"The Hateful Eight" di Quentin Tarantino. Con Samuel L. Jackson, Kurt Russell Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demián Bichir, Tim Roth, Michael Madsen, Bruce Dern, Channing Tatum, James Parks, Dana Gourrier, Zoe Bell, Gene Jones, Keith Jefferson, Lee Horsley, Craig Stark, Belinda Owino, Bruce Del Castillo. USA 2015 ★★★★★
Ammetto di essere portatore di un pregiudizio positivo nei confronti di Tarantino: vado a vedere ogni suo nuovo film con il medesimo stato d'animo, emozionato ed entusiasta, con cui assisto da più di 45 anni alle performance dal vivo della Greatest Rock'n Roll Band in The World ("Ladies and Gentlemen: The Rolling Stones"), sempre con un sottofondo di timore che possa, alla fine, deludermi e non rispondere a delle aspettative che sono altissime, considerati i precedenti ma, come i Glimmer Twins e i loro compagni di strada, alla fine il buon Quentin non mi tradisce mai, tanto meno questa volta con "The Hateful Eight". E' una questione di sintonia: le sue storie sono raccontate con un linguaggio, fatto di parole, musica (niente meno che Ennio Morricone in questo caso), immagini, ritmo, contenuti, che sento mio: come se stessi interagendo con un parente stretto o con un amico di vecchia data con cui ho una vita e un modo di vedere le cose in comune. Più giovane di me di dieci anni, mentre gli Stones ne hanno una decina abbondante di più, anche Quentin Tarantino invecchia, e pure bene, insieme al sottoscritto e per me è rimane una certezza, di divertimento intelligente e, anche se sembra un paradosso, di sensibilità. E' stato osservato, giustamente, che il suo cinema diventa via via più esplicitamente politico: se in Inglorious Basterds aveva raccontato il nazismo utilizzando gli schemi del film bellico al contrario del politicamente corretto Soldato Ryan di Spielberg, nel suo primo western, Django Unchained, aveva preso di petto come nessuno mai il razzismo congenito della società statunitense, tema presente anche in questo film, insieme a quello del rapporto di una società palesemente alienata con la propria storia e la propria identità, quanto mai incerta, la sua avidità e miseria morale e le sue dogmatiche illusioni, e lo fa utillizzando il genere che più di ogni altro ha a che vedere col "mito fondativo" della nazione: ancora il western, riveduto in una versione giallo da camera chiusa. Rispetto a Django Unchained, siamo qualche anno dopo la fine della Guerra Civile, e la prima parte del film si concentra su una diligenza che percorre le lande innevate del Wyoming in direzione Red Rock, su cui John Ruth, un cacciatore di taglie che usa consegnare le proprie prede vive al boia, sta portando la sua preda, la spregevole Daisy Domergue. Lungo il percorso si ferma a dare un passaggio a un collega, il nero Marquis Warren, un ex maggiore nordista, che le sue prede preferisce convertirle in taglie da cadaveri, e poi anche all'effeminato Chris Mannix, un confederato rinnegato che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rock. Una tempesta di neve incombente li costringe a fermarsi all'emporio di Minnie, che però risulta assente e sostituita da un messicano, e dove si trovano altri tre personaggi che sembrano ospiti casuali e invece si scopre che stanno aspettando l'arrivo proprio di quella diligenza. A questo punto scatta inesorabile un meccanismo che può ricordare quello de Le iene, dove nessuno degli "odiosi otto" è davvero quel che dice di essere, in un gioco di inganni reciproci e successivi disvelamenti, in una prima fase essenzialmente verbali, in una seconda, dopo l'intervallo di 8' voluto espressamente voluto da Tarantino, e in seguito al virtuale riavvolgimento della pellicola che permette di mostrare e raccontare quanto avvenuto prima dell'arrivo della diligenza, con la resa dei conti a suon di pallottole e l'inevitabile e liberatoria "botta" finale". No spoiler, ovviamente, ma garantisco che il film fila via a tambur battente, grazie a una sceneggiatura che funzione come un cronografo ad alta precisione, inesorabile. Purtroppo ho visto la versione digitale, della durata di 167', mentre quella integrale, più lunga di 20', è stata girata da Tarantino in pellicola da 70 millimetri Panavision ed è vedibile in Italia nelle seguenti sale: L'Arcadia di Melzo (Milano), Il Cinema Lumiere di Bologna, Cinecittà Studios Teatro 5 di Roma. Una volta di più, grazie maestro!
