"The German Doctor - Wakolda" (El médico alemán) di Lucía Puenzo. Con Alex Brendmühl, Natalia Otero, Diego Peretti, Florencia Bado, Elena Roger, Guillermo Pfening, Ana Pauls, Alan Daics, Abril Braunstein, Juani Martínez. Argentina, Francia, Spagna, Norvegia, Germania 2013 ★★★★
Convincente ricostruzione ambientale e storica di uno scorcio della lunga latitanza sudamericana di Josef Mengele, conosciuto come l'Angelo della morte, il medico, antropologo e genetista tedesco famoso per gli esperimenti che conduceva ad Auschwitz. In particolare il film narra del tratto argentino della sua eterna fuga, durata fino alla morte, avvenuta in Brasile nel 1979 per cause naturali, attorno al 1960. In quel periodo si rifugiò vicino a Bariloche, primo ospite di un albergo (che esiste tuttora) appena riaperto da una famiglia che aveva seguito, in un viaggio "in carovana", lungo una delle rutas del desierto che attraversano la Patagonia per raggiungere il celebre centro turistico ai piedi delle Ande e al confine col Cile famoso per avere ospitato Erich Priebke come decine di altri criminali di guerra nazisti fuggiti con la complicità del Vaticano e accolti con compiacenza dal regime di Perón così come dai suoi successori. Pur sottolinenando questo aspetto, così come l'appoggio concreto fornito dalla nutrita e ben organizzata comunità tedesca ai fuggiaschi (ma sono ancora di più gli italiani, e piemontesi in particolare, in quella zona), lo sguardo di Lucía Puenzo (giovane e valente scrittrice e sceneggiatrice, che qui porta sullo schermo un suo romanzo, "Wakolda", come fece già nel 2007 con "XXY", tratto dal racconto "Cinismo" di Sergio Bizzio), in questo erede del padre Luís (regista de "La storia ufficiale" del 1985), è intimista e scandaglia la relazione tra Mengele e la famiglia che lo ospita, e di cui riesce a conquistare la fiducia tanto da affidargli la "cura" della figlia Lilith, nata settimina e, a 12 anni, sottosviluppata per la sua età, verso cui si era posata immediatamente l'attenzione scientifica di Mengele, che non ha mai nella sua vita rinunciato a fare le sue sperimentazioni, come testimoniano i suoi quaderni su cui annotava minuziosamente ogni dato, faceva disegni di una perfezione rara, avanzava ipotesi. In quel momento si dedicava alla veterinaria e a un laboratorio che aveva a Bariloche, ma alla prima occasione, e Lilith nonché la gravidanza di due gemelli della sua giovane madre, costituivano un boccone prelibato, non esitava a provare i suoi preparati ormonali e chimici sugli umani, convinto, attraverso la scienza, di poter migliorare la razza umana fino alla perfezione dei "Sonnenkinder", i bambini del sole risultato del progetto "Lebensborn" (Sorgente di vita) di hitleriana memoria. Come spesso accade nei film argentini molto è lasciato alla capacità di esprimere una sensazione di straniamento, talvolta di tensione angosciosa verso l'ineluttabile, da parte degli interpreti, in gran parte attraverso sguardi, silenzi, piccoli dettagli: dove poche sono le parole ma dense, e necessaria una grande capacità di interpretazione più che il seguire un copione infarcito di battute e una sceneggiatura ridondante. Un cinema di tipo evocativo, quasi subliminale, cui contribuiscono non poco, anche in questo caso, paesaggi isolati e spesso inquietanti nella loro spettacolarità talvolta spettrale. Anche la parte d'azione del film che pure non manca, tesa senza bisogno di usare mezzi speciali, segue questa traccia: il padre di Lilith, un progettista di bambole di origine italiana, diffida del medico che cura la figlia ma i suoi sospetti si basano su sensazioni più che su fatti concreti, mentre la fotografa e archivista della locale scuola tedesca, un'ebrea infiltrata nella comunità dal Mossad che individua l'identità di Mengele basandosi sui fatti, lo segnala ai suoi superiori a Buenos Aires ma questi, appena coinvolti nel rapimento di Adolf Eichmann, arriveranno in ritardo, quando Herr Doktor Mengele avrà già preso il volo per il vicino Paraguay, dal 1954 al 1989 governato da Alfredo Stroeßner (un nome, una garanzia). Vivamente consigliato.
