Devo ammettere che è con una certa soddisfazione che assisto alla definitiva e da me auspicata disintegrazione del PD, ultima reincarnazione del PCI-PDS-DS, concentrato di ipocrisia, arroganza, cinismo, autoritarismo, ambiguità nonché inettitudine travestito, per gli ingenui che se la bevevano, da paladino, anzi: strumento politico necessario per la realizzazione dell'ideale che l'aveva (forse) ispirato nel lontano 1921. La definitiva democristianizzazione che sta portando alla sua giusta fine non è che l'ultima, logica conseguenza del togliattismo che l'ha afflitto pressoché dalla nascita, e che è stato l'essenza, nella forma italiota, del fu sedicente partito marxista e della classe operaia. Accolgo quindi con gioia l'esito del voto della Direzione del PD sulla mozione relativa al Jobs Act, non solo perché conferma, andando oltre le mie più rosee previsioni, che Renzi riuscirà a distruggere il PD, ma anche perché rappresenta un atto di giustizia. Perché questo è ciò che si meritano gli esponenti della cosiddetta "minoranza de sinistra", capaci perfino in quest'occasione di spaccarsi al loro interno, e in particolare i due suoi leader più "prestigiosi" (e per questo nocivi per la comunità intera): Perluigi Bersani e il suo vate Massimo D'Alema.
E, con loro, chi si è ostinato per decenni a sostenere e votare il partito (e i suoi pendant) di cui sono espressione. Matteo Renzi, con tutto il suo corollario di ministre cheerleader e la miracolata corte di consiglieri e collaboratori, è figlio loro, risultato del fallimento su tutti i fronti di un'intera generazione. O almeno della parte vincente (e "dirigente"), dagli anni Ottanta in qua, della generazione, la mia, dei baby-boomers: perché questo vale non solo per la politica (destra o sinistra, se le definizioni hanno ancora un senso, non importa), ma per tutto il resto, dalla scuola, alla cultura in generale, allo sport, alla musica: a riprova, lo stato in cui si trovano. Cresciuta nel mito dell'antifascismo di facciata, retorico e parodistico, non è tuttora in grado di riconoscere la tara ereditaria dell'autoritarismo là dove si annida da sempre: non solo e non tanto nelle istituzioni quanto in sé stessi, perché è questa l'anima immutabile della Terra dei Cachi (di cui non a caso il fascismo fu l'unica invenzione politica originale). Anche per ciò è stato godurioso assistere alle esibizioni di Bersani e D'Alema ieri: la stantia querelle sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, in sé inutile, è soltanto uno specchietto per le allodole (più serio sarebbe occuparsi non solo del lavoro che manca ma anche, se non soprattutto, della sua qualità e contenuto, invece di dissertarne a vanvera) perché la materia del contendere, se così si può dire, è tutt'altro, ossia la gestione "autoritaria" del partito da parte del suo attuale segretario; così come per il buon De Bortoli, la questione non è il contenuto delle "riforme" del Governo Renzi bensì il modo di agire e comportarsi di questo personaggio insopportabile, insomma la forma più che la sostanza. Sentire parlare di "metodo Boffo" e di gestione autocratica da parte di due teorici e praticanti del centralismo democratico è stata musica per le mie orecchie che hanno provato piaceri dimenticati, e per quest'oggi mi basta, in attesa della prossima puntata: le ultime notizie dal mondo pentastellato, peraltro silente in attesa dei fuochi d'artificio al Circo Massimo, danno una ripresa dell'attività profetica di Gianroberto Casaleggio che predice la sparizione dei giornali in Italia entro il 2027, ma visto l'andazzo potrebbe verificarsi prima quella dell'amico Segretario, che di recente aveva paventato la scomparsa del sindacato confederale, di cui è dirigente, prima di raggiungere, nel 2024, l'età pensionabile...
2023 pirlone! ci manca che mi scippi un anno!
RispondiEliminaCon gente come lo Stronzie e la Bòschera in ballo puoi darlo per scontato...
RispondiEliminaE' Il commento di un certo Jayo
RispondiElimina22 settembre 2014 alle 14:53
(altimenti non si capiva...)