martedì 9 febbraio 2016

Joy

"Joy" di David. O. Russell. Con Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Bradley Cooper, Edgar Ramirez, Diane Ladd, Virginia Madsen, Isabella Rossellini e altri. USA 2015 ½
Come Quentin Tarantino, anche David O. Russell è giunto al suo ottavo film, ma la delusione è cocente pensando a precedenti come Three Kings, Il lato positivo e, soprattutto American Hustle. Con ogni probabilità il suo tocco surreale e lo sguardo sornione e disincantato non erano adatti a un film biografico sulla imprenditrice italoamericana Joe Mangano, l'inventrice del "Miracle Mop", una sorta di "mocio" che si strizza da solo e, in seguito a questo suo primo clamoroso, ma sudatissimo successo, di altri oggetti che hanno facilitato la vita domestica. Quel che ne viene fuori è una fiaba che, vista con occhi europei, risulta essere scritta e raccontata per bambini deficienti, per quanto alcuni spunti possano essere istruttivi da un punto di vista antropologico perché mostrano i meccanismi interni di una famiglia americana che, per quanto disfunzionale nella fattispecie, mostra parecchi tratti tipici, ma soprattutto ci ricorda ancora una volta su cosa si fonda il tanto decantato sogno americano, quello per cui ognuno, senza distinzione di razza (mah!), religione, condizione sociale ha la sua chance (in realtà una su diecimila, o giù di lì) di farcela a entrare nel Grande Business, insomma ad avere successo, e quindi fare soldi, ossia l'unica motivazione che anima questo Paese di alienati, fottendo allegramente il prossimo, perché in questo gioco tutto è più o meno lecito, e un sistema giuridico demenziale e fatto apposta per proteggere corporations e arricchire avvocati è lì a garantire la legge della giungla, o del Far West, che poi è lo stesso. Joy Mangano, giovane madre di due figli piccoli su cui pesano un marito da cui pure ha divorziato che alloggia nel sotterraneo che condivide col suocero (il quale lo detesta) e che non può vivere senza un rapporto sentimentale, una sorellastra che la odia, una madre rimbecillita davanti alle soap opera e una nonna che è l'unica che ne intuisce la creatività e intelligenza, ha rinunciato al college e ai suoi sogni per tenere in piedi questa sua grottesca famiglia allargata, fin quando non riscopre il talento che mostrava già da bambina nel costruire oggetti: inventa il "Miracle Mop", lo produce indebitandosi, riesce ad avere successo convincendo il proprietario di una grossa stazione di televendite a presentare lei stessa la sua creazione, viene invischiata in una storia truffaldina di brevetti e royalties e l'idiozia del padre e della sorellastra Peggy fanno il resto per metterla nei guai, ma alla fine ne viene fuori, in una scena finale quasi western, andando di persona a Dallas a discutere col tipo che ha tentato di fregarle l'idea e di frodarla convincendolo, in maniera del tutto improbabile e ridicola, a calare le braghe e a rifonderla lautamente. Insomma: non si può fare un film su un personaggio reale e facendo perdere completamente credibilità alla vicenda. Inoltre, nonostante una partenza scattante, il film si ammoscia quasi subito e dopo nemmeno 60 minuti (su 124) ero già lì a compulsare l'orologio (in quasi tre ore di The Hateful Eight non mi è capitato nemmeno durante l'intervallo). L'unico motivo per vedere questo film oltremodo palloso è Jennifer Lawrence, che lo regge da sola e si conferma ampiamente, mentre De Niro ormai è alla caricatura della caricatura di sé stesso, ossia del Jack Byrnes della serie Ti presento (i miei, i tuoi, i nostri...): per fortuna ci è stato risparmiato quell'idiota di Ben Stiller. Brad Cooper, con l'occhio perennemente sbarrato e l'aria leggermente stordita non fa più di tanti danni, mentre Isabella Rossellini è penosa e dobbiamo ringraziarla di non aver mai preso più di tanto sul serio la sua carriera di attrice. Insomma un'autentica patacca, per di più irritante, e tanto più grossa perché David O. Russell le sue qualità le aveva già mostrate in precedenza. Peccato.

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