mercoledì 28 dicembre 2022

Il mio nome è vendetta

"Il mio nome è vendetta" di Cosimo Gomez. Con Alessandro Gassmann, Ginevra Francesconi, Remo Girone, Luca Zamperoni, Alessio Praticò, Sinjia Dikes, Gabriele Falsetta, Mauro Lamanna e altri. Italia 2022 💩

Sedicente thriller d'azione, finanziato da Netflix, che quindi può permettersi costi che un produttore italiano non si sognerebbe mai, e giustamente, di coprire per una boiata del genere, ha come oggetto il genere d'esportazione preferito e più scontato: una storia di vendetta di una delle mafie nostrane. Per la precisione, quella più efferata e impenetrabile (o così la raccontano): la ndrangheta calabrese. Assumono Alessandro Gassmann, gli fanno crescere la barba, lo mandano in un maso sulle Dolomiti Sudtirolesi, gli accollano un'identità fasulla (nessuno se ne accorge, figurarsi), una moglie locale e una figlia adolescente, Sofia, e un lavoro nella segheria del cognato: un terrone ben integrato nell'ambiente. La ragazzina gli scatta una foto di nascosto (babbo non vorrebbe, chissà perché) e la pubblica su un qualche social. Non l'avesse mai fatto: l'idillio ha fine, perché Santo Romeo Gassmann, grazie al riconoscimento facciale, viene individuato come Domenico Franzé da un altro capobastone, Don Angelo Lo Bianco (Remo Girone), attivo a Milano, come il killer di fiducia di una ndrina rivale che ha accoppato il suo figlio preferito prima di ritirarsi dal servizio attivo e sparire dalla circolazione. Vendetta 1: del boss calabro-milanese, che spedisce una squadra di picciotti sulle Alpi la quale elimina moglie e cognato ma non non raggiunge il bersaglio principale, il nostro "eroe" Gassmann che, avendo avuto contezza della strage, dismette la barba, si rade i capelli e indossa la truncia di quando gli affidano la parte del "cattivo" e ridiventa Domenico Franzé, innescando, assieme alla figlia adolescente, scampata miracolosamente alla cerneficina, la fase 2 della Vendetta di cui al titolo, facendo rotta su Milano. Nell'arco di tre giorni (questo l'arco temporale in cui si pretende di comprimere la vicenda, e ci si perita pure di ribadirlo) il Gigante e la Bambina, nel frattempo trasformatasi in un'esperta di trucchi del mestiere come manco un membro dei ROS dopo 10 anni di pratica, compiono una cerneficina con almeno una sessantina di morti che in confronto i Wagner o i Mozart attualmente in azione in Ucraina sembrano dei poaréti. Insomma, una pagliacciata e un film di cui vergognarsi che venga riproposto all'estero come prodotto nazionale. Certo, le scene d'azione sono girate bene, per quanto assolutamente improbabili: e ci mancherebbe pure altro, col budget che sorregge questa solenne cagata. Che giustamente mi ero rifiutato di andare a vedere in sala, quando era uscita, ripromettendomi di guardarla in TV in occasione delle festività natalizie, funestate da una programmazione miserevole più del solito sui grandi schermi: per fortuna dura meno di un'ora e mezzo. Il bello è che per confezionare e sceneggiare questa minchiata, ci si sono messe due teste, non dico di quale contenuto: quella del regista stesso e quella di Sandrone Dazieri, quello che aveva inventato il Gorilla, il detective schizofrenico di alcuni romanzetti di discreto successo; uno che dal Centro Sociale Leoncavallo è passato direttamente al ramo editoriale presso Mondadori, cfr. Berlusconi: un giallista, esperto del ramo. Il risultalo penoso ne è la logica conseguenza. Oltre a trattarsi dell'ennesima variazione su un tema ormai abusato: (Una vita tranquilla di Claudio Cupellini, 2010, per fare solo un esempio cinematografico), quel che salta all'occhio è che la storia è molto meno plausibile di quanto non lo sia la vicenda raccontata da Bang Bang Baby, esplosiva serie uscita su Amazon Prime quest'anno e di cui mi occuperò prossimamente, che pur essendo esplicitamente parodistica, pulp e splatter, si ispira dichiaratamente a una vera storia di ndraghenta, il libro autobiografico di Marisa Merico L'intoccabile. Con cui questo miserevole film ha parecchi tratti in comune. Non che si tratti di plagio, per carità, non mi permetterei nemmeno di sospettarlo: ma le coincidenze sono tante. Troppe per essere solo un caso. Non il risultato: squallido quello di Il mio nome è vendetta; prodigioso, e non sto scherzando, quello di Bang Bang Baby. 

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