HANOI (Há Nôi) - Hanoi, o almeno il suo centro storico, peraltro parecchio esteso, è di gran lunga la capitale più bella e affascinante che abbia visto finora in Oriente e sicuramente una delle città più ricche di fascino a Est del Mediterraneo. Intendo come centro urbano, per l’energia che sprigiona e il carico di storia che esprime, e non tanto per i suoi monumenti, che comunque abbondano e sono degni di nota: forse soltanto Istanbul mi ha fatto lo stesso effetto immediato. E’ stata questa la prima impressione che avevo avuto ieri arrivandoci a metà di un pomeriggio piovigginoso e dopo un primo giro di perlustrazione notturna. E si è rafforzata oggi alla luce del giorno (non posso dire del sole perché l’acquerugiola non dà tregua) nel pieno svolgimento delle sue faccende, molteplici ma non istericamente frenetiche come nella capitale dell’ex Stato del Sud, Saigon-Ho Chi Minh. Hanoi, che deve il suo nome all’imperatore Tu Duc, che nel 1831 la ribattezzò “città sull’ansa del fiume” (quello Rosso) quando la capitale era ancora Hué, festeggia in questo 2010 i mille anni dalla fondazione, opera dell’imperatore Ly Thai To, che la battezzò col nome di Thang Long, “città del drago che si leva in volo”, ma l’area in cui sorse era comunque abitata fin dal neolitico. Conta quasi quattro milioni di abitanti ed è una città elegante, ricca di viali alberati, disseminata di laghi: quello di Hoan Kiem (foto in alto: le altre sono di scene di vita quotidiana) è in pieno centro, nel mezzo del “Quartiere Vecchio”, quello che i francesi, che vi hanno lasciato parecchie tracce, chiamavano Cité indigène, con la consueta punta di razzismo.Curiosa l’origine della toponomastica del centro storico, che è anche quello commerciale della città, le cui vie si chiamano generalmente Hang (che significa merce) più il nome del prodotto che viene venduto in quella strada (della seta, del pollame, del cotone, dell’agento, del pesce e così via): attorno al 1200 vi si stabilirono le 36 corporazioni di Hanoi, e infatti in origina si chiamava “Trentasei strade”: nel frattempo sono diventate oltre cinquanta, e quella di concentrare in una via una certa attività è una caratteristica che è rimasta. Vi si possono perdere giorni, non solo a guardare la merce esposta e a girare tra i mercati, alcuni all’aperto e altri coperti, ma anche e soprattutto ad assistere alle molteplici attività che vi si svolgono. Sembra di essere costantemente a teatro. A parte i guidatori di cyclo e quelli dei mototaxi che si offrono ogni momento ma non sono mai particolarmente insistenti a fastidiosi, la gente è discreta, sta sulle sue ma è sempre disponibile e gentile, è molto meno chiassosa e agitata che al Sud, e anche rispetto alla Cina, che è sì vicina (la frontiera è a 160 chilometri) ma sembra lontanissima. Lo si nota anche dalla qualità della merce, di fattura e gusto immensamente migliori in Vietnam. Oltre alle attività commerciali e a decine di caffè, banchetti gastronomici, ristoranti, birrerie di strada (dove si vende la Bia Hoi, un’istituzione vietnamita che significa birra alla spina, senza conservanti e da consumare in fretta: non c‘è pericolo perché viene bevuta a fiumi) anche monumenti, tra cui la cattedrale di San Giuseppe (un buon 10% della popolazione è cattolica, la percentuale maggiore per un Paese asiatico dopo le Filippine), svariati templi e pagode disseminati un po’ ovunque, il più bello è forse quello di Ngoc Son, che sorge su un’isolotto del lago Hoan Kiem, collegato alla sponda da un ponte di legno laccato in rosso, teatri, tra cui spicca quello delle Marionette sull’acqua, una forma d’arte esclusiva del Vietnam settentrionale.I musei si trovano generalmente fuori dal Quartiere Vecchio, comunque in centro, e ve ne sono diversi, tra cui quello etnologico, quello di storia, quello dell’esercito (davanti al quale campeggia un MIG di fabbricazione sovietica), quello delle arti e quello delle donne, oltre a quello della rivoluzione vietnamita e quello di Ho Chi Minh, che si è visto pure dedicare un mausoleo, dove viene conservata la sua salma imbalsamata, pur contro la sua volontà (dispose di essere cremato), nella migliore tradizione sovietica: ogni anno per due mesi rimane chiuso perché la mummia dello Zio Ho (come lo chiamano tuttora affettuosamente i vietnamiti) viene portata in Russia per la necessaria “manutenzione”. Tutto l’apparato celebrativo si trova nei dintorni dell’enorme Piazza Ba Dinh, dove il 2 settembre del 1945 Ho Chi Minh proclamò l’indipendenza del Paese. Non poteva mancare, nella stessa zona, il Parco Lenin. Parte del centro, appena a Ovest del Quartiere Vecchio, un’area molto vasta, era occupata dalla Cittadella di Hanoi e tuttora è sede di una base militare e delle residenze degli alti ufficiali e delle loro famiglie, e dunque off limits. Delizioso e da non perdere, sempre nei dintorni, il Tempio della Letteratura, fatto costruire nel 1070 dall’imperatore Li Thanh che lo consacrò a Confucio, che solo sei anni dopo fu sede della prima università del Vietnam, istituita inizialmente per educare esclusivamente i figli dei mandarini e dal 1442 in poi tutti gli studenti più meritevoli del Paese. Circondato da mura, si sviluppa lungo cinque cortili circondati da giardini curatissimi, un bellissimo e purtroppo raro esempio di architettura tradizionale vietnamita. Incredibilmente intenso il profumo di legno antico che si sprigiona nei suoi padiglioni dai tetti tipicamente spioventi: una bellezza che attiva quattro dei cinque sensi. Insomma finora Hanoi ha sperato tutte le mie aspettative, che pure erano posizionate parecchio in alto, e sono perfino contento di averla vista soffusa da questa vaga foschia umida: me l’immaginavo con un clima simile, la capitale del Nord, con un’atmosfera evocativa, satura di vapori che ne attenuano le tinte, un po’ come i Navigli della Milano anni Sessanta avvolti dalla nebbia autunnale. Quando c'era ancora.
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