Ammetto di essere portatore di un pregiudizio positivo nei confronti di Tarantino: vado a vedere ogni suo nuovo film con il medesimo stato d'animo, emozionato ed entusiasta, con cui assisto da più di 45 anni alle performance dal vivo della Greatest Rock'n Roll Band in The World ("Ladies and Gentlemen: The Rolling Stones"), sempre con un sottofondo di timore che possa, alla fine, deludermi e non rispondere a delle aspettative che sono altissime, considerati i precedenti ma, come i Glimmer Twins e i loro compagni di strada, alla fine il buon Quentin non mi tradisce mai, tanto meno questa volta con "The Hateful Eight". E' una questione di sintonia: le sue storie sono raccontate con un linguaggio, fatto di parole, musica (niente meno che Ennio Morricone in questo caso), immagini, ritmo, contenuti, che sento mio: come se stessi interagendo con un parente stretto o con un amico di vecchia data con cui ho una vita e un modo di vedere le cose in comune. Più giovane di me di dieci anni, mentre gli Stones ne hanno una decina abbondante di più, anche Quentin Tarantino invecchia, e pure bene, insieme al sottoscritto e per me è rimane una certezza, di divertimento intelligente e, anche se sembra un paradosso, di sensibilità. E' stato osservato, giustamente, che il suo cinema diventa via via più esplicitamente politico: se in Inglorious Basterds aveva raccontato il nazismo utilizzando gli schemi del film bellico al contrario del politicamente corretto Soldato Ryan di Spielberg, nel suo primo western, Django Unchained, aveva preso di petto come nessuno mai il razzismo congenito della società statunitense, tema presente anche in questo film, insieme a quello del rapporto di una società palesemente alienata con la propria storia e la propria identità, quanto mai incerta, la sua avidità e miseria morale e le sue dogmatiche illusioni, e lo fa utillizzando il genere che più di ogni altro ha a che vedere col "mito fondativo" della nazione: ancora il western, riveduto in una versione giallo da camera chiusa. Rispetto a Django Unchained, siamo qualche anno dopo la fine della Guerra Civile, e la prima parte del film si concentra su una diligenza che percorre le lande innevate del Wyoming in direzione Red Rock, su cui John Ruth, un cacciatore di taglie che usa consegnare le proprie prede vive al boia, sta portando la sua preda, la spregevole Daisy Domergue. Lungo il percorso si ferma a dare un passaggio a un collega, il nero Marquis Warren, un ex maggiore nordista, che le sue prede preferisce convertirle in taglie da cadaveri, e poi anche all'effeminato Chris Mannix, un confederato rinnegato che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rock. Una tempesta di neve incombente li costringe a fermarsi all'emporio di Minnie, che però risulta assente e sostituita da un messicano, e dove si trovano altri tre personaggi che sembrano ospiti casuali e invece si scopre che stanno aspettando l'arrivo proprio di quella diligenza. A questo punto scatta inesorabile un meccanismo che può ricordare quello de Le iene, dove nessuno degli "odiosi otto" è davvero quel che dice di essere, in un gioco di inganni reciproci e successivi disvelamenti, in una prima fase essenzialmente verbali, in una seconda, dopo l'intervallo di 8' voluto espressamente voluto da Tarantino, e in seguito al virtuale riavvolgimento della pellicola che permette di mostrare e raccontare quanto avvenuto prima dell'arrivo della diligenza, con la resa dei conti a suon di pallottole e l'inevitabile e liberatoria "botta" finale". No spoiler, ovviamente, ma garantisco che il film fila via a tambur battente, grazie a una sceneggiatura che funzione come un cronografo ad alta precisione, inesorabile. Purtroppo ho visto la versione digitale, della durata di 167', mentre quella integrale, più lunga di 20', è stata girata da Tarantino in pellicola da 70 millimetri Panavision ed è vedibile in Italia nelle seguenti sale: L'Arcadia di Melzo (Milano), Il Cinema Lumiere di Bologna, Cinecittà Studios Teatro 5 di Roma. Una volta di più, grazie maestro!
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