GUANGZHOU (廣州) - Passeggiando per la città, ieri, ho provato a pensare alle cose che si erano perse rispetto alla mia precedente visita in Cina, che risale a 18 anni fa e che comprendeva, oltre a Pechino, le regioni del Nord del Gansu, della Mongolia Interna e dello Xinjang, terra degli uiguri (ne ho rivisto qualcuno, col tipico copricapo, proprio qui a Gangzhou). Tra le prime, le biciclette. Allora erano una marea, le automobili poche, i mezzi pubblici stracarichi e usurati. Ce ne sono ancora, ma sempre lucchettate, nonostante la presenza massiccia di poliziotti, soldati e guardie in ogni luogo, dalle reception degli alberghi, ai ponti, ai centri commerciali; stazionari o di pattuglia. Ci sono anche, e dappertutto, le piste ciclabili: ma a differenza dei ciclisti italioti ed europei, che ormai costituiscono delle lobby prepotenti e agguerrite come quelle dei gay, che sono convinti di avere un diritto divino per fare le vittime per partito preso anche quando hanno torto e di poter rivendicare di tutto, a cominciare dal procedere contromano, non scampanellano o ti aggrediscono verbalmente se tu, povero pedone, osi “invaderle”, ma gentilmente ti evitano. Inoltre, nessuno si sogna di sfrecciare come un invasato intutato come nel domopak, col “pack” bene in vista, il caschetto d’ordinanza al carbonio-titanio e l’iPod d’ordinanza collegato al cervello, ma la differenza è che qui siamo in un Paese di gente civile e a cui non si è ancora del tutto brasato il cervello. L’altra cosa che mi mancava era il letto-sofà all’esterno delle case: ai tempi era stata una delle cose che più mi avevano colpito in Cina, insieme alle tutine dei neonati con lo spacco sul sedere, pronte all’uso, insomma. Forse perché le abitazioni ai tempi erano piccole, e spesso a un solo piano, la vita si estendeva in strada e un letto sgangherato, un divano usato facevano all’uopo: ci si riuniva e si chiacchierava, si giocava a carte, a scacchi, a mahjong, a dadi. Si sa, i cinesi giocano volentieri, anche d’azzardo, e scommettono di gusto (foto in alto: non è vero che lavorano e basta. Quando non sono indaffarati, mangiano, e quando non mangiano, giocano. Con altrettanto impegno)Ora rimane qualche sedia o perfino a volte delle poltrone ad uso delle guardie stanziali di cui dicevo sopra, magari sormontate da un parasole (cfr queste due guardie della Rivoluzione all'erta su uno dei ponti). Un’altra usanza che ho visto in decadenza è quella di sedere accovacciati sui propri talloni, per ore, una capacità che ho loro sempre invidiato moltissimo. Quella che non è cambiata è l’abitudine di fare ginnastica all’aperto, nei luoghi pubblici: a Guangzhou i lungofiume sono un posto ideale per praticarla, perché sono spaziosi e spesso si aprono in aree verdi appositamente attrezzate con macchine per pesi, cyclette e altri aggeggi liberamente a disposizione del pubblico (trattandosi di un Paese dove prevale ancora il buon senso, non si è ancora diffuso il virus dei gym e dei fitness center: ci si tiene in forma a gratis). Naturalmente non mancano campi giochi per i più piccoli, mentre da noi si pensa di introdurre divieti d’accesso per bambini e infanti e in compenso si creano spazi per i cani. Che sono apprezzati anche qui, e non soltanto in cucina (ebbene sì: in alcune regioni se ne preparano ghiotte pietanze), così come i gatti e ogni altro animale di compagnia (i cinesi sono famosi per allevare i grilli, con una pazienza infinita, per farli sopravvivere e per la gioia di sentirli cantare, evocando la bella stagione, nelle fredde giornate invernali: mi ricordo delle splendide pagine di Tiziano Terzani in proposito ne “La porta proibita”).Sempre passeggiando sui lungofiume capita di incrociare la vita che si svolge sotto gli svincoli degli arditi ponti che collegano le due parti della città: a occhio lunghi dai 500 ai 700 metri, con doppia carreggiata per gli automezzi a motore e due corsie ciascuna per cicli e pedoni, quindi tutto un intreccio di rampe. Di notte sono illuminati di colori sgargianti. E mi è venuta in mente un’espressione degli inizi degli anni Settanta, quando la sbornia della Rivoluzione Culturale aveva attecchito anche da noi ottenebrando già allora menti non particolarmente eccelse e che avrebbero infestato la vita politica e no di casa nostra fino ai giorni odierni: qui ho recuperato un simpatico articolo commemorativo apparso qualche tempo fa su Repubblica su uno dei gruppuscoli maoisti i voga all’epoca, quello dell' Unione dei comunisti marxisti leninisti italiani altrimenti noti come “Servire il pollo”, com’erano chiamati da quelli che c’erano un filino di più con la testa. L’espressione era “l’uso parziale alternativo”. Delle ore di lezione, ad esempio, o delle aule scolastiche, per estensione della palestra o dell’intero istituto. Nei deliri di costoro era una conquista da strappare con la lotta (dura e senza paura) o con la trattativa (senza cedimenti) al nemico di classe, chiunque incarnasse l’autorità, per un uso finalizzato a un eterno “dibbattito” sull’aria fritta, guidato dal commissario politico di turno; in realtà, almeno a scuola, ci si divertiva, si faceva pratica delle teorie della liberazione sessuale (loro, i compagni puri e duri, mai: erano votati alla castità). Ieri ho avuto modo di osservare un esempio fattivo dell’uso parziale alternativo degli spazi sotto ai cavalcavia e agli svincoli dei ponti da parte dei compagni cinesi (quelli veri). Per il principio dell’horror vacui, ogni spazio torna buono e va utilizzato (così come del porco non si butta nulla), per cui è lì che piazzano ad esempio iterminal di alcune linee di bus oppure le stazioni dei taxi. In altre zone, perfettamente pavimentate, perché qui anche svincoli e cavalcavia devono avere una loro grazia, se possibile, e non un aspetto raffazzonato, si tengono frequentatissime lezioni di danza con tanto di maestri in completo nero e scarpe e mise apposite: le basi del walzer viennese, delle polke, delle mazurche: ma è il tango argentino a fare la parte del leone(foto in basso). Anche quando si divertono, questi non scherzano per niente. Quando dico che i cinesi ci metteranno poco a dare la birra a tutti, sono certo di non sbagliarmi. Guai a sottovalutarli.
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