"Vizio di forma" (Inherent Vice) di Paul Thomas Anderson. Con Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Josh Brolin, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro, Eric Roberts, Owen Wilson, Sasha Pieterse. USA 2014 ★★★★
A prescindere dal titolo che sembra tradotto da Matteo Renzi per la totale incomprensione dell'inglese (giuridicamente, e usato specialmente in campo assicurativo, il rischio intrinseco è quello inevitabile, inerente a una determinata attività, e qui allude a quello di ogni sistema di deflagrare sotto le spinte delle sue componenti interne) e dall'essere, almeno apparentemente, senza trama, per cui chi si attende un giallo dallo svolgimento lineare e una conclusione logica è meglio che lo eviti, è un film che suscita impressioni che, nel mio caso, già positive in partenza, lasciate decantare ne fanno aumentare spessore e senso. Doc Sportello, un sorprendentemente bravo e intenso Joaquin Phoenix, è un Philip Marlowe trasportato nel 1970, sempre in California, e sempre in un periodo di cambio epocale: quello del tramonto del sogno hippie e libertario e i prodromi degli sciagurati anni Ottanta che avrebbero portato al trionfo quell'Edonismo Reaganiano, termine genialmente inventato qui da noi, che ne è il fondamento ideologico e che, con qualche variante, domina tuttora. Costantemente avvolto nei fumi della cannabis, Doc è incaricato dall'ex convivente Shasta, di cui è ancora innamorato, di ritrovare il suo attuale fidanzato, il palazzinaro Wolfmann, che si sospetta sia stato rapito per farlo ricoverare in una clinica psichiatrica al fine di sottrargli il patrimonio, e nonostante sia costantemente intronato e apparentemente sfasato rispetto alla realtà, ha intuito e acume sufficienti per rintracciarlo, nonostante gli intralci postigli dalla sua "nemesi", il tenente Bigfoot Bjornsen, interpretato dall'altrettanto bravo Josh Brolin, che inizialmente lo accusa di omicidio, e da una banda di Hell's Angels nazistizzati in combutta con frange del Black Power (il tutto e il contrario di tutto). Senza un filo logico e, come accennato, senza una trama vera e propria ma che può contare su una sceneggiatura impeccabile, è una pellicola tutta sensazioni che si insinuano sotto traccia grazie alle vivide atmosfere rétro che rende grazie a una fotografia strepitosa e una grande attenzione ai particolari; una colonna sonora puntuale e di prima qualità tra cui spiccano alcuni "pezzi forti" di Neil Young; un ritmo vagamente allucinogeno e comunque coinvolgente che alterna accelerazioni a momenti onirici, colpi a sorpresa e fasi d riflessioni non banali; l'immedesimazione che suscitano i personaggi, tutti azzeccati e affidati ad attori in gran forma: per certi versi, oltre ad alcuni adattamenti dei noir di Chandler, mi ha ricordato "China Town" e perfino "Professione Reporter". Un film singolare, da assaporare, che mi ha pienamente soddisfatto.
A prescindere dal titolo che sembra tradotto da Matteo Renzi per la totale incomprensione dell'inglese (giuridicamente, e usato specialmente in campo assicurativo, il rischio intrinseco è quello inevitabile, inerente a una determinata attività, e qui allude a quello di ogni sistema di deflagrare sotto le spinte delle sue componenti interne) e dall'essere, almeno apparentemente, senza trama, per cui chi si attende un giallo dallo svolgimento lineare e una conclusione logica è meglio che lo eviti, è un film che suscita impressioni che, nel mio caso, già positive in partenza, lasciate decantare ne fanno aumentare spessore e senso. Doc Sportello, un sorprendentemente bravo e intenso Joaquin Phoenix, è un Philip Marlowe trasportato nel 1970, sempre in California, e sempre in un periodo di cambio epocale: quello del tramonto del sogno hippie e libertario e i prodromi degli sciagurati anni Ottanta che avrebbero portato al trionfo quell'Edonismo Reaganiano, termine genialmente inventato qui da noi, che ne è il fondamento ideologico e che, con qualche variante, domina tuttora. Costantemente avvolto nei fumi della cannabis, Doc è incaricato dall'ex convivente Shasta, di cui è ancora innamorato, di ritrovare il suo attuale fidanzato, il palazzinaro Wolfmann, che si sospetta sia stato rapito per farlo ricoverare in una clinica psichiatrica al fine di sottrargli il patrimonio, e nonostante sia costantemente intronato e apparentemente sfasato rispetto alla realtà, ha intuito e acume sufficienti per rintracciarlo, nonostante gli intralci postigli dalla sua "nemesi", il tenente Bigfoot Bjornsen, interpretato dall'altrettanto bravo Josh Brolin, che inizialmente lo accusa di omicidio, e da una banda di Hell's Angels nazistizzati in combutta con frange del Black Power (il tutto e il contrario di tutto). Senza un filo logico e, come accennato, senza una trama vera e propria ma che può contare su una sceneggiatura impeccabile, è una pellicola tutta sensazioni che si insinuano sotto traccia grazie alle vivide atmosfere rétro che rende grazie a una fotografia strepitosa e una grande attenzione ai particolari; una colonna sonora puntuale e di prima qualità tra cui spiccano alcuni "pezzi forti" di Neil Young; un ritmo vagamente allucinogeno e comunque coinvolgente che alterna accelerazioni a momenti onirici, colpi a sorpresa e fasi d riflessioni non banali; l'immedesimazione che suscitano i personaggi, tutti azzeccati e affidati ad attori in gran forma: per certi versi, oltre ad alcuni adattamenti dei noir di Chandler, mi ha ricordato "China Town" e perfino "Professione Reporter". Un film singolare, da assaporare, che mi ha pienamente soddisfatto.
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