"Café Society" di Woody Allen. Con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carrell, Blake Lively, Jeannie Berlin, Corey Scott, Parker Posey, Ken Scott, Paul Schneider, Tony Sirico e altri. USA 2016 ★★★★
Un divertissement elegante, come sempre intelligente, con un tocco di malinconia, ambientato, almeno nella prima parte, nel mondo dorato che ruota attorno al cinema nella Los Angeles degli anni Trenta, dove Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), un giovane di famiglia ebrea newyorchese, viene catapultato per cercar fortuna affidandosi allo zio di successo, Phil (Steve Carrell), fratello della madre, famoso agente delle star di Hollywood, che dopo avergli dato l'incarico di fattorino lo affida alle cure della giovane segretaria, Vonnie, per svezzarlo e farne il suo factotum. Inevitabilmente si innamora della ragazza, che per un certo periodo lo ricambia nonostante gli dica di avere un fidanzato, al punto che Bobby, che nel frattempo, essendo un ragazzo intelligente e gentile è riuscito a imparare a muoversi nell'ambiente diventando l'uomo di fiducia di Phil, le propone di sposarlo e trasferirsi a New York ma, dalle confidenze dello zio, emerge che in realtà è Phil l'uomo con cui Vonnie ha una relazione ed è lui che sceglierà quando questi lascerà moglie e figli. Deluso, Bobby ritorna a New York, l'unico luogo in cui si senta davvero sé stesso e riesca a immaginarsi (evidenziando, se ancora servisse, quanto sia l'alter ego di Allen nell'occasione), e diventa l'animatore di un locale notturno, il Café Society per l'appunto, che gestisce per conto del fratello Ben, un gangsters che ha investito in esso i proventi delle sue attività criminali. Il Café Society, dove si suona peraltro dell'ottimo jazz (mai visti tanti neri in una pellicola di Allen: era l'occasione buona per rifarsi!), che giustamente funge da colonna sonora, diviene presto, grazie all'affabilità di Bob e alle sue conoscenze, un locale di grande successo frequentato dalla gente che conta, fino a diventare di sua proprietà quando il fratello viene arrestato e poi giustiziato sulla sedia elettrica. Nel frattempo Bob si è sposato, combinazione, con un'altra Vonnie (Blake Lively), divorziata da poco, ma ecco che, in visita, vengono per una settimana zio Phil e la giovane moglie, la vonnie californiana, l'amore del passato, quello che sempre rimane vivo, nonostante tutto, nel cuore di Bobby. Parabola autobiografica, ironica e un po' cinica al contempo, e sempre con un tocco nostalgico, Café Society, che deve non poco alla maestria di un direttore della fotografia del calibro di Vittorio Storaro, alla prima collaborazione con Allen, appartiene al gruppo dei migliori film dell'ultima produzione del maestro newyorchese, non solo a parere mio ma pressoché unanimemente almeno a sentire quel che diceva il pubblico all'uscita della proiezione, lontano dalle sue pellicole turistiche europee: Woody Allen c'è ancora e ha battuto un colpo.
Un divertissement elegante, come sempre intelligente, con un tocco di malinconia, ambientato, almeno nella prima parte, nel mondo dorato che ruota attorno al cinema nella Los Angeles degli anni Trenta, dove Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), un giovane di famiglia ebrea newyorchese, viene catapultato per cercar fortuna affidandosi allo zio di successo, Phil (Steve Carrell), fratello della madre, famoso agente delle star di Hollywood, che dopo avergli dato l'incarico di fattorino lo affida alle cure della giovane segretaria, Vonnie, per svezzarlo e farne il suo factotum. Inevitabilmente si innamora della ragazza, che per un certo periodo lo ricambia nonostante gli dica di avere un fidanzato, al punto che Bobby, che nel frattempo, essendo un ragazzo intelligente e gentile è riuscito a imparare a muoversi nell'ambiente diventando l'uomo di fiducia di Phil, le propone di sposarlo e trasferirsi a New York ma, dalle confidenze dello zio, emerge che in realtà è Phil l'uomo con cui Vonnie ha una relazione ed è lui che sceglierà quando questi lascerà moglie e figli. Deluso, Bobby ritorna a New York, l'unico luogo in cui si senta davvero sé stesso e riesca a immaginarsi (evidenziando, se ancora servisse, quanto sia l'alter ego di Allen nell'occasione), e diventa l'animatore di un locale notturno, il Café Society per l'appunto, che gestisce per conto del fratello Ben, un gangsters che ha investito in esso i proventi delle sue attività criminali. Il Café Society, dove si suona peraltro dell'ottimo jazz (mai visti tanti neri in una pellicola di Allen: era l'occasione buona per rifarsi!), che giustamente funge da colonna sonora, diviene presto, grazie all'affabilità di Bob e alle sue conoscenze, un locale di grande successo frequentato dalla gente che conta, fino a diventare di sua proprietà quando il fratello viene arrestato e poi giustiziato sulla sedia elettrica. Nel frattempo Bob si è sposato, combinazione, con un'altra Vonnie (Blake Lively), divorziata da poco, ma ecco che, in visita, vengono per una settimana zio Phil e la giovane moglie, la vonnie californiana, l'amore del passato, quello che sempre rimane vivo, nonostante tutto, nel cuore di Bobby. Parabola autobiografica, ironica e un po' cinica al contempo, e sempre con un tocco nostalgico, Café Society, che deve non poco alla maestria di un direttore della fotografia del calibro di Vittorio Storaro, alla prima collaborazione con Allen, appartiene al gruppo dei migliori film dell'ultima produzione del maestro newyorchese, non solo a parere mio ma pressoché unanimemente almeno a sentire quel che diceva il pubblico all'uscita della proiezione, lontano dalle sue pellicole turistiche europee: Woody Allen c'è ancora e ha battuto un colpo.
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