"Fuochi d'artificio in pieno giorno" (Black Coal, Thin Ice") di Ynan Diao. Con Liao Fan, Lun Mei Gwei, Xuebing Wang, Jingchun Wang, Yua Ai Le, Ni Jingyang. Cina 2104 ★★★★★
Altro film, come quello segnalato nel post precedente, che incomprensibilmente trova spazio nella programmazione soltanto in una settimana di mezza estate, addirittura a un anno e mezzo di distanza dal doppio trionfo (miglior film e miglior attore) alla Berlinale del 2014, quando la distribuzione è al contrario estremamente sollecita a propinarci le più solenni cagate hollywoodiane in contemporanea o quasi con l'uscita sugli schermi USA o le più banali produzioni nostrane. Qui si tratta di un noir di prim'ordine, con tutti i canoni del genere al proprio posto, quasi "chandleriano", ma con una marcia in più: una fotografia eccezionale e un uso non comune dell'audio, e non inteso come colonna sonora musicale ma come sottofondo di suoni e voci. Particolari che aiutano a raccontare ancor di più e meglio, come conviene a ogni poliziesco che si rispetti, la realtà sociale e quindi implicitamente quella politica di un Paese, senza essere costretti a esporsi in maniera esplicita, aspetto tanto più prezioso nel caso di un film cinese, dove protagonista, nella sua realtà quotidiana, è la vita in un distretto minerario della Manciuria. Nel cui capoluogo prende il via la vicenda, con il misterioso ritrovamento dei pezzi di un cadavere dispersi su diversi vagoni di carbone: a guidare le indagini per dargli un volto un detective della polizia appena reduce da un traumatico divorzio, che presto rimane coinvolto in una assurda sparatoria in cui trovano la morte alcuni colleghi e due balordi. Lui rimane ferito, l'indagine perde vigore, il caso rimane tra gli insoluti e l'uomo cade in una pesante depressione che lo porta a dimettersi e farsi trasferire alla sorveglianza di una miniera. Lì, alcolizzato e in crisi, cinque anni dopo, avviene il ritrovamento di altri pezzi di cadavere con le medesime modalità, e il detective, in vena di riscatto personale, riprende le indagini, per conto suo, coadiuvando gli ex colleghi e amici con cui era rimasto in buoni rapporti, finendo sulle tracce di una donna indecifrabile, un'apparentemente semplice e innocua addetta di una lavanderia, i cui accompagnatori pro tempore hanno il vizio di sparire nel nulla. Non è il caso che sveli altri della trama, ché il finale è piuttosto sorprendente: mi limito a dire che, descrivendo un quadro di ordinaria infelicità di personaggi che finiscono per essere coinvolti in situazioni che non cercavano a causa di un destino imperscrutabile o del semplice caso, il film ricorda le cose migliori dei fratelli Coen; più in generale ribadisco che da almeno un decennio la cinematografia cinese è all'altezza, in tutti campi, di quella USA ed europea di livello più alto. Uno dei migliori film che abbia visto dall'inizio dell'anno, sicuramente quello che mi ha sorpreso di più.
Altro film, come quello segnalato nel post precedente, che incomprensibilmente trova spazio nella programmazione soltanto in una settimana di mezza estate, addirittura a un anno e mezzo di distanza dal doppio trionfo (miglior film e miglior attore) alla Berlinale del 2014, quando la distribuzione è al contrario estremamente sollecita a propinarci le più solenni cagate hollywoodiane in contemporanea o quasi con l'uscita sugli schermi USA o le più banali produzioni nostrane. Qui si tratta di un noir di prim'ordine, con tutti i canoni del genere al proprio posto, quasi "chandleriano", ma con una marcia in più: una fotografia eccezionale e un uso non comune dell'audio, e non inteso come colonna sonora musicale ma come sottofondo di suoni e voci. Particolari che aiutano a raccontare ancor di più e meglio, come conviene a ogni poliziesco che si rispetti, la realtà sociale e quindi implicitamente quella politica di un Paese, senza essere costretti a esporsi in maniera esplicita, aspetto tanto più prezioso nel caso di un film cinese, dove protagonista, nella sua realtà quotidiana, è la vita in un distretto minerario della Manciuria. Nel cui capoluogo prende il via la vicenda, con il misterioso ritrovamento dei pezzi di un cadavere dispersi su diversi vagoni di carbone: a guidare le indagini per dargli un volto un detective della polizia appena reduce da un traumatico divorzio, che presto rimane coinvolto in una assurda sparatoria in cui trovano la morte alcuni colleghi e due balordi. Lui rimane ferito, l'indagine perde vigore, il caso rimane tra gli insoluti e l'uomo cade in una pesante depressione che lo porta a dimettersi e farsi trasferire alla sorveglianza di una miniera. Lì, alcolizzato e in crisi, cinque anni dopo, avviene il ritrovamento di altri pezzi di cadavere con le medesime modalità, e il detective, in vena di riscatto personale, riprende le indagini, per conto suo, coadiuvando gli ex colleghi e amici con cui era rimasto in buoni rapporti, finendo sulle tracce di una donna indecifrabile, un'apparentemente semplice e innocua addetta di una lavanderia, i cui accompagnatori pro tempore hanno il vizio di sparire nel nulla. Non è il caso che sveli altri della trama, ché il finale è piuttosto sorprendente: mi limito a dire che, descrivendo un quadro di ordinaria infelicità di personaggi che finiscono per essere coinvolti in situazioni che non cercavano a causa di un destino imperscrutabile o del semplice caso, il film ricorda le cose migliori dei fratelli Coen; più in generale ribadisco che da almeno un decennio la cinematografia cinese è all'altezza, in tutti campi, di quella USA ed europea di livello più alto. Uno dei migliori film che abbia visto dall'inizio dell'anno, sicuramente quello che mi ha sorpreso di più.
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