"Il grande spirito" di Sergio Rubini. Con Rocco Papaleo, Sergio Rubini, Ivana Lotito, Bianca Guaccero, Geno Diana, Alessandro Giallocosta, Ilaria Ciangalossi, Antonio Andrisani, Totò Onnis e altri. Italia 2019 ★★★★
Favola morale e metafora, Il grande spirito, l'ultima regia di Sergio Rubini, qui coprotagonista con Rocco Papaleo in un film incentrato sui due personaggi principali, è quanto mai attuale e colpisce nel segno e lo fa avvalendosi di una commistione di generi, dal noir d'azione alla commedia al melodramma a film del classico "colpo grosso", il tutto in forma surreale ma quanto mai concreta, raccontando il fortuito e provvidenziale incontro fra due disgraziati sui tetti di Taranto, con le ciminiere e i fumi velenosi dell'Ilva a dominare sul degradato panorama circostante: sintomatico che pressoché tutta la vicenda si svolga in alto, sulle terrazze affacciate sulla città e il centro siderurgico che incombe su di essa e che condiziona costantemente la vita (e la salute) degli abitanti, fra inseguimenti, sparatorie, nascondigli in luoghi abietti, situazioni scabrose: eppure una luce esiste, anche nel caso dei due disperati al centro del racconto. Tonino è un delinquente, perseguitato dalla malasorte, trasandato e dedito all'alcol che frequenta galere e bassifondi, chiamato con spregio "barboncino" dal suoi complici e relegato a fare il palo durante una rapina finita male e compiuta nel territorio di una gang rivale: per un caso fortuito viene in possesso di un borsone con la ricca refurtiva, un bel gruzzolo in contanti e gioielli di valore, e fa perdere le proprie tracce nascondendolo in un cantiere e trovando rifugio, una volta inseguito, in un tugurio su un terrazzo, abitato da Cervo Nero, alias Renato, un uomo affetto da autismo convinto di appartenere alla tribù dei Sioux, in perenne lotta contro gli yankees che hanno desertificato tutto ciò che un tempo erano foreste e praterie, sterminato i bisonti, oppresso gli indigeni e tutto in nome del dio quattrino, e che vede nell'arrivo di Tonino quello dell'uomo del destino come, nella sua fantasia, gli aveva annunciato il Grande Spirito, con cui è in costante contatto. E di un incontro del destino si tratta, fra due uomini al margine, che pur partendo da visioni opposte riescono a capirsi e ad aiutarsi a vicenda: non sto qui a raccontare come perché è parte essenziale del film in cui, pur muovendosi in un ambito di raro squallore umano (vedi anche la vicenda di Teresa, un'inquilina del palazzo, madre di due figli e vessata dal marito violento, l'unica a occuparsi di Renato in cambio di un luogo in cui prostituirsi, mentre il cugino dell'uomo cerca di estorcergli una firma per farlo ricoverare volontariamente in un ospedale psichiatrico e entrare così in possesso del ripostiglio sul terrazzo per trasformarlo in un attico), proprio tra gli ultimi permane una scintilla di dignità e umanità e nella follia una rara saggezza. Secondo Renato, come diceva Toro Seduto, dopo aver distrutto tutto agli yankees non rimarrà che nutrirsi di quel denaro che idolatrano, che invece secondo Tonino rimane pur sempre il mezzo per "svoltare" in una vita passata fra galera e disgrazie, e per Teresa per affrancarsi dal marito che la schiavizza, ma alla fine si capiranno e la solidarietà fra loro, nonché il sacrificio di uno, porteranno un po' di giustizia e a un parziale riscatto di chi resta. Livida ed espressiva la fotografia, ambientazione adeguata ed estremamente realistica e pertanto sgradevole, senza bisogno di calcare la mano, considerati luogo e circostanze, solida la sceneggiatura, ironico e caustico ma lieve e mai giudicante e moraleggiante ,di ottimo livello il sottofondo musicale di Luigi Einudi, forse un po' troppo lungo ma comunque un ottimo film, inconsueto e ben fatto: complimenti a regista e interpreti e a Domenico Procacci e alla sua Fandango che produce e distribuisce sempre film di qualità e mai banali.
Favola morale e metafora, Il grande spirito, l'ultima regia di Sergio Rubini, qui coprotagonista con Rocco Papaleo in un film incentrato sui due personaggi principali, è quanto mai attuale e colpisce nel segno e lo fa avvalendosi di una commistione di generi, dal noir d'azione alla commedia al melodramma a film del classico "colpo grosso", il tutto in forma surreale ma quanto mai concreta, raccontando il fortuito e provvidenziale incontro fra due disgraziati sui tetti di Taranto, con le ciminiere e i fumi velenosi dell'Ilva a dominare sul degradato panorama circostante: sintomatico che pressoché tutta la vicenda si svolga in alto, sulle terrazze affacciate sulla città e il centro siderurgico che incombe su di essa e che condiziona costantemente la vita (e la salute) degli abitanti, fra inseguimenti, sparatorie, nascondigli in luoghi abietti, situazioni scabrose: eppure una luce esiste, anche nel caso dei due disperati al centro del racconto. Tonino è un delinquente, perseguitato dalla malasorte, trasandato e dedito all'alcol che frequenta galere e bassifondi, chiamato con spregio "barboncino" dal suoi complici e relegato a fare il palo durante una rapina finita male e compiuta nel territorio di una gang rivale: per un caso fortuito viene in possesso di un borsone con la ricca refurtiva, un bel gruzzolo in contanti e gioielli di valore, e fa perdere le proprie tracce nascondendolo in un cantiere e trovando rifugio, una volta inseguito, in un tugurio su un terrazzo, abitato da Cervo Nero, alias Renato, un uomo affetto da autismo convinto di appartenere alla tribù dei Sioux, in perenne lotta contro gli yankees che hanno desertificato tutto ciò che un tempo erano foreste e praterie, sterminato i bisonti, oppresso gli indigeni e tutto in nome del dio quattrino, e che vede nell'arrivo di Tonino quello dell'uomo del destino come, nella sua fantasia, gli aveva annunciato il Grande Spirito, con cui è in costante contatto. E di un incontro del destino si tratta, fra due uomini al margine, che pur partendo da visioni opposte riescono a capirsi e ad aiutarsi a vicenda: non sto qui a raccontare come perché è parte essenziale del film in cui, pur muovendosi in un ambito di raro squallore umano (vedi anche la vicenda di Teresa, un'inquilina del palazzo, madre di due figli e vessata dal marito violento, l'unica a occuparsi di Renato in cambio di un luogo in cui prostituirsi, mentre il cugino dell'uomo cerca di estorcergli una firma per farlo ricoverare volontariamente in un ospedale psichiatrico e entrare così in possesso del ripostiglio sul terrazzo per trasformarlo in un attico), proprio tra gli ultimi permane una scintilla di dignità e umanità e nella follia una rara saggezza. Secondo Renato, come diceva Toro Seduto, dopo aver distrutto tutto agli yankees non rimarrà che nutrirsi di quel denaro che idolatrano, che invece secondo Tonino rimane pur sempre il mezzo per "svoltare" in una vita passata fra galera e disgrazie, e per Teresa per affrancarsi dal marito che la schiavizza, ma alla fine si capiranno e la solidarietà fra loro, nonché il sacrificio di uno, porteranno un po' di giustizia e a un parziale riscatto di chi resta. Livida ed espressiva la fotografia, ambientazione adeguata ed estremamente realistica e pertanto sgradevole, senza bisogno di calcare la mano, considerati luogo e circostanze, solida la sceneggiatura, ironico e caustico ma lieve e mai giudicante e moraleggiante ,di ottimo livello il sottofondo musicale di Luigi Einudi, forse un po' troppo lungo ma comunque un ottimo film, inconsueto e ben fatto: complimenti a regista e interpreti e a Domenico Procacci e alla sua Fandango che produce e distribuisce sempre film di qualità e mai banali.
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