"Latin Lover" di Cristina Comencini. Con Virna Lisi, Marisa Paredes, Angela Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla Vitala, Nadeau Miranda, Cecilia Zangaro, Francesco Scianna, Lluís Homar, Neri Marcorè, Claudio Gioé, Toni Bertorelli, Jordi Mollá e altri. Italia, 2015 ★★★★+
Commedia tutta da godere, e omaggio ironico quanto affettuoso ai tempi d'oro del cinema italiano, tutta al femminile anche se il pretesto è la celebrazione, nel decimo anniversario della morte, del Latin Lover Saverio Crispo, una gloria nazionale. Per l'occasione, nel paesino pugliese dov'era nato e cresciuto, si radunano le due ex consorti, Rita, la prima moglie, che se lo riprese per assisterlo in punto di morte (Virna Lisi nella sua ultima interpretazione, sempre all'altezza), e Ramona, sposata durante il periodo degli "Spaghetti Western" girati nel Paese iberico (Marisa Paredes: strepitosa) più le cinque figlie avute nelle diverse fasi (italiana, francese, spagnola, bergmaniana-svedese, hollywoodiana) della sua carriera, e i cui nomi cominciano tutti per esse: Susanna, Stéphanie, Segunda (che è la terza), Solveigh e Shelley, che vivono tutte nell'idolatria di un padre che, in realtà, non hanno mai conosciuto, e il cui incontro, fra diversità di caratteri, gelosie, nevrosi, fissazioni, paure, malintesi, dà il via a un fuoco d'artificio su cui dominano, dall'alto dell'esperienza e della conquistata "pace dei sensi", le due vecchie, fenomenali "carampane" sopraccitate, anche se tutte la altre interpreti sono all'altezza così come i comprimari maschili: Neri Marcorè nei panni del "montatore" di fiducia di Saverio, detestato dalla prima moglie Rita e fidanzato in incognito della figlia più anziana, Susanna (Anna Finocchiaro); Claudio Gioè in quelli del giornalista viscido e leccaculo; Toni Bertocelli in quelli del critico suonato (e bene ha fatto la Comencini a sbertucciare la categoria) e Jordi Mollá in quelli del marito di Segunda, traditore impenitente dallo sguardo spermatico. Un film dominato dalle donne, nella trama come nella vita di Saverio, se non fosse che a sorpresa irrompe sulla scena, nel culmine delle celebrazioni, Pedro (Luís Homar, altro attore almodovariano come Mollá e Paredes), lo stunt-man di fiducia di Saverio, che sembra conoscerlo meglio di tutte le componenti del gineceo che circondava il mitico attore scomparso, cui dà il volto un efficacissimo Francesco Scianna, che impersona un frullato fra Mastroianni, Tognazzi, Volontè e Gassman, con prevalenza di quest'ultimo. Su tutto il pollaio vigila il più che probabile, certo frutto di un amore ancillare, Saveria, la cameriera, imperturbabile e sorniona, che oltre a essere tra le "ragazze" quella che più assomiglia al padre, e ne porta il nome proprio, è anche colei che meglio lo ha conosciuto, così come Pedro. Buon sangue non mente, nel caso di Cristina Comencini, che ha curato anche la sceneggiatura assieme alla figlia Giulia Calenda, che ben conosce dall'interno il mondo del cinema, di "quel" cinema, anche se i rimandi, più che a cotanto padre, sono a Mario Monicelli. Rispetto al recente, penoso "Il nome del figlio" siamo su un altro pianeta, diversi sono i livelli dell'ambiente di riferimento, e a differenza dell'Archibugi la Comencini non solo "non se la tira" ma sa usare l'arma dell'autoironia, così come gli interpreti che ha scelto e che hanno tutta l'aria di essersela spassata un mondo durante le riprese. Così come ho fatto io vedendo il film. Brava!
Commedia tutta da godere, e omaggio ironico quanto affettuoso ai tempi d'oro del cinema italiano, tutta al femminile anche se il pretesto è la celebrazione, nel decimo anniversario della morte, del Latin Lover Saverio Crispo, una gloria nazionale. Per l'occasione, nel paesino pugliese dov'era nato e cresciuto, si radunano le due ex consorti, Rita, la prima moglie, che se lo riprese per assisterlo in punto di morte (Virna Lisi nella sua ultima interpretazione, sempre all'altezza), e Ramona, sposata durante il periodo degli "Spaghetti Western" girati nel Paese iberico (Marisa Paredes: strepitosa) più le cinque figlie avute nelle diverse fasi (italiana, francese, spagnola, bergmaniana-svedese, hollywoodiana) della sua carriera, e i cui nomi cominciano tutti per esse: Susanna, Stéphanie, Segunda (che è la terza), Solveigh e Shelley, che vivono tutte nell'idolatria di un padre che, in realtà, non hanno mai conosciuto, e il cui incontro, fra diversità di caratteri, gelosie, nevrosi, fissazioni, paure, malintesi, dà il via a un fuoco d'artificio su cui dominano, dall'alto dell'esperienza e della conquistata "pace dei sensi", le due vecchie, fenomenali "carampane" sopraccitate, anche se tutte la altre interpreti sono all'altezza così come i comprimari maschili: Neri Marcorè nei panni del "montatore" di fiducia di Saverio, detestato dalla prima moglie Rita e fidanzato in incognito della figlia più anziana, Susanna (Anna Finocchiaro); Claudio Gioè in quelli del giornalista viscido e leccaculo; Toni Bertocelli in quelli del critico suonato (e bene ha fatto la Comencini a sbertucciare la categoria) e Jordi Mollá in quelli del marito di Segunda, traditore impenitente dallo sguardo spermatico. Un film dominato dalle donne, nella trama come nella vita di Saverio, se non fosse che a sorpresa irrompe sulla scena, nel culmine delle celebrazioni, Pedro (Luís Homar, altro attore almodovariano come Mollá e Paredes), lo stunt-man di fiducia di Saverio, che sembra conoscerlo meglio di tutte le componenti del gineceo che circondava il mitico attore scomparso, cui dà il volto un efficacissimo Francesco Scianna, che impersona un frullato fra Mastroianni, Tognazzi, Volontè e Gassman, con prevalenza di quest'ultimo. Su tutto il pollaio vigila il più che probabile, certo frutto di un amore ancillare, Saveria, la cameriera, imperturbabile e sorniona, che oltre a essere tra le "ragazze" quella che più assomiglia al padre, e ne porta il nome proprio, è anche colei che meglio lo ha conosciuto, così come Pedro. Buon sangue non mente, nel caso di Cristina Comencini, che ha curato anche la sceneggiatura assieme alla figlia Giulia Calenda, che ben conosce dall'interno il mondo del cinema, di "quel" cinema, anche se i rimandi, più che a cotanto padre, sono a Mario Monicelli. Rispetto al recente, penoso "Il nome del figlio" siamo su un altro pianeta, diversi sono i livelli dell'ambiente di riferimento, e a differenza dell'Archibugi la Comencini non solo "non se la tira" ma sa usare l'arma dell'autoironia, così come gli interpreti che ha scelto e che hanno tutta l'aria di essersela spassata un mondo durante le riprese. Così come ho fatto io vedendo il film. Brava!
Nessun commento:
Posta un commento