venerdì 25 aprile 2025

Liberazione dai sepolcri imbiancati

Che le sedicenti autorità e gli antifascisti di comodo e di professione ci risparmino almeno oggi fiumi di bolsa retorica e ipocrite lezioni, o peggio improponibili richieste di abiure da parte di personaggi da cui è ridicolo e inutile pretenderle e a cui sono state lasciate praterie a causa della propria insipienza e miseria morale e intellettuale. Non siete nelle condizioni di dare lezioni di niente a nessuno. Ora e sempre, vergognatevi. Piuttosto che ricordare più o meno sobriamente le date, ripassate un po' di storia e rinfrescate la vostra memoria da pesce rosso.

lunedì 21 aprile 2025

Eden

"Eden" di Ron Howard. Con Jude Law, Ana de Armas, Vanessa Kirby, Daniel Brühl, Sydney Sweeney, Richard Roxburgh, Toby Wallace, Felix Kammerer, Ignácio Gasparini e altri. USA 2024 ★★★★+

Un bel film, avvincente come un noir, antropologico, verrebbe la voglia di definirlo, perché tratto da una storia vera, raccontata cucendo la versione di due delle protagoniste e che prende il via con il trasferimento, nel 1929, del medico e filosofo tedesco Friedrich Richter e della sua compagna e allieva Dore Strauch a Floreana, isola disabitata nell'arcipelago delle Galapagos, in Ecuador, lo studio della cui fauna da parte Charles Darwin gli diede i mezzi per sviluppare la sua teoria dell'evoluzione della specie tramite la selezione naturale. Richter abbandona il mondo capitalista, in crisi pressoché mortale in quegli anni della Grande Depressione, con l'intenzione di scrivere un trattato sul ritorno dell'uomo a uno stato naturale, contestando valori, violenza e avidità della cosiddetta civiltà occidentale: sostanzialmente un anarchico e un pacifista. Nel 1932 lui e la Strauch vengono raggiunti sull'isola da Heinz Wittmer, un reduce della Grande Guerra ancora sconvolto dall'esperienza bellica, il figlio malato d'asma e la giovanissima moglie Margret, affascinati dalle sue teorie. Wittmer, che non ha ancora completato la sua opera, non voleva discepoli, e meno che mai vicini che turbassero i suoi equilibri, e li accoglie e aiuta malvolentieri, limitandosi a indicare loro dove costruire la loro abitazione e contando sul fatto che non sarebbero riusciti a sopravvivere alle durezze della vista sull'isola. Cosa che invece i tenaci coniugi Wittmer riuscirono a fare edificando da soli una casa solida e confortevole e a organizzare dignitosamente la loro esistenza, mettendo perfino in cantiere un figlio, che sarà anche il primo umano a nascere su Floreana (sarà femmina). A cambiare radicalmente e definitivamente la situazione e a precipitarla in una spirale di tensione e di odio è l'arrivo di Eloise Wagner de Busquet, sedicente baronessa, in realtà un'impostora, accompagnata da due baldi giovani amanti europei e da un tuttofare latinoamericano, che ha ottenuto il permesso dal governatore di costruire un residence esclusivo, come si direbbe oggi. L'esistenza degli umani sul quell'isola paradisiaca diventa man mano un inferno, gli istinti più profondi tornano alla luce anche nelle persone più insospettabili (Richter da vegetariano si trasforma in carnivoro e rivede le sue teorie al punto da distruggere la macchina per scrivere che usava per la sua opera, Wittmer riprende in mano le armi), Dore accusa il suo compagno di tradire i suoi ideali, scorre il sangue e la violenza divampa inarrestabile: in confronto agli umani, alla fine, gli animali selvatici diventano delle mammole, altro che "bestie"... Il tutto è raccontato come si deve, gli interpreti sono bravissimi, a cominciare dall'incantevole Ana de Armas che sa rendere il suo personaggio, la baronessa, odiosa e irritante come poche; anche Jude Law non scherza col suo dottor Richter, come la sua compagna cui dà volto e corpo (sofferente di una sclerosi multipla) Vanessa Kirby, Daniel Brühl è il versatile attore ispano-tedesco che ben conosciamo ma la vera sorpresa è Sydney Sweeney, che accompagna in maniera stupefacente la metamorfosi della giovane, ingenua e spaesata Margret Wittmer, la quale si tramuta in una tigre che difende i suoi cuccioli e il suo territorio con una determinazione che nessuno degli altri si sogna di avere. Eden stimola riflessioni profonde sulla natura umana e, in tempi di guerra e, in generale, di crisi, è quanto mai attuale, ma è anche spettacolo vero, avvincente, inquietante, con un ritmo implacabile, una fotografia di prim'ordine quanto la colonna sonora. Decisamente, Ron Howard non è un regista molto prolifico, ma quando dirige una pellicola, sa il fatto suo. Con Eden, sa fare rimanere inchiodati sulla poltrona: decisamente consