domenica 12 maggio 2019

I figli del Fiume Giallo

"I figli del Fiume Giallo" (Jianghu Ernü/Ash is Purest White) di Ja Zhangke. Con Zhao Tao, Liao Fan, Zheng Xu, Casper Liang, Feng Xiaogang, Yinan Dao e altri. Cina, Francia, Giappone 2018 ★★★★
In concorso al Festival di Cannes la primavera passata e presentato a quello di Torino in anteprima italiana lo scorso autunno, esce nelle nostre sale soltanto ora questo potente, suggestivo, complesso ma al contempo scorrevole e coinvolgente film di uno dei più grandi talenti del cinema cinese, Ja Zhangke, che torna sulle sue tracce (in particolare mi riferisco a Still Life, Leone d'Oro strameritato nel 2006 a Venezia) raccontando, attraverso una storia che attraversa i generi, tra il noir hongkonghese, il melodramma sentimentale e il documentario antropologico; i tempi (la vicenda si svolge in tre fasi: 2001, 2006 e 2018); i luoghi Datong, nel Nord della provincia dello Shanxi, Fenyang nel Sud della stessa, e la zona delle Tre Gole, nello Hubei, devastata e stravolta dalla costruzione della seconda più grande diga al mondo per la produzione di energia elettrica; ma anche le tecniche (inserti in analogico d'epoca, forse girati durante i suoi lavori precedenti, in un film girato in digitale). Qiao (una straordinaria Zhai Tao, moglie del regista e già protagonista in Still Life) è una ballerina nonché fidanzata di Bin, appartenente a una fratellanza tra cui vige un codice d'onore ereditato dal mondo delle arti marziale dalle varie Triadi che dominano il sottobosco del Paese, e gestiscono una bisca a Datong: conducono una vita tutto sommato tranquilla, anche se lui sembra più propenso a considerare come sua famiglia la confraternita che attratto dall'idea di metterne su una "regolare" con lei, ma la vita di entrambi cambia in modo radicale dopo che una sera Bin viene assalito da una banda di giovinastri che mirano a prenderne il posto e Qiao interviene sparando alcuni colpi di pistola in aria per salvarlo da un linciaggio: farà cinque anni di galera per possesso illegale d'armi e soprattutto perché non ne rivelerà la provenienza e si rifiuterà di testimoniare. Quando uscirà di prigione Bin non sarà lì ad aspettarla: in carcere ha trascorso soltanto un anno, non è mai andato a trovarla ed è sparito. Qiao si mette sulle sue tracce, che la portano a Fenyang (dopo aver attraversato la zona delle Tre Gole su un battello: un'emozione per me rivedere dei luoghi che avevo visitato nel 1992) dove Bin, che asserisce di aver "cambiato vita" evita dapprima di farsi trovare, ma alla fine la pertinace Qiao riesce a stanarlo e lo costringe a un chiarimento sulla loro situazione sentimentale. La terza parte del film si svolge di nuovo a Datong, nella stessa bisca dove la vicenda era iniziata ma in una situazione in cui nel frattempo si sono invertiti i ruoli (parallelamente, altrettanto radicalmente è cambiata la Cina nell'arco degli ultimi vent'anni) tra loro due: come non lo saprete da me ma lo scoprirete se seguirete il mio consiglio di non perdervi questo film, tra i migliori visto durante questa stagione cinematografica, perché da un lato capace di coinvolgere ed essere comprensibile a livello universale, e dall'altro di raccontare la mutazione di un Paese che racchiude un universo di sfaccettature come la Cina, dove il nuovo e una cultura e tradizioni profonde e vecchie millenni si intrecciano. Insomma interessante quanto godibile come spettacolo: cosa volere di più? 

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