"Margin Call" di J. C. Chandor. Con Kevin Spacey, Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachary Quinto, Penn Badgley, Demi Moore, Simon Baker, Stanley Tucci. USA 2011 ★★★★
Giunge nelle sale friulane giusto per allietare il Ferragosto questo ottimo esordio alla regia di J. C. Chandor, finora autore di spot pubblicitari. Il film racconta, come già "Il denaro non dorme mai" di Oliver Stone, il crack di una banca d'affari statunitense nel settembre del 2008, ossia l'inizio della crisi che non è solo finanziaria, ma anche di sistema, tutt'ora in pieno svolgimento (e che ebbe origine negli USA, e non in Europa, e sarebbe opportuno ricordarlo anche a Barack Obama). Senza preavviso viene "segato" un buon terzo degli analisti, e tra essi il capo del settore vendite. Accompagnati sollecitamente alla porta dagli addetti alla sicurezza nel giro di un'ora (con le scatole di cartine colme degli effetti personali, immagini che hanno fatto il giro del mondo: una scena agghiacciante per la disumanità), riesce a passare una chiavetta a un giovane analista che ha invece salvato il posto, e appena in tempo a dirgli di completare il suo lavoro ma di stare attento. Questi scopre che sta stanno letteralmente esplodendo i mercati: tutta la strategia della banca era basata su parametri che si sono rilevati balordi, non solo in senso matematico ma sostanziale. E' la crisi dei subprime, come ben sappiamo. La pellicola racconta in maniera esemplare il come e il perché delle decisioni che vengono prese in frenetiche e illuminati riunioni notturne, con il coinvolgimento via via che passano le ore delle più alte sfere: il responsabile del trading, interpretato da un sempre immenso Kevin Spacey, fino al capo dei capi, un John Tuld a cui dà volto, demoniaco, e voce, un altrettanto grande Jeremy Irons. Alla loro altezza Paul Bettany, Stanley Tucci e Simon Baker, eccezionali. Bravi gli altri, perfino Demi Moore riesce ad essere dignitosa (benché non esattamente credibile). E sono decisioni che avranno conseguenze per miliardi di persone, un intero pianeta le cui sorti sono state letteralmente finanziarizzate da questa orripilante genia gretta, paranoide, così profondamente corrotta dentro da essere capace di esprimere un minimo di umanità, è il caso di dirlo, solo nei confronti degli animali (viene in mente Hitler) e di compassione soltanto, in piena paranoia egolatrica, verso sé stessi. Il film ha il pregio di mostrare questa "American Way of Life", che considera comunque la Company, e il suo boss, qualcosa a cui sacrificare non solo sé stessi ma anche il resto dell'umanità perché, alla fine, si è ha già venduto da un pezzo la propria anima, ammesso e non concesso che gente che sceglie di operare nel campo della finanza ne abbia una.
Giunge nelle sale friulane giusto per allietare il Ferragosto questo ottimo esordio alla regia di J. C. Chandor, finora autore di spot pubblicitari. Il film racconta, come già "Il denaro non dorme mai" di Oliver Stone, il crack di una banca d'affari statunitense nel settembre del 2008, ossia l'inizio della crisi che non è solo finanziaria, ma anche di sistema, tutt'ora in pieno svolgimento (e che ebbe origine negli USA, e non in Europa, e sarebbe opportuno ricordarlo anche a Barack Obama). Senza preavviso viene "segato" un buon terzo degli analisti, e tra essi il capo del settore vendite. Accompagnati sollecitamente alla porta dagli addetti alla sicurezza nel giro di un'ora (con le scatole di cartine colme degli effetti personali, immagini che hanno fatto il giro del mondo: una scena agghiacciante per la disumanità), riesce a passare una chiavetta a un giovane analista che ha invece salvato il posto, e appena in tempo a dirgli di completare il suo lavoro ma di stare attento. Questi scopre che sta stanno letteralmente esplodendo i mercati: tutta la strategia della banca era basata su parametri che si sono rilevati balordi, non solo in senso matematico ma sostanziale. E' la crisi dei subprime, come ben sappiamo. La pellicola racconta in maniera esemplare il come e il perché delle decisioni che vengono prese in frenetiche e illuminati riunioni notturne, con il coinvolgimento via via che passano le ore delle più alte sfere: il responsabile del trading, interpretato da un sempre immenso Kevin Spacey, fino al capo dei capi, un John Tuld a cui dà volto, demoniaco, e voce, un altrettanto grande Jeremy Irons. Alla loro altezza Paul Bettany, Stanley Tucci e Simon Baker, eccezionali. Bravi gli altri, perfino Demi Moore riesce ad essere dignitosa (benché non esattamente credibile). E sono decisioni che avranno conseguenze per miliardi di persone, un intero pianeta le cui sorti sono state letteralmente finanziarizzate da questa orripilante genia gretta, paranoide, così profondamente corrotta dentro da essere capace di esprimere un minimo di umanità, è il caso di dirlo, solo nei confronti degli animali (viene in mente Hitler) e di compassione soltanto, in piena paranoia egolatrica, verso sé stessi. Il film ha il pregio di mostrare questa "American Way of Life", che considera comunque la Company, e il suo boss, qualcosa a cui sacrificare non solo sé stessi ma anche il resto dell'umanità perché, alla fine, si è ha già venduto da un pezzo la propria anima, ammesso e non concesso che gente che sceglie di operare nel campo della finanza ne abbia una.
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