"Noi 4" di Francesco Bruni. Con Fabrizio Gifuni, Xenia Rappoport, Lucrezia Guidone, Francesco Bracci, Raffaella Lebboroni, Milena Vukotić, Gianluca Gobbi, Giulia Li Zhu Je. Italia, 2014 ★★★★
Più che una conferma il secondo film di Francesco Bruni da regista dopo il positivo esordio con "Scialla" tre anni fa: mano sempre più sicura dietro alla macchina da presa, mentre come sceneggiatore è una certezza da tempo, e prosegue lo sviluppo di uno stile molto personale, originale nel panorama nazionale, che per certi versi, nella sua anomalia, mi fa venire in mente il compianto Carlo Mazzacurati. Alla lettura del riassunto della trama, le vicende di una famiglia-tipo coi genitori separati nel corso di una "giornata particolare" di uno dei suoi componenti, ammetto di essere stato un po' prevenuto, temendo derive veronesiane od ozpetekiane, ma qui fortunatamente abbiamo a che fare con una persona seria, capace di uno sguardo attento, affettuoso ma mai paraculo su situazioni quotidiane, che scandaglia senza giudicare e banalizzarli i sentimenti complessi e contraddittori che si creano all'interno dei rapporti famigliari. La vicenda ruota attorno alla "giornata particolare" di Giacomo, tredicenne serio e timido, alle prese con l'esame di terza media (ma anche con la "dichiarazione" d'amore a una compagna di scuola cinese di cui è innamorato dall'inizio del triennio: sa che è l'ultima occasione prima di perderla di vista), che catalizza attorno a sé le attenzioni ossessive di una madre ansiogena e stakanovista, l'ingegnere d'origine russa Lara, in crisi di prestazione e di mezza età; il padre, il sempre più bravo Fabrizio Gifuni, che con estrema naturalezza riesce a rendere con grande misura i mille risvolti, anche cialtroneschi, di Ettore, un simpatico "cazzone", uno scultore, portato in palmo dalla famiglia di origine nobile e benestante come un grande artista; e la figlia maggiore Emma, di dieci anni più vecchia di Giacomo e in conflitto con la madre, aspirante attrice e occupante del Teatro Valle. Il tutto in una Roma autentica, normale, attuale, con tanto di lavori della metropolitana in corso d'opera (Lara è supervisore nei cantieri eternamente bloccati) e con personaggi alle prese con problemi e angosce di tutti i giorni, pubblici e privati. Bravi tutti gli interpreti della "famiglia a metà", divisa tra l'asse padre-figlia e madre-figlio, coi genitori che si sono sì allontanati tra loro ma rimangono in contatto costante per via della prole e, troveranno comunque un modo per stare insieme, così come sono perfette le figure di contorno, comunque essenziali: la zia di Guglielmo (Raffaella Lebboroni) che ha una funzione equilibratrice delle nevrosi materne sul ragazzino, l'amica della madre (Milena Vukotić), l'amico (milanese in trasferta ma non romanizzato: Gianluca Gobbi) che ospita Ettore e cerca di procurargli un lavoro. Roma c'è, eccome, ma non tracimante e farsesca: il film non è mai romanesco, romanocentrico, luogocomunista e caciarone, e se lo dico io, che ne sono allergico, potete crederci.
Più che una conferma il secondo film di Francesco Bruni da regista dopo il positivo esordio con "Scialla" tre anni fa: mano sempre più sicura dietro alla macchina da presa, mentre come sceneggiatore è una certezza da tempo, e prosegue lo sviluppo di uno stile molto personale, originale nel panorama nazionale, che per certi versi, nella sua anomalia, mi fa venire in mente il compianto Carlo Mazzacurati. Alla lettura del riassunto della trama, le vicende di una famiglia-tipo coi genitori separati nel corso di una "giornata particolare" di uno dei suoi componenti, ammetto di essere stato un po' prevenuto, temendo derive veronesiane od ozpetekiane, ma qui fortunatamente abbiamo a che fare con una persona seria, capace di uno sguardo attento, affettuoso ma mai paraculo su situazioni quotidiane, che scandaglia senza giudicare e banalizzarli i sentimenti complessi e contraddittori che si creano all'interno dei rapporti famigliari. La vicenda ruota attorno alla "giornata particolare" di Giacomo, tredicenne serio e timido, alle prese con l'esame di terza media (ma anche con la "dichiarazione" d'amore a una compagna di scuola cinese di cui è innamorato dall'inizio del triennio: sa che è l'ultima occasione prima di perderla di vista), che catalizza attorno a sé le attenzioni ossessive di una madre ansiogena e stakanovista, l'ingegnere d'origine russa Lara, in crisi di prestazione e di mezza età; il padre, il sempre più bravo Fabrizio Gifuni, che con estrema naturalezza riesce a rendere con grande misura i mille risvolti, anche cialtroneschi, di Ettore, un simpatico "cazzone", uno scultore, portato in palmo dalla famiglia di origine nobile e benestante come un grande artista; e la figlia maggiore Emma, di dieci anni più vecchia di Giacomo e in conflitto con la madre, aspirante attrice e occupante del Teatro Valle. Il tutto in una Roma autentica, normale, attuale, con tanto di lavori della metropolitana in corso d'opera (Lara è supervisore nei cantieri eternamente bloccati) e con personaggi alle prese con problemi e angosce di tutti i giorni, pubblici e privati. Bravi tutti gli interpreti della "famiglia a metà", divisa tra l'asse padre-figlia e madre-figlio, coi genitori che si sono sì allontanati tra loro ma rimangono in contatto costante per via della prole e, troveranno comunque un modo per stare insieme, così come sono perfette le figure di contorno, comunque essenziali: la zia di Guglielmo (Raffaella Lebboroni) che ha una funzione equilibratrice delle nevrosi materne sul ragazzino, l'amica della madre (Milena Vukotić), l'amico (milanese in trasferta ma non romanizzato: Gianluca Gobbi) che ospita Ettore e cerca di procurargli un lavoro. Roma c'è, eccome, ma non tracimante e farsesca: il film non è mai romanesco, romanocentrico, luogocomunista e caciarone, e se lo dico io, che ne sono allergico, potete crederci.
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