GUÌLÍN ( 桂林) - In ogni viaggio capita la scelta sbagliata, il posto visitato nelle condizioni peggiori, la “toppata”. Soprattutto se si segue una traccia di massima, si lascia molto all’ispirazione del momento, ci si affida prevalentemente al proprio naso ma qualche volta anche al consiglio di chi ci è già stato. Questa volta credo sia toccato a Guilin, nell’estremo Sud-Ovest della Cina, capitale della provincia del Guangzxi dai tempi della dinastia dei Ming (XIV secolo) fino al 1914, quando le è subentrata Nanning, mia prossima tappa, oggi, alla volta del Vietnam. Quando vi sono giunto, per fortuna in aereo e senza sottopormi a undici ore di bus da Guangzhou, venerdì pomeriggio, per di più sotto un’acquerugiola che non mollava un istante, immersa in una nebbiolina che non lasciava intravedere il paesaggio e con dieci gradi in meno rispetto alla città che avevo lasciato, il primo impatto, con questa che è una delle mete turistiche più decantate del Paese, non è stato dei più entusiasmanti. La città ha quasi 700 mila abitanti, è un centro importante, florido, animato, ma soprattutto ha il pregio di essere circondata da un paesaggio magnifico, in mezzo a un sistema fluviale e di canali in una zona di rilievi carsici, alle spalle una vallata con risaie terrazzate, laghi e montagne di una discreta altezza. Paesaggi di cui, purtroppo, non ho potuto apprezzare un accidente. L’orrore però mi è venuto appena mi sono addentrato verso il centro: ho avuto l’impressione di essere arrivato in un centro commerciale: il trionfo della Cinaconsumista, prima che comunista. La tentazione immediata è stata quella di fuggire, soprattutto dopo aver appreso che le previsioni meteorologiche erano pessime anche per i giorni a venire, e ho rivissuto in un istante le stesse sensazioni avute tre anni fa aGramado, in Brasile, che mi era stata decantata come una meta turistica imperdibile del Rio Grande do Sul: anche lì una teoria senza fine di negozi, con in più l’incongruenza degli addobbi natalizi ai tropici e il relativo delirio da compere compulsive. Ma ho imparato dall’esperienza che anche dalle situazioni sgradevoli e apparentemente assurde si possono ricavare esperienze positive e insegnamenti importanti: mai farsi sfuggire le occasioni, perché, come dice la canzone, è dalla merda che nascono i fiori.E comunque un paio di giorni di sosta e di riposo capitavano al momento giusto, per quanto dell’umidità e del freddo avrei volentieri fatto a meno. A parte la visita alSolitary Beauty Park, in pieno centro cittadino, che comprende la residenza di Jingjiang, principe Ming del 14° secolo; la Cava delle perle restituite, che la leggenda vuole illuminata da una sola perla e abitata da un dragone, e dove tra oltre un centinaio di immagini del Buddha incise sulla parete ve n’è una he risale a mille anni fa, infine ilSeven Star Park, un’area di 137 ettari a Est del fiume Li, così chiamata per via dei sette pinnacoli calcarei che vi si ergono, con tempietti, dimore, giardini, cave con incisioni, punti panoramici e altre amenità, alcune delle quali alquanto incongrue e chiaramente posticce, la cosa più entusiasmante e stato assistere, a più riprese, alla pesca nel fiume fatta con usando dei cormorani ammaestrati, a bordo di una imbarcazione di giunchi dal fondo piatto tipo zattera di forma allungata, manovrata con straordinaria abilità con una lunga pertica dal pescatore-domatore.Spero che le immagini riescano vagamente a rendere l’idea della pratica, alquanto suggestiva e comunque, da quel che ho potuto verificare, fruttuosa. I pescatori vi si dedicano mentre stanno attendendo che si riempiano le reti che hanno gettato alla maniera tradizionale, probabilmente il volatile viene utilizzato per la cattura di determinati tipi di pesce, di dimensioni più ragguardevoli rispetto alla media, oppure anche, è una possibilità, come minaccia e per convogliare i pesci nelle reti opportunamente predisposte attraverso manovre che assomigliano più a un balletto. Questo nei rari momenti in cui la pioggia, altrimenti incessante, ha dato una tregua, nella tarda mattinata e durante il primo pomeriggio di sabato e ancora nel pomeriggio di ieri, quando ero uscito dal Riverside Hostel, la gradevolissima guesthouse dove alloggio, con una deliziosa terrazza e una luonge che danno proprio su un ramo secondario del fiume Li, per andare alla ricerca di una cerata più robusta di quella che, strapazzata in questi giorni di uso continuo, si era disgraziatamente lacerata. Al rientro nella luonge sento echeggiare, dopo due settimane, di astinenza, il dolce idioma dove del Paese dove il sì suona, insomma la terra dove crescono i limoni, come diceva Goethe, e anche i cachi, come ricorda Elio delle Storie Tese, invero con una cadenza inconfondibilmente piemontese, quindi non nella sua versione più propriamente melodica. Siccome il titolare, che si è rivelato essere il biellese Enrico Gremmo, mi è subito risultato simpatico dall’aspetto, mi sono appalesato come connazionale (cosa che faccio di rado al primo impatto) e abbiamo trascorso una gradevolissima serata insieme tra racconti di viaggio ed esperienze e considerazioni sul nostro Paese malato. Trentenne, giardiniere e cicloviaggiatore, meglio che cicloturista, da sette mesi è partito dall’Italia con meta Giappone, dove è arrivato come da programma, e ora sta scendendo dalla Cina in direzione Singapore attraversando il Sud Est Asiatico. Pur reduce da una lesione al tendine che lo ha bloccato per settimane in Ucraina e in Russia, è uno che ha avuto le palle, ma soprattutto la testa, di attraversare la Mongolia e il deserto del Gobi, senza darsi arie e sentirsi un eroe, anzi: con quell’understatementabbastanza tipicamente sabaudo, che non è falsa modestia ma coscienza di aver fatto quel che si voleva fare, senza tante sceneggiate ed esagerazioni. Ma trovate tutto sul suo sito: www.bikingtour.it. Quindi, per tornare all’inizio, ancora una volta una tappa istruttiva anche se apparentemente sfavorevole, ma è giusto e inevitabile che sia così, perché un viaggio non è fatto soltanto di chilometri fatti e di cose viste, anzi: ma soprattutto di nuove scoperte e di nuovi incontri. Col prossimo ma anche con sé stessi.
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