"La verità sta in cielo" di Roberto Faenza. Con Riccardo Scamarcio, Maya Sansa, Greta Scarano, Valentina Ludovini, Shel Shapiro, Paul Randall e altri. Italia 2016 ★★+
Sono andato a vedere questo film sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, irrisolto da più di trent'anni, di cui attendevo l'uscita con curiosità e fiducia, con una cara amica il cui commento, all'uscita, è stato: "Con tutto quel materiale di prim'ordine, si sarebbe potuto fare un film di ben altro spessore, pensa solo a Spotlight. Per non parlare del fatto che tutto è ridotto a una visione provinciale e per di più parlato in romanesco stretto: insopportabile". Avevo tentato di difendere la scelta romanocentrica di Faenza per la stima che porto a questo regista dalla produzione discontinua ma sempre professionale e significativa, con l'argomentazione che, in effetti, tutta la vicenda era tipicamente capitolina, così come tutti o quasi i personaggi coinvolti e l'artificio di far fare il punto della situazione a una giornalista sì italiana (Maya Sansa), ma che lavora all'estero, per una TV inglese, un modo per dire che in questo Paese un giornalismo investigativo è pressoché inesistente e, quando qualche coraggioso reporter, perlopiù free lance, si attiva per svelare i Misteri Forti dei Poteri Forti, viene sistematicamente invischiato prima nella melma delle menzogne incrociate e poi inevitabilmente respinto dal muro di gomma eretto a loro protezione; meno credibile che il direttore di una rete televisiva inglese, per quanto informale, abbia l'aspetto di Shel Shapiro ma soprattutto l'interesse a sollevare nuovamente il coperchio, a trenta e passa anni di distanza, su un cold case vedendone il collegamento con le recenti vicende di "Mafia capitale" (a meno di non essere per davvero Shel Shapiro, che vive a Roma da mezzo secolo ed è più italiano che inglese). Ma non è solo questo il difetto della pellicola che, sposando la tesi sostenuta dalla famiglia Orlandi e dal libro sul caso di Vito Bruschini a cui si ispira il film, ossia dell'"avvertimento" al Vaticano (o della vendetta) per una caterva di soldi prestati allo IOR di Marcinkus usati per finanziare la rivolta anticomunista in Polonia (nel 1983 Oltretevere "regnava" Papa Woityla) dalla mafia tramite Renatino De Pedis, già membro di spicco della Banda della Magliana e gestito da lui stesso, ha il meritorio intento di sollecitare la magistratura a non chiudere definitivamente il caso e a sollecitare la consegna di documenti e prove sempre promessi dal Vaticano e mai forniti: i dati si affastellano e, benché ricavati da pregevoli filmati d'epoca e ampiamente documentati, finiscono per generare confusione nello spettatore. Non solo: alla fine la tesi sostenuta appare la meno convincente, perché se la mafia, tramite De Pedis, aveva interesse a riavere indietro il denaro incautamente investito nello IOR di fronte alla loro gestione forsennata, non si capisce perché avrebbe dovuto far sparire le prove di un coinvolgimento di membri del Vaticano nel rapimento della ragazza e nella sua probabile soppressione, e ci si domanda perché non si sia voluta percorrere, nelle indagini, l'ipotesi del festino a sfondo sessuale o anche, chissà, rituale, ancora più vergognosa ma ancor più verosimile, considerate le tendenze pervertite e spesso pedofile di tanto clero anche altolocato, che nelle alte sfere della chiesa cattolica ha da sempre trovato ampia protezione. Apprezzabili, a mio parere, le prestazioni degli interpreti, in particolare della versatile Greta Scarano, ormai una sicurezza, ma alla fine proprio deludente la regia, con una domanda di fondo: perché ormai, per fare dei film di impegno civile, e che vadano a scavare negli scandali e negli eterni misteri di cui la nostra storia nazionale è piena, esiste ormai un solo format, quello che si rifà a Romanzo Criminale? L'originale era ottimo, la serie ancora meglio, ma si potrebbe anche cominciare a cambiare registro.
