"Anime nere" di Francesco Munzi. Con Fabrizio Ferracane, Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Giuseppe Fumo, Aurora Quattrocchi, Anna Ferruzzo. Pasquale Romeo, Vito Facciolla e, immancabilmente, Barbora "Prezzemolo" Bobulova. Italia, Francia 2014 ★★★★½
Gran bel film sotto tutti i punti di vista: la storia che racconta, una faida famigliare di n'drangheta (che io ricordi una delle mafie più neglette in campo cinematografico); una fotografia cupa che sottolinea il lato tragico della storia; una sceneggiatura solida; un ritmo perfetto; un lavoro di cesello sui personaggi; una serie di interpretazioni misurate ed estremamente efficaci (tranne in un caso, su cui tornerò); una fotografia memorabile. Ad Africo (paese dell'Aspromonte che diede il titolo a un bellissimo libro di Corrado Stajano più di trenta anni fa che ne raccontava vicende che vi erano accadute) l'adolescente Leo reagisce a una provocazione del clan rivale mandando in frantumi, con una fucilata a pallettoni, la vetrina di un bar, e poi raggiunge a Milano lo zio Luigi , il più giovane e intraprendente di tre fratelli, che viaggia per l'Europa trafficando in cocaina. Lì si è sistemato anche Rocco, un altro zio, che opera in campo edilizio e finanziario (il film non lo dice ma il rimando a Expo 2015 è nei fatti), perfettamente integrato in quella che fu la "città da bere" e oggi da depredare, mentre ad Africo è rimasto il padre di Leo, Luciano, disprezzato dal figlio per la sua remissività, che si occupa degli animali, del podere e delle memorie ci famiglia. L'impresa di Leo viene riportata ai due zii, e Luigi lo riaccompagna ad Africo, dove il suo ritorno scatena una faida senza esclusione di colpi e che non lascia scampo a nessuno, riservando però un finale a sorpresa (ma credibile nell'ambito del racconto) che, in questo caso, non è opportuno rivelare. Oltre a una regia sicura sono da sottolineare le prove di Marco Leonardi (Luigi), che ricorda un Claudio Amendola giovane e assai meno caricaturale; l'ottimo Peppino Mazzotta (Rocco, già ispettore Fazio nella serie "Montalbano"), il bravissimo Fabrizio Ferracane (Luciano) e il giovane Giuseppe Fumo (Leo); straordinaria l'interpretazione della madre e nonna Aurora Quattrocchi mentre rimane inspiegabile, per me, l'ennesimo ingaggio di Barbora Bobulova, con decine di attrici italiane, anche di origine settentrionale, che avrebbero potuto interpretare in modo più credibile il ruolo della moglie borghese di Rocco, sposatasi all'uomo danaroso di turno e che mai nella sua vita coniugale si è posta una domanda sulle origini del benessere in cui sguazza, salvo "chiamarsi fuori" quando si trova coinvolta in qualcosa che riguarda la vera identità del suo compagno di vita: l'avevamo lasciata, con la sua consueta espressione di quella capitata lì per caso, solo due settimane fa ne I nostri ragazzi sentirsi chiedere dal personaggio lì interpretato Giovanna Mezzogiorno "che cosa cazzo c'entra in questa storia"?, mentre qui è lei che se lo chiede, aggiungendo "Io sono diversa, con voi non c'entro niente". Ecco: sarebbe ora che lo capisse anche chi si ostina ad affidarle ruoli improbabili.
Gran bel film sotto tutti i punti di vista: la storia che racconta, una faida famigliare di n'drangheta (che io ricordi una delle mafie più neglette in campo cinematografico); una fotografia cupa che sottolinea il lato tragico della storia; una sceneggiatura solida; un ritmo perfetto; un lavoro di cesello sui personaggi; una serie di interpretazioni misurate ed estremamente efficaci (tranne in un caso, su cui tornerò); una fotografia memorabile. Ad Africo (paese dell'Aspromonte che diede il titolo a un bellissimo libro di Corrado Stajano più di trenta anni fa che ne raccontava vicende che vi erano accadute) l'adolescente Leo reagisce a una provocazione del clan rivale mandando in frantumi, con una fucilata a pallettoni, la vetrina di un bar, e poi raggiunge a Milano lo zio Luigi , il più giovane e intraprendente di tre fratelli, che viaggia per l'Europa trafficando in cocaina. Lì si è sistemato anche Rocco, un altro zio, che opera in campo edilizio e finanziario (il film non lo dice ma il rimando a Expo 2015 è nei fatti), perfettamente integrato in quella che fu la "città da bere" e oggi da depredare, mentre ad Africo è rimasto il padre di Leo, Luciano, disprezzato dal figlio per la sua remissività, che si occupa degli animali, del podere e delle memorie ci famiglia. L'impresa di Leo viene riportata ai due zii, e Luigi lo riaccompagna ad Africo, dove il suo ritorno scatena una faida senza esclusione di colpi e che non lascia scampo a nessuno, riservando però un finale a sorpresa (ma credibile nell'ambito del racconto) che, in questo caso, non è opportuno rivelare. Oltre a una regia sicura sono da sottolineare le prove di Marco Leonardi (Luigi), che ricorda un Claudio Amendola giovane e assai meno caricaturale; l'ottimo Peppino Mazzotta (Rocco, già ispettore Fazio nella serie "Montalbano"), il bravissimo Fabrizio Ferracane (Luciano) e il giovane Giuseppe Fumo (Leo); straordinaria l'interpretazione della madre e nonna Aurora Quattrocchi mentre rimane inspiegabile, per me, l'ennesimo ingaggio di Barbora Bobulova, con decine di attrici italiane, anche di origine settentrionale, che avrebbero potuto interpretare in modo più credibile il ruolo della moglie borghese di Rocco, sposatasi all'uomo danaroso di turno e che mai nella sua vita coniugale si è posta una domanda sulle origini del benessere in cui sguazza, salvo "chiamarsi fuori" quando si trova coinvolta in qualcosa che riguarda la vera identità del suo compagno di vita: l'avevamo lasciata, con la sua consueta espressione di quella capitata lì per caso, solo due settimane fa ne I nostri ragazzi sentirsi chiedere dal personaggio lì interpretato Giovanna Mezzogiorno "che cosa cazzo c'entra in questa storia"?, mentre qui è lei che se lo chiede, aggiungendo "Io sono diversa, con voi non c'entro niente". Ecco: sarebbe ora che lo capisse anche chi si ostina ad affidarle ruoli improbabili.
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