Convincente ricostruzione ambientale e storica di uno scorcio della lunga latitanza sudamericana di Josef Mengele, conosciuto come l'Angelo della morte, il medico, antropologo e genetista tedesco famoso per gli esperimenti che conduceva ad Auschwitz. In particolare il film narra del tratto argentino della sua eterna fuga, durata fino alla morte, avvenuta in Brasile nel 1979 per cause naturali, attorno al 1960. In quel periodo si rifugiò vicino a Bariloche, primo ospite di un albergo (che esiste tuttora) appena riaperto da una famiglia che aveva seguito, in un viaggio "in carovana", lungo una delle rutas del desierto che attraversano la Patagonia per raggiungere il celebre centro turistico ai piedi delle Ande e al confine col Cile famoso per avere ospitato Erich Priebke come decine di altri criminali di guerra nazisti fuggiti con la complicità del Vaticano e accolti con compiacenza dal regime di Perón così come dai suoi successori. Pur sottolinenando questo aspetto, così come l'appoggio concreto fornito dalla nutrita e ben organizzata comunità tedesca ai fuggiaschi (ma sono ancora di più gli italiani, e piemontesi in particolare, in quella zona), lo sguardo di Lucía Puenzo (giovane e valente scrittrice e sceneggiatrice, che qui porta sullo schermo un suo romanzo, "Wakolda", come fece già nel 2007 con "XXY", tratto dal racconto "Cinismo" di Sergio Bizzio), in questo erede del padre Luís (regista de "La storia ufficiale" del 1985), è intimista e scandaglia la relazione tra Mengele e la famiglia che lo ospita, e di cui riesce a conquistare la fiducia tanto da affidargli la "cura" della figlia Lilith, nata settimina e, a 12 anni, sottosviluppata per la sua età, verso cui si era posata immediatamente l'attenzione scientifica di Mengele, che non ha mai nella sua vita rinunciato a fare le sue sperimentazioni, come testimoniano i suoi quaderni su cui annotava minuziosamente ogni dato, faceva disegni di una perfezione rara, avanzava ipotesi. In quel momento si dedicava alla veterinaria e a un laboratorio che aveva a Bariloche, ma alla prima occasione, e Lilith nonché la gravidanza di due gemelli della sua giovane madre, costituivano un boccone prelibato, non esitava a provare i suoi preparati ormonali e chimici sugli umani, convinto, attraverso la scienza, di poter migliorare la razza umana fino alla perfezione dei "Sonnenkinder", i bambini del sole risultato del progetto "Lebensborn" (Sorgente di vita) di hitleriana memoria. Come spesso accade nei film argentini molto è lasciato alla capacità di esprimere una sensazione di straniamento, talvolta di tensione angosciosa verso l'ineluttabile, da parte degli interpreti, in gran parte attraverso sguardi, silenzi, piccoli dettagli: dove poche sono le parole ma dense, e necessaria una grande capacità di interpretazione più che il seguire un copione infarcito di battute e una sceneggiatura ridondante. Un cinema di tipo evocativo, quasi subliminale, cui contribuiscono non poco, anche in questo caso, paesaggi isolati e spesso inquietanti nella loro spettacolarità talvolta spettrale. Anche la parte d'azione del film che pure non manca, tesa senza bisogno di usare mezzi speciali, segue questa traccia: il padre di Lilith, un progettista di bambole di origine italiana, diffida del medico che cura la figlia ma i suoi sospetti si basano su sensazioni più che su fatti concreti, mentre la fotografa e archivista della locale scuola tedesca, un'ebrea infiltrata nella comunità dal Mossad che individua l'identità di Mengele basandosi sui fatti, lo segnala ai suoi superiori a Buenos Aires ma questi, appena coinvolti nel rapimento di Adolf Eichmann, arriveranno in ritardo, quando Herr Doktor Mengele avrà già preso il volo per il vicino Paraguay, dal 1954 al 1989 governato da Alfredo Stroeßner (un nome, una garanzia). Vivamente consigliato.
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