Oachkatzlschwoaf
Ferragosto, come Natale, Capodanno e Pasqua è il periodo perfetto per un accidente: un parabrezza in frantumi; una gomma della bicicletta esplosa; il frigorifero che si guasta e non solo addio bevande fredde in giorni di canicola, ma anche le provviste amorevolmente stivate nel reparto surgelati cha vanno a puttane; un fulmine che passando per l'antenna del televisore ve lo fa secco oltre a segarvi la linea telefonica e quindi anche la connessione alla rete (mi è successo sette o otto anni fa e da allora non solo sono provvisto di chiavetta internet ma anche di adeguata copertura assicurativa per danni da eventi naturali). Niente di tutto ciò, quest'anno: in compenso sono riuscito a farmi mordere l'indice da uno scoiattolo che girava allegramente per casa. Non tanto allegramente, in realtà: gli stava facendo la posta da giorni Filli, l'adorata gatta nera, implacabile cacciatrice nonostante le sue 15 primavere. Me ne sono reso conto dopo l'incontro ravvicinato col roditore, ieri mattina. Filli sembrava stranita, era ansiosa, si bloccava per ore nella posizione della sfinge, lo sguardo apparentemente perso, in luoghi che normalmente sono di passaggio e che solitamente si guarda bene dal presidiare. In realtà una settimana fa la signora che mi dà una mano nelle faccende di casa mi aveva detto che le era sembrato di aver visto un topo correre a rotta di collo nel corridoio inseguito dalla gatta e rifugiarsi in un buco del pavimento (che è a liste di legno). Era di colore grigio, ha detto, con una coda piuttosto grossa. Una pantegana? Addirittura? Mi sembrava strano che girassero topi in una parte della casa sotto lo stretto controllo di Filli, in perlustrazione continua nel suo territorio. Nelle ultime notti l'avevo sentita scorrazzare nel corridoio e compiere balzi, ma sono abituato a certi suoi momenti di mattana e di crisi ipercinetica, e non ci avevo fatto caso. Ieri mattina, uscito dal bagno, e vedendola immobile ma pronta al balzo (va da sé, felino), che ipnotizzava qualcosa sul tratto di parete sopra il telaio della porta in corridoio, l'ho visto. Ero senza occhiali e lui mi osservava puntandomi addosso gli occhietti. Vedevo solo quelli e mi sembrava un topo. Una volta inforcati gli occhiali ho verificato che si trattava di uno scoiattolo. Non potendo rimanere a lungo attaccato alla parete, è caduto e fuggito, subito bloccato dalla fulminea reazione della gatta che lo serrava tra le grinfie: l'amata felina nient'altro faceva che il suo mestiere (l'ho sempre lodata quando mi depositava sul cuscino i suoi trofei: ci mancherebbe altro), ma stavolta mi sono fatto prendere dalla compassione e le ho tolto la preda prima che la seccasse spezzandole il collo o, peggio, le squarciasse la gola, sgozzandola, come aveva fatto qualche giorno prima ai piedi della finestra che dà sulla terrazza Leo, l'altro gatto di casa, tigrato e chiamato anche Brombolone perché, sottovalutandolo, lo avevo sempre ritenuto inetto alla caccia, con un altro scoiattolo uguale a questo. Ce ne deve essere una colonia, nel gelso che ho in giardino, di scoiattoli grigi, che hanno sostituito quelli nostrani, che chiamavo Cip e Ciop, rossi, minuti, che per anni mi hanno tenuto compagnia ma mai erano stati così spavaldi da entrare in casa. Insomma la bestia, come ringraziamento per averla salvata da morte certa, mi ha azzannato, facendomi un male cane e per fortuna era a portata di voce la mia guru in questioni di salute e alimentazione, nonché naturopata di fiducia, che mi ha suggerito di fare scorrere il sangue a dovere, lavare la ferita sotto l'acqua e disinfettarla, e informarmi in rete sulla pericolosità del morso dello scoiattolo prima di correre al Pronto Soccorso, che era stata la mia prima tentazione pensando alle conseguenze del morso di un animale selvatico. Scarsissimo rischio di trasmissione di malattia nel caso di morso di scoiattolo, ho scoperto: lasciar passare 48 ore e se non si infetta la ferita, va bene così.
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Sono così anche venuto a sapere che questa specie, di origine nordamericana (come quasi tutte le nostre sciagure), è stata inopportunamente introdotta in Italia nel 1948, in Piemonte, da dove si è diffusa a scapito di quella nostrana, di formato più ridotto, come ben ricordavo. E meno aggressiva e contundente. Morale di questa avventura ferragostana, come sentenziava buddhisticamente l'amica naturopata nonché guida spirituale: mai intervenire nelle dinamiche tra animali. Per cui devo le mie più sentite scuse a Filli per averle impedito di portare a termine il suo lavoro (ma ha un buon carattere, per cui mi ha già perdonato). In compenso, oltre a essere in grado da sempre di pronunciare correttamente e fluidamente la parola "oachkatzlschwoaf", termine austro-bavarese che viene da Eichkätzchenschweif, in "Hochdeutsch" Eichhörnchenschwanz, che significa coda di scoiattolo, usato come test per distinguere i nativi (bavaresi, austriaci e tirolesi) dai "foresti", ossia tutti gli altri a cominciare dai prussiani, termine, questo, usato per tutti le genti tedesche a Nord della Franconia (del resto l'austro-bavarese è la mia lingua-madre così come l'italiano è il mio idioma-padre), posso dire anche di averne toccato una, di oachkatzlschwoaf. Dal vivo. E per di più di un oachkatzl yankee. That's Ferragosto.
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