HANOI - Se c’è una cosa che mi infastidisce e mi mette sull’allerta è la retorica, ma in occasione di una visita a Hanoi non poteva mancare un saluto allo Zio Ho e dunque un’occhiata alla piazza Ba Dinh, come avevo accennato nel post di ieri. Ho Chi Minh, che significa "colui che porta la luce", 1890-1969, fondatore del Partito comunista vietnamita (1923) e presidente della Repubblica democratica del Vietnam dal 1945 alla sua morte, è il più celebre degli pseudonimi di Nguyen Tat Thanh, questo il suo vero nome. Un mito, insieme al generale Giap (99 anni, tuttora vivo e vegeto), per quelli della mia generazione, che si ricordano ancora i veri e propri bollettini di battaglia con cui si aprivano i radiogiornali e telegiornali (quelli serali, allora in bianco e nero: la RAI non trasmetteva 24 ore su 24 come oggi e MerdaSet non esisteva ancora, per questo qualcuno di noi non è ancora del tutto televisionato, perché la "televisiùn te rimpirlisset come un cujùn”, come cantava Jannacci) della metà e fine degli anni Sessanta. Era la guerra del Vietnam, gli USA erano intervenuti direttamente nel conflitto a sostegno del regime fascistoide sudvietnamita sotto la presidenza di Lyndon B. Johnson, succeduto a John Kennedy, nel 1964 a seguito di un incidente pretestuoso (come fu accertato in seguito: ricorda l’attacco all’Irak, vero?) che aveva coinvolto due loro navi nel Golfo del Tonchino contro il Fronte di Liberazione Nazionale (meglio noto come Vietcong) appoggiato dalla Repubblica del Nord presieduta, per l'appunto, da Ho Chi Minh. Espressioni come l’Offensiva del Têt (il capodanno buddhista, nell’inverno del 1968), il Sentiero di Ho Chi Minh (che attraversava anche Laos e Cambogia per rifornire i ribelli del Sud) e località come Da Nang, Quang Tri, Hué, Nha Trang sono rimasti impressi indelebilmente nella memoria di chi ha passato i 50. Come finì, il 30 aprile del 1975, con la capitolazione del governo fantoccio del Sud e il giorno prima con la vergognosa fuga degli ultimi americani rimasti elitrasportati dai tetti degli edifici di Saigon, è passato alla storia. Se la grossolaneria, la superficialità, la criminale ignoranza e gli errori di valutazione degli yankees, che non imparano mai dalle loro colossali cappellate, sono tragicamente noti, lo è di meno, perché fanno di tutto per rimuoverne le tracce, l’impunita e imbecille arroganza dei francesi, che qui in Vietnam ne hanno dato prova prima e peggio degli americani, che se non altro avevano dalla loro la scusante ideologica di aver voluto fermare l’avanzata del comunismo in piena epoca di Guerra Fredda.Pensavo a questo percorrendo dalla Piazza Ba Dinh verso il Quartiere Vecchio, ieri pomeriggio, il Viale Dien Bien Phu, dedicato all’omonima battaglia che vide la capitolazione di oltre diecimila militari francesi dopo un assedio di quasi due mesi davanti al Viet Minh, la Lega per l’Indipendenza del Vietnam fondata da Ho Chi Minh, decretandone la vittoria dopo un conflitto, noto come la Guerra Indocinese, iniziato nel 1946. Quel che i francesi ricordano ancora meno volentieri, e cercano di occultare, è che dal 1940, quando la Francia venne occupata dai tedeschi, il governo dell’Unione Indocinese, ovvero i loro domini coloniali nel Sud-Est Asiatico, nominato dal regime collaborazionsita e filonazista di Vichy, accettò la presenza delle truppe giapponesi in Vietnam in cambio della amministrazione degli affari ordinari (imsomma le briciole, pur di esserci), e questo fino all’estate del 1945, quando Ho Chi Minh proclamò l’indipendenza. In quel periodo egli scrisse una decina di missive al presidente Harry Truman per ricevere aiuto dagli USA, i quali ottusamente non risposero. Ne pagarono le conseguenze trent’anni dopo. Seguì una fase convulsa, che dopo la fine della guerra in Europa vide il rialzarsi della cresta dei soliti galletti francesi, che formalmente ripresero il controllo del Vietnam, ma di fatto non lo ebbero mai più e che ebbero l'improntitudine di dichiarare, per bocca del loro generale Leclerc, di essere “venuti a riprenderci quello che ci spetta”. Detto e fatto: ci vollero altri 9 anni ma furono cacciati fuori dal Paese a calci nel culo e con ignominia. Il bello è che questi imbelli fanfaroni che si riempiono la bocca di grandeur mai dimostrata, straparlano di rispetto dei diritti umani (i loro) e pretendono di fare la predica al prossimo proponendosi come campioni di democrazia. Perché se il nostro è un Paese di merda, come stiamo ancora una volta dimostrando in questi tristi giorni, i cugini d'Oltralpe ci fanno un'agguerrita concorrenza e sono dei rivali di tutto rispetto nella gara a chi ha più la faccia come il culo. Devo ammettere che ieri, incedendo lungo il Duong Dien Bien Phu, ho provato la stessa sensazione di resa giustizia che ebbi cinque anni fa a Saigon, ora non a caso ribattezzata Ho Chi Minh, alla vista del T34 dell’esercito del Nord che la mattina del 30 aprile del 1975 sfondò i cancelli dell’allora palazzo presidenziale, oggi Palazzo della Riunificazione, e che fa ancora mostra di sé nello spiazzo antistante. Per celebrarne la memoria, sono andato a fare un brindisi, anzi un prosit, al più vicino spaccio di Bia Hoi.
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