"Still Life" di Uberto Pasolini. Con Eddie Marsan, Joanne Froggart, Karen Drury, Andrew Buchan, Ciaran McIntire, Neil D'Souza, Paul Anderson, Tim Potter. GB, Italia 2013 ★★★★½
Una vera chicca, questo sorprendente piccolo grande film, seconda regìa di Uberto Pasolini, parsimonioso nell'uso della cinepresa ma attivo da anni come produttore di film di qualità e successo come Full Monty. "Natura morta", è la traduzione dall'inglese del titolo, e con la morte ha a che vedere l'attività di John May, da 22 anni funzionario della municipalità di Kennington, nel quadrante meridionale di Londra, incaricato della ricerca dei parenti delle persone morte in solitudine e dell'organizzazione delle loro esequie, che avvengono, per lo più, alla sua sola presenza e di cui cura ogni aspetto, dal discorso funebre alla scelta della musica più adeguata. Per farlo, coscienzioso com'è, perlustra, con l'attenzione e il fiuto di un investigatore, le abitazioni dei deceduti alla ricerca degli elementi che possano ricostruirne legami e personalità: in questa maniera, uomini e donne i cui ultimi momenti sono stati segnati dall'abbandono o, tutt'al più, dalla presenza di un animale domestico, ricevono da morti le attenzioni che non hanno avuto da vivi da un estraneo, da un burocrate apparentemente grigio che è in realtà una persona solitaria come loro e che quindi è in grado di capirli, oltre a coltivare nel proprio animo un'empatia autentica verso il prossimo, che nulla ha a che fare con il buonismo bensì con la sensibilità e ciò che i latini chiamavano pietas. Licenziato a causa della riorganizzazione in seguito alla spending revue che anche in Gran Bretagna, che li ha inventati, colpisce i servizi pubblici, John May dedica tutto il suo zelante impegno all'ultimo caso che gli tocca in sorte e che lo mette sulle tracce dell'esistenza tutt'altro che banale di Bill Stoke, morto alcolizzato e solo ma con un passato a tratti felice che si ripresenta, grazie alle ricerche di May, alle sue esequie. Tutto è perfetto in questo film, dalla sceneggiatura, alla fotografia, all'ambientazione, alla recitazione di attori pressoché sconosciuti da noi ma perfetti nel ruolo; un film delicato, rigoroso, che proprio perché non è "urlato", come aveva detto di augurarsi il regista, rimane dentro a chi lo vede. Ovviamente la critica yankee, come dimostra la recensione apparsa su Hollywood Reporter, affidata a un perfetto imbecille e ripresa dal n° 1030 di Internazionale due settimane fa, non apprezza: ma questa è una nota di merito.
Una vera chicca, questo sorprendente piccolo grande film, seconda regìa di Uberto Pasolini, parsimonioso nell'uso della cinepresa ma attivo da anni come produttore di film di qualità e successo come Full Monty. "Natura morta", è la traduzione dall'inglese del titolo, e con la morte ha a che vedere l'attività di John May, da 22 anni funzionario della municipalità di Kennington, nel quadrante meridionale di Londra, incaricato della ricerca dei parenti delle persone morte in solitudine e dell'organizzazione delle loro esequie, che avvengono, per lo più, alla sua sola presenza e di cui cura ogni aspetto, dal discorso funebre alla scelta della musica più adeguata. Per farlo, coscienzioso com'è, perlustra, con l'attenzione e il fiuto di un investigatore, le abitazioni dei deceduti alla ricerca degli elementi che possano ricostruirne legami e personalità: in questa maniera, uomini e donne i cui ultimi momenti sono stati segnati dall'abbandono o, tutt'al più, dalla presenza di un animale domestico, ricevono da morti le attenzioni che non hanno avuto da vivi da un estraneo, da un burocrate apparentemente grigio che è in realtà una persona solitaria come loro e che quindi è in grado di capirli, oltre a coltivare nel proprio animo un'empatia autentica verso il prossimo, che nulla ha a che fare con il buonismo bensì con la sensibilità e ciò che i latini chiamavano pietas. Licenziato a causa della riorganizzazione in seguito alla spending revue che anche in Gran Bretagna, che li ha inventati, colpisce i servizi pubblici, John May dedica tutto il suo zelante impegno all'ultimo caso che gli tocca in sorte e che lo mette sulle tracce dell'esistenza tutt'altro che banale di Bill Stoke, morto alcolizzato e solo ma con un passato a tratti felice che si ripresenta, grazie alle ricerche di May, alle sue esequie. Tutto è perfetto in questo film, dalla sceneggiatura, alla fotografia, all'ambientazione, alla recitazione di attori pressoché sconosciuti da noi ma perfetti nel ruolo; un film delicato, rigoroso, che proprio perché non è "urlato", come aveva detto di augurarsi il regista, rimane dentro a chi lo vede. Ovviamente la critica yankee, come dimostra la recensione apparsa su Hollywood Reporter, affidata a un perfetto imbecille e ripresa dal n° 1030 di Internazionale due settimane fa, non apprezza: ma questa è una nota di merito.
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