mercoledì 8 marzo 2017

Vi presento Toni Erdmann

"Vi presento Toni Erdmann" (Toni Erdmann) di Maren Ade. Con Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn, Trystan Pütter, Ingrid Bisu, Thomas Loibl, Hadewych Minis, Radu Bananu, Vlad Ivanov e altri. Germania, Austria 2016 ★-
Non c'è due senza tre, come dice il proverbio: terza cagata colossale di fila in sala, anche questa osannata da una buona parte della critica prezzolata, cieca o in malafede. Anche se già solo l'accostamento degli aggettivi divertente, lieve e tedesco è piuttosto azzardato nonché sospetto, ero curioso di come una sceneggiatrice e regista germanica avrebbe sviluppato i tentativi di riavvicinamento di un padre anziano e propenso alla burla alla figlia mannagger in carriera in trasferta a Bucarest al servizio di una qualche azienda di servizi teutonica di tagliateste (sono loro i veri tagliagole, non i selvaggi balcanici), anche confidando nella bravura di Peter Simonischek, attore di teatro austriaco di grande spessore e bravura: la si intravede, ma sprecata in questo film insulso e indisponente  quanto velleitario e insopportabilmente tedioso (supera abbondantemente le due ore e mezzo), ma in questo frangente utilizzato soltanto per il suo talento di ortodontotecnico, mestiere a cui lo aveva avviato il padre dentista al suo rifiuto di seguirne la strada, iscrivendosi invece ad architettura e, segretamente, alla scuola di recitazione. Ecco da dove nasce l'ossessione di Winfried Conradi, il protagonista del film, conosciuto anche come Toni Erdmann quando si maschera con parrucche improbabili, per i denti finti, che completano regolarmente i suoi travestimenti. Che sono il mezzo col quale questo insegnante di musica in pensione (non viene detto esplicitamente ma lo si evince dalle sinossi e dalle recensioni mentre solo un paio di indizi sono disseminati da una sceneggiatura sciatta e scombinata a confermarlo) tenta di rientrare in rapporto con una figlia nevrotica, mentecatta, in carriera, incarognita, anaffettiva e odiosa (in questi tratti resa egregiamente dalla frigida e scostante Sandra Hüller). Winfried, che vive solo con il vecchio cane e passa il tempo facendo scherzi puerili e andando a far visita alla madre immobilizzata su una sedia a rotelle, incontra per caso la figlia Ines a una festa di compleanno presso la ex moglie e, vedendola costantemente attaccata al cellulare, intuisce che qualcosa non va e che è infelice nonostante la disinvoltura e sicurezza esibite. Quando gli muore il cane Billy, ha la bella pensata di andarla a trovare per qualche giorno a Bucarest, dove Ines è stata trasferita da qualche anno dalla sua società per elaborare piani di riduzione dei costi (leggi personale) di un'azienda petrolifera locale, e dove esporta le sue trovate imbarazzanti per quanto siano poco divertenti, per di più improbabili quanto le reazioni di Ines, tanto nazista sul lavoro quanto inebetita e vacua nella vita privata, ammesso e non concesso che ne abbia una. Il riavvicinamento tra padre e figlia funziona così bene che quest'ultima si dimette dalla società che l'aveva mandata in Romania per andare a lavorare per una multinazionale ancora più grande e prestigiosa ben più lontano: nella quasi irraggiungibile, per Toni Edrmann aka Winfried, Singapore. E così avanti per oltre 260 interminabili minuti, con delle gag patetiche e dei riferimenti simbolici quantomeno discutibili e raffazzonati. Eppure gli spunti non mancavano, a prescindere dalle farneticanti letture in chiave "psicanalitica" e perfino "bergmaniana" di qualche critico troppo indulgente con i viaggi a base di acido lisergico o di schnaps alla frutta, a cominciare dal colonialismo tedesco nel Sud in particolare nell'Est europeo, consentito grazie alla posizione di dominus della Germania nella UE, dall'uso delle maschere e di codici di comportamento artefatti e intercambiabili nelle diverse situazioni in cui viene vissuta un'esistenza ormai parcellizzata e schizoide, in cui il singolo ormai è un attore/spettatore al contempo oggetto e soggetto di molteplici ruoli nonché cliché e in cui si perde ogni dimensione individuale e sociale. Gli interpreti, per quanto bravi, non possono essere crediblili perché non lo sono i personaggi, sbozzati con l'accetta e senza alcuna profondità: non a caso gli unici nella parte sono proprio quelli rumeni, non ancora completamente disumanizzati ma ormai pronti ad adattarsi agli schemi del nuovo padrone. Si può anche intravedere qualche segno di autocritica da parte dell'autrice nonché regista di questa farsa desolante e triste, ma è decisamente troppo poco per rendere edibile un prodotto che del racconto cinematografico dimostra di non conoscere nemmeno l'alfabeto di base. In attesa di verificare di persona che perfino l'ultima fatica turca di Ferzan Otpetek si riveli meno indigesta di questa mappazza, sconsiglio caldamente chi legge di andarsela a infliggere.

1 commento:

  1. Mai stroncatura mi fu più gradita. Come ho sentenziato all'uscita dalla sala, film implacabile quant'altri mai: nulla ti risparmia, quanto all'inutile. Ti tedia con dialoghi e inquadrature che niente possono se non inchiodarti a una poltrona che già dopo mezz'ora vorresti mollare scappando.
    Poi, siccome i recensori "seri" te l'hanno magnificato candidandolo perfino all'Oscar, resisti e resisti e resisti, pensando che forse sei tu che trovi scenografia, dialoghi, scelte di regia al limite del peggior filmaccio di serie C di produzione balcanica.
    Evitare evitare evitare...

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