"La mafia uccide solo d'estate" di Pierfrancesco Diliberto (Pif). Con Pif, Cristiana Capotondi, Alex Bisconti, Ginevra Antona, Ninni Bruschetta, Barbara Tabita, Rosario Lisma e altri. Italia 2013 ★★★★★
Allegro, scanzonato, irriverente, demistificante, a tratti crudo e alla fine commovente, l'esordio alla regia di Pif (ma era già stato l'aiuto di Marco Tullio Giordana ne "I cento passi") è senza dubbio il film di maggiore impegno civile prodotto in Italia negli ultimi cinque anni, un vero miracolo, che andrebbe quanto prima diffuso in tutte le scuole di ogni ordine e grado. A idearlo e girarlo un palermitano DOC che racconta, con parecchi riferimenti autobiografici, la "formazione" di Arturo nel capoluogo siciliano tra gli anni Settanta e Novanta, le cui tappe fondamentali, a cominciare dal concepimento nel dell'estate 1969, sono invariabilmente contrassegnate da una qualche mattanza di stampo mafioso. Innamorato fin dai banchi delle elementari della compagna di classe Flora, trova nel giudice Rocco Chinnici il suo mentore discreto, in Boris Giuliano il commissario gentile che gli fa conoscere la mitica iris alla ricotta, nel generale Alberto Dalla Chiesa il primo personaggio di rango intervistato quale vincitore di un concorso per giornalisti in erba, tutti personaggi conosciuti di persona e che verranno via via eliminati dalla mafia, mentre mai incontrerà dal vivo, nemmeno ai funerali del Prefetto Dalla Chiesa, quello che è stato il suo idolo d'infanzia, Giulio Andreotti (che quel giorno dichiarò di preferire i battesimi), di cui raccoglieva maniacalmente immagini e dichiarazioni, tappezzando la sua stanzetta di poster che lo ritraevano e ispirandosi a lui per dichiararsi a Flora: dandole appuntamento in un cimitero, così come il "Divo Giulio" fece con sua moglie Livia. Flora però seguirà per un decennio il padre, direttore di una banca siciliana in odore di collusione con Cosa Nostra, durante il periodo più rovente vissuto da Palermo, costellato da omicidi eccellenti. Nel frattempo Arturo seguirà il suo percorso formativo in una scalcagnata TV locale fino a quando incontrerà di nuovo Flora rientrata a Palermo come capo ufficio stampa di Salvo Lima in campagna elettorale, e lo farà assumere, anche se per breve tempo, perché è da quell'omicidio, fino alla escalation che portò all'uccisione di Falcone e Borsellino, che Arturo diventa consapevole che per combattere la mafia si deve per prima cosa guardarla in faccia e non rimuoverla, come hanno fatto per anni la sua famiglia, anche e soprattutto con l'intento di proteggerlo, e l'ambiente siciliano in generale. Medesimo percorso che compirà anche Flora e i due finalmente coroneranno il loro sogno. Lieto fine, certo, ma la commozione arriva non per il risvolto sentimentale ma per le ultime scene, che vedono Arturo, Flora e il loro bambino percorrere la via crucis delle lapidi che Palermo ha dedicato ai suoi coraggiosi martiri, che ancora tanto hanno da insegnare. Non è stata necessaria alcuna retorica, alcuna forzatura per trasmettere questo messaggio, ma un racconto ben congegnato in forma di parabola, ambientato in una Palermo dolente, tragica ma anche viva e solare, vera, in cui l'inserimento di filmati e immagini d'epoca, spesso di una crudezza che non ricordavamo, fanno da contrappunto al sogno d'amore realizzato di Arturo e Flora, che coincide con la loro presa di coscienza. Grazie, Pif.
Allegro, scanzonato, irriverente, demistificante, a tratti crudo e alla fine commovente, l'esordio alla regia di Pif (ma era già stato l'aiuto di Marco Tullio Giordana ne "I cento passi") è senza dubbio il film di maggiore impegno civile prodotto in Italia negli ultimi cinque anni, un vero miracolo, che andrebbe quanto prima diffuso in tutte le scuole di ogni ordine e grado. A idearlo e girarlo un palermitano DOC che racconta, con parecchi riferimenti autobiografici, la "formazione" di Arturo nel capoluogo siciliano tra gli anni Settanta e Novanta, le cui tappe fondamentali, a cominciare dal concepimento nel dell'estate 1969, sono invariabilmente contrassegnate da una qualche mattanza di stampo mafioso. Innamorato fin dai banchi delle elementari della compagna di classe Flora, trova nel giudice Rocco Chinnici il suo mentore discreto, in Boris Giuliano il commissario gentile che gli fa conoscere la mitica iris alla ricotta, nel generale Alberto Dalla Chiesa il primo personaggio di rango intervistato quale vincitore di un concorso per giornalisti in erba, tutti personaggi conosciuti di persona e che verranno via via eliminati dalla mafia, mentre mai incontrerà dal vivo, nemmeno ai funerali del Prefetto Dalla Chiesa, quello che è stato il suo idolo d'infanzia, Giulio Andreotti (che quel giorno dichiarò di preferire i battesimi), di cui raccoglieva maniacalmente immagini e dichiarazioni, tappezzando la sua stanzetta di poster che lo ritraevano e ispirandosi a lui per dichiararsi a Flora: dandole appuntamento in un cimitero, così come il "Divo Giulio" fece con sua moglie Livia. Flora però seguirà per un decennio il padre, direttore di una banca siciliana in odore di collusione con Cosa Nostra, durante il periodo più rovente vissuto da Palermo, costellato da omicidi eccellenti. Nel frattempo Arturo seguirà il suo percorso formativo in una scalcagnata TV locale fino a quando incontrerà di nuovo Flora rientrata a Palermo come capo ufficio stampa di Salvo Lima in campagna elettorale, e lo farà assumere, anche se per breve tempo, perché è da quell'omicidio, fino alla escalation che portò all'uccisione di Falcone e Borsellino, che Arturo diventa consapevole che per combattere la mafia si deve per prima cosa guardarla in faccia e non rimuoverla, come hanno fatto per anni la sua famiglia, anche e soprattutto con l'intento di proteggerlo, e l'ambiente siciliano in generale. Medesimo percorso che compirà anche Flora e i due finalmente coroneranno il loro sogno. Lieto fine, certo, ma la commozione arriva non per il risvolto sentimentale ma per le ultime scene, che vedono Arturo, Flora e il loro bambino percorrere la via crucis delle lapidi che Palermo ha dedicato ai suoi coraggiosi martiri, che ancora tanto hanno da insegnare. Non è stata necessaria alcuna retorica, alcuna forzatura per trasmettere questo messaggio, ma un racconto ben congegnato in forma di parabola, ambientato in una Palermo dolente, tragica ma anche viva e solare, vera, in cui l'inserimento di filmati e immagini d'epoca, spesso di una crudezza che non ricordavamo, fanno da contrappunto al sogno d'amore realizzato di Arturo e Flora, che coincide con la loro presa di coscienza. Grazie, Pif.
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