Sono andato a vedere questo film sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, irrisolto da più di trent'anni, di cui attendevo l'uscita con curiosità e fiducia, con una cara amica il cui commento, all'uscita, è stato: "Con tutto quel materiale di prim'ordine, si sarebbe potuto fare un film di ben altro spessore, pensa solo a Spotlight. Per non parlare del fatto che tutto è ridotto a una visione provinciale e per di più parlato in romanesco stretto: insopportabile". Avevo tentato di difendere la scelta romanocentrica di Faenza per la stima che porto a questo regista dalla produzione discontinua ma sempre professionale e significativa, con l'argomentazione che, in effetti, tutta la vicenda era tipicamente capitolina, così come tutti o quasi i personaggi coinvolti e l'artificio di far fare il punto della situazione a una giornalista sì italiana (Maya Sansa), ma che lavora all'estero, per una TV inglese, un modo per dire che in questo Paese un giornalismo investigativo è pressoché inesistente e, quando qualche coraggioso reporter, perlopiù free lance, si attiva per svelare i Misteri Forti dei Poteri Forti, viene sistematicamente invischiato prima nella melma delle menzogne incrociate e poi inevitabilmente respinto dal muro di gomma eretto a loro protezione; meno credibile che il direttore di una rete televisiva inglese, per quanto informale, abbia l'aspetto di Shel Shapiro ma soprattutto l'interesse a sollevare nuovamente il coperchio, a trenta e passa anni di distanza, su un cold case vedendone il collegamento con le recenti vicende di "Mafia capitale" (a meno di non essere per davvero Shel Shapiro, che vive a Roma da mezzo secolo ed è più italiano che inglese). Ma non è solo questo il difetto della pellicola che, sposando la tesi sostenuta dalla famiglia Orlandi e dal libro sul caso di Vito Bruschini a cui si ispira il film, ossia dell'"avvertimento" al Vaticano (o della vendetta) per una caterva di soldi prestati allo IOR di Marcinkus usati per finanziare la rivolta anticomunista in Polonia (nel 1983 Oltretevere "regnava" Papa Woityla) dalla mafia tramite Renatino De Pedis, già membro di spicco della Banda della Magliana e gestito da lui stesso, ha il meritorio intento di sollecitare la magistratura a non chiudere definitivamente il caso e a sollecitare la consegna di documenti e prove sempre promessi dal Vaticano e mai forniti: i dati si affastellano e, benché ricavati da pregevoli filmati d'epoca e ampiamente documentati, finiscono per generare confusione nello spettatore. Non solo: alla fine la tesi sostenuta appare la meno convincente, perché se la mafia, tramite De Pedis, aveva interesse a riavere indietro il denaro incautamente investito nello IOR di fronte alla loro gestione forsennata, non si capisce perché avrebbe dovuto far sparire le prove di un coinvolgimento di membri del Vaticano nel rapimento della ragazza e nella sua probabile soppressione, e ci si domanda perché non si sia voluta percorrere, nelle indagini, l'ipotesi del festino a sfondo sessuale o anche, chissà, rituale, ancora più vergognosa ma ancor più verosimile, considerate le tendenze pervertite e spesso pedofile di tanto clero anche altolocato, che nelle alte sfere della chiesa cattolica ha da sempre trovato ampia protezione. Apprezzabili, a mio parere, le prestazioni degli interpreti, in particolare della versatile Greta Scarano, ormai una sicurezza, ma alla fine proprio deludente la regia, con una domanda di fondo: perché ormai, per fare dei film di impegno civile, e che vadano a scavare negli scandali e negli eterni misteri di cui la nostra storia nazionale è piena, esiste ormai un solo format, quello che si rifà a Romanzo Criminale? L'originale era ottimo, la serie ancora meglio, ma si potrebbe anche cominciare a cambiare registro.
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