"La sedia della felicità" di Carlo Mazzacurati. Con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Katia Ricciarelli, Natalino Balasso, Raul Cremona, Marco Mazzocca, Roberto Abbiati, Mirco Artuso, Milena Vukotic, Maria Paiato e altri. Italia 2013 ★★★½
E' una favola a lieto fine, il film d'addio di Carlo Mazzacurati, scomparso prematuramente nel gennaio di quest'anno, un regista garbato, ironico, sensibile, aggraziato, che sempre nei suoi lavori ha raccontato storie di gente comune, spesso perdenti, sradicati, ma cui non viene mai meno la speranza, quasi sempre ambientate nel Veneto profondo che conosceva così bene, essendo nato e vissuto a Padova e che amava, anche se ne vedeva, e non mancava di raccontarlo, il mutamento antropologico, la disgregazione del tessuto culturale e umano. Riusciva però sempre a individuare il lato positivo delle cose e dei protagonisti delle sue storie. Anche qui, come in altri suoi film, c'è un lato surreale: Bruna, la bravissima Isabella Ragonese, un'estetista indebitata e perseguitata da un fornitore esoso, oltre che tradita dal fidanzato, raccoglie la confidenza, in punto di morte, di Norma Pecche, la madre di un famoso bandito (il riferimento a Felicino Maniero è evidente), cui fa il manicure nel carcere femminile della Giudecca, a Venezia: ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle otto sedie del salotto di casa. Decisa a dare una svolta alla sua esistenza, Bruna va a cercarla nella villa abitata dalla donna prima che venisse arrestata, e rimane prigioniera nel parco, minacciata da un cinghiale. In suo aiuto viene Dino, l'ottimo Valerio Mastandrea, un tatuatore separato di recente che ha aperto bottega al Lido di Jesolo di fronte alla sua, e da quel momento parteciperà alla "caccia al tesoro", ché di questo si tratta, in definitiva, dopo che i due hanno scoperto che le sedie, poste sotto sequestro, sono state rivendute a diversi acquirenti in aste giudiziarie, e si mettono sulle tracce degli oggetti, tra l'altro esteticamente orrendi, tra collezionisti, maniaci, maghi, ristoratori cinesi e personaggi strani. Scopriranno di non essere soli: anche padre Weiner, Giuseppe Battiston, perfetto e misurato come sempre nonostante la mole, il cappellano del carcere, aveva ascoltato le ultime parole della reclusa, mentre stava dandole l'estrema unzione e Norma si era ripresa per un attimo convinta di parlare con Bruna, e per un po' si formerà un trio che batterà il Veneto dal mare, alla pianura alle Dolomiti, dove la favola avrà il suo epilogo nel maso di due fratelli allevatori di mucche, uno dei quali è anche un pittore naïf. A parte i tre protagonisti principali, in una serie di camei riuscitissimi tutti gli attori con cui Mazzacurati lavorava abitualmente ed era legato da amicizia, da Silvio Orlando a Fabrizio Bentivoglio, ad Antonio Albanese. A me il film è piaciuto, mi ha divertito, sono uscito dalla sala col sorriso sulle labbra nonostante la tristezza per la morte dell'autore, e non l'ho trovato inferiore a quelli che l'hanno preceduto: una commedia intelligente, agganciata a una realtà che il regista conosceva bene e incentrata su tipi umani solitamente trascurati, sentimentale ma non melensa, affettuosa, sorridente. Per un uomo che sapeva di essere prossimo alla fine, un messaggio di ottimismo e di serenità. Ci mancherà.
E' una favola a lieto fine, il film d'addio di Carlo Mazzacurati, scomparso prematuramente nel gennaio di quest'anno, un regista garbato, ironico, sensibile, aggraziato, che sempre nei suoi lavori ha raccontato storie di gente comune, spesso perdenti, sradicati, ma cui non viene mai meno la speranza, quasi sempre ambientate nel Veneto profondo che conosceva così bene, essendo nato e vissuto a Padova e che amava, anche se ne vedeva, e non mancava di raccontarlo, il mutamento antropologico, la disgregazione del tessuto culturale e umano. Riusciva però sempre a individuare il lato positivo delle cose e dei protagonisti delle sue storie. Anche qui, come in altri suoi film, c'è un lato surreale: Bruna, la bravissima Isabella Ragonese, un'estetista indebitata e perseguitata da un fornitore esoso, oltre che tradita dal fidanzato, raccoglie la confidenza, in punto di morte, di Norma Pecche, la madre di un famoso bandito (il riferimento a Felicino Maniero è evidente), cui fa il manicure nel carcere femminile della Giudecca, a Venezia: ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle otto sedie del salotto di casa. Decisa a dare una svolta alla sua esistenza, Bruna va a cercarla nella villa abitata dalla donna prima che venisse arrestata, e rimane prigioniera nel parco, minacciata da un cinghiale. In suo aiuto viene Dino, l'ottimo Valerio Mastandrea, un tatuatore separato di recente che ha aperto bottega al Lido di Jesolo di fronte alla sua, e da quel momento parteciperà alla "caccia al tesoro", ché di questo si tratta, in definitiva, dopo che i due hanno scoperto che le sedie, poste sotto sequestro, sono state rivendute a diversi acquirenti in aste giudiziarie, e si mettono sulle tracce degli oggetti, tra l'altro esteticamente orrendi, tra collezionisti, maniaci, maghi, ristoratori cinesi e personaggi strani. Scopriranno di non essere soli: anche padre Weiner, Giuseppe Battiston, perfetto e misurato come sempre nonostante la mole, il cappellano del carcere, aveva ascoltato le ultime parole della reclusa, mentre stava dandole l'estrema unzione e Norma si era ripresa per un attimo convinta di parlare con Bruna, e per un po' si formerà un trio che batterà il Veneto dal mare, alla pianura alle Dolomiti, dove la favola avrà il suo epilogo nel maso di due fratelli allevatori di mucche, uno dei quali è anche un pittore naïf. A parte i tre protagonisti principali, in una serie di camei riuscitissimi tutti gli attori con cui Mazzacurati lavorava abitualmente ed era legato da amicizia, da Silvio Orlando a Fabrizio Bentivoglio, ad Antonio Albanese. A me il film è piaciuto, mi ha divertito, sono uscito dalla sala col sorriso sulle labbra nonostante la tristezza per la morte dell'autore, e non l'ho trovato inferiore a quelli che l'hanno preceduto: una commedia intelligente, agganciata a una realtà che il regista conosceva bene e incentrata su tipi umani solitamente trascurati, sentimentale ma non melensa, affettuosa, sorridente. Per un uomo che sapeva di essere prossimo alla fine, un messaggio di ottimismo e di serenità. Ci mancherà.
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