"Blakkklansman" di Spike Lee. Con John David Washington, Adam Driver, Topher Grace. Laura Harrier, Ryan Eggold, Jasper Pääkkönnen, Harry Belafonte e altri. USA 2018 ★★★-
Ironico, intelligente, brillante, colto, impegnato politicamente, regista e sceneggiatore di fama, ancora una volta Spike Lee non è riuscito a convincermi del tutto. Per quanto Blakkklansman, incredibilmente tratto da una storia vera, quella dell'infiltrazione nella divisione del Ku Klux Klan della propria città, Colorado Springs, da parte di un agente nero, raccontata in un libro autobiografico da Ron Stallworth (interpretato da John David Washington) sia piuttosto divertente, lo è al punto da rendere poco credibile la morale che Lee ne trae: il razzismo non solo perdurante ma congenito dell'americano medio trumpizzato, del resto inevitabile in una nazione fondata sul genocidio e la schiavitù e dominata dai "valori" ereditati dalla parte più retriva, bigotta ed egoista della società britannica prima ancora che quest'ultima si lanciasse nell'avventura imperiale, ché questi e non altro erano i tuttora celebrati "Padri Fondatori". Stand Up!, dice il regista nelle ultime scene del film, quando ripropone immagini originali di un linciaggio avvenuto nel 1916 raccontato da Harry Belafonte, quelle di un'intervista a David Duke, già deputato della Louisiana e leader del KKK, quelle della morta di una giovane donna (bianca) durante gli incidenti avvenuti a Charlotteville, Virginia, l'anno scorso durante una manifestazione con scontri tra neonazisti e oppositori di Trump nonché le vergognose dichiarazioni di quest'ultimo; però mostra anche lui, attraverso il personaggio principale del film, di aderire ai "valori" di fondo su cui si basa una simile società: la malintesa "libertà" (assoluta per quanto riguarda i WASP), l'individualismo sfrenato, il business is business, il patriottismo fanatico, insomma l'American Way of Life, a cui anche le altre etnie che compongono gli USA devono adeguarsi (e alla fin fine lo fanno) e che tuttora sono una calamita per tanti immigrati, legali o no, che vogliono entrare a fare parte di una società simile. Come si possa pensare di combattere il razzismo dall'interno di un corpo di polizia fondamentalmente razzista, come può esserlo quello di uno Stato del Sud come il Colorado, da parte di un giovane nero colto di inizi anni Settanta, in epoca di Black Panthers, che si candida come agente, rimane un mistero; comunque sia, Ron Stallworth, neolaureato, si arruola in polizia e, dopo gli esordi come archivista, entra a far parte degli agenti sotto copertura e viene infiltrato in un comizio di Stokely Carmichael, leader delle Pantere Nere, dove conosce Pat, l'organizzatirice, a capo dell'asociazione degli studenti neri locali, con cui avvia una relazione. E' probabilmente questa la molla che porta Ron a porsi qualche domanda e a proporsi di infiltrarsi nel KKK locale, cosa che gli riesce, prendendo la tessera e divenendone il capo a Colorado Springs, ovviamente tenendo i contatti con i vertici dell'organizzazione soltanto a voce, per telefono e, dal vivo, per interposta persona, il suo collega Flip Zimmerman (ottimamente interpretato da Adam Driver, ormai non più una rivelazione) che è sì bianco ma, ironia della sorte, ebreo, ossia il nemico numero due del KKK. Il resto è una godibile commedia poliziottesca, ricca di colpi di scena, situazioni altamente improbabili, e benché l'ironia e il giusto per la dissacrazione e la battuta di Spike Lee siano note, la sensazione è che non resista a "buttarla in caciara", ed è quel che convince di meno. Però si fa vedere.
Ironico, intelligente, brillante, colto, impegnato politicamente, regista e sceneggiatore di fama, ancora una volta Spike Lee non è riuscito a convincermi del tutto. Per quanto Blakkklansman, incredibilmente tratto da una storia vera, quella dell'infiltrazione nella divisione del Ku Klux Klan della propria città, Colorado Springs, da parte di un agente nero, raccontata in un libro autobiografico da Ron Stallworth (interpretato da John David Washington) sia piuttosto divertente, lo è al punto da rendere poco credibile la morale che Lee ne trae: il razzismo non solo perdurante ma congenito dell'americano medio trumpizzato, del resto inevitabile in una nazione fondata sul genocidio e la schiavitù e dominata dai "valori" ereditati dalla parte più retriva, bigotta ed egoista della società britannica prima ancora che quest'ultima si lanciasse nell'avventura imperiale, ché questi e non altro erano i tuttora celebrati "Padri Fondatori". Stand Up!, dice il regista nelle ultime scene del film, quando ripropone immagini originali di un linciaggio avvenuto nel 1916 raccontato da Harry Belafonte, quelle di un'intervista a David Duke, già deputato della Louisiana e leader del KKK, quelle della morta di una giovane donna (bianca) durante gli incidenti avvenuti a Charlotteville, Virginia, l'anno scorso durante una manifestazione con scontri tra neonazisti e oppositori di Trump nonché le vergognose dichiarazioni di quest'ultimo; però mostra anche lui, attraverso il personaggio principale del film, di aderire ai "valori" di fondo su cui si basa una simile società: la malintesa "libertà" (assoluta per quanto riguarda i WASP), l'individualismo sfrenato, il business is business, il patriottismo fanatico, insomma l'American Way of Life, a cui anche le altre etnie che compongono gli USA devono adeguarsi (e alla fin fine lo fanno) e che tuttora sono una calamita per tanti immigrati, legali o no, che vogliono entrare a fare parte di una società simile. Come si possa pensare di combattere il razzismo dall'interno di un corpo di polizia fondamentalmente razzista, come può esserlo quello di uno Stato del Sud come il Colorado, da parte di un giovane nero colto di inizi anni Settanta, in epoca di Black Panthers, che si candida come agente, rimane un mistero; comunque sia, Ron Stallworth, neolaureato, si arruola in polizia e, dopo gli esordi come archivista, entra a far parte degli agenti sotto copertura e viene infiltrato in un comizio di Stokely Carmichael, leader delle Pantere Nere, dove conosce Pat, l'organizzatirice, a capo dell'asociazione degli studenti neri locali, con cui avvia una relazione. E' probabilmente questa la molla che porta Ron a porsi qualche domanda e a proporsi di infiltrarsi nel KKK locale, cosa che gli riesce, prendendo la tessera e divenendone il capo a Colorado Springs, ovviamente tenendo i contatti con i vertici dell'organizzazione soltanto a voce, per telefono e, dal vivo, per interposta persona, il suo collega Flip Zimmerman (ottimamente interpretato da Adam Driver, ormai non più una rivelazione) che è sì bianco ma, ironia della sorte, ebreo, ossia il nemico numero due del KKK. Il resto è una godibile commedia poliziottesca, ricca di colpi di scena, situazioni altamente improbabili, e benché l'ironia e il giusto per la dissacrazione e la battuta di Spike Lee siano note, la sensazione è che non resista a "buttarla in caciara", ed è quel che convince di meno. Però si fa vedere.
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