Veronica, che per il momento non vuole consegnarglielo. Consigliandosi con l'ex consorte, Tony ricostruisce con una certa reticenza la relazione avuta con Veronica, accorgendosi man mano di quanto l'abbia travisata, a forza di rimozioni, e quando la incontrerà nuovamente, sempre più preso dal tentativo di chiarirsi le idee, ancora una volta cadrà vittima delle apparenze e della sua personale lettura degli avvenimenti, del passato ma anche attuali. Non è un film sulle occasioni mancate, sulle "porte girevoli" e quindi sul rimpianto e meno che mai appartiene al penoso genere da umarel attualmente in voga in cui si è specializzata, per esempio, Diane Keaton, già perfettamente in parte dai tempi dei film con Woody Allen, piuttosto sulla diversa percezione che si ha a seconda dell'età non soltanto del tempo ma anche dello spazio nel senso più ampio, e di sé stessi in rapporto con gli altri: da giovani passando da una "gabbia" piccola a una sempre più grande, cercando a tentoni una propria via e una propria dimensione; da vecchi desiderosi soltanto di non ricevere eccessivi scossoni in un equilibrio faticosamente raggiunto (e mai definitivo), ma sempre in tempo non per pentirsi, ma per rileggere con altri occhi il percorso fatto ed il suo senso, e a comprendere i possibili, inaspettati effetti delle proprie azioni sugli altri; del resto solo se si è disponibili a guardare in sé stessi serenamente si possono comprendere meglio le ragioni del prossimo, e con ciò cambiare anche atteggiamento verso chi e cosa ci circonda.
Film molto inglese, anzi: londinese, ma quietamente, nulla a cha fare con la Londra swinging o cool in preda al turismo e ai modaioli, eppure girato da un regista indiano che sa il fatto suo e, grazie a un soggetto ben scritto tratto da un romanzo di Julian Barnes, Il senso di una fine (Einaudi, 2012) e a un cast di alta qualità scelto accuratamente, sforna un film perfettamente bilanciato tra passato e futuro capace di stimolare riflessioni proficue partendo dalla semplice constatazione che la nostra vita non appartiene solo a noi e comunque è soltanto la storia che ne abbiamo raccontato: altri, che abbiamo incontrato e conosciuto, ne hanno avuto una visione completamente diversa e delle conseguenze che, nel nostro "raccontarcela", non possiamo nemmeno immaginare. Tony Webb, da giovane aspirante poeta e letterato e oggi pensionato bisbetico e abitudinario, proprietario di un negozietto che vende e ripara vecchie Leica per non cedere alla noia, vedovo di un'avvocatessa di grande intelligenza intelligente e successo, e con una figlia futura madre volutamente single che accompagna alle sedute pre-parto, vede riaffacciarsi il passato quando da uno studio legale gli viene comunicato che ha ricevuto un lascito da parte della madre della sua fidanzata di quando era studente, Veronica, e costituito da una piccola somma in denaro ma soprattutto da un diario, quello del suo più caro amico dei tempi del liceo, il brillante e tormentato Adrian, morto suicida ancora studente, e custodito proprio da Veronica, che per il momento non vuole consegnarglielo. Consigliandosi con l'ex consorte, Tony ricostruisce con una certa reticenza la relazione avuta con Veronica, accorgendosi man mano di quanto l'abbia travisata, a forza di rimozioni, e quando la incontrerà nuovamente, sempre più preso dal tentativo di chiarirsi le idee, ancora una volta cadrà vittima delle apparenze e della sua personale lettura degli avvenimenti, del passato ma anche attuali. Non è un film sulle occasioni mancate, sulle "porte girevoli" e quindi sul rimpianto e meno che mai appartiene al penoso genere da umarel attualmente in voga in cui si è specializzata, per esempio, Diane Keaton, già perfettamente in parte dai tempi dei film con Woody Allen, piuttosto sulla diversa percezione che si ha a seconda dell'età non soltanto del tempo ma anche dello spazio nel senso più ampio, e di sé stessi in rapporto con gli altri: da giovani passando da una "gabbia" piccola a una sempre più grande, cercando a tentoni una propria via e una propria dimensione; da vecchi desiderosi soltanto di non ricevere eccessivi scossoni in un equilibrio faticosamente raggiunto (e mai definitivo), ma sempre in tempo non per pentirsi, ma per rileggere con altri occhi il percorso fatto ed il suo senso, e a comprendere i possibili, inaspettati effetti delle proprie azioni sugli altri; del resto solo se si è disponibili a guardare in sé stessi serenamente si possono comprendere meglio le ragioni del prossimo, e con ciò cambiare anche atteggiamento verso chi e cosa ci circonda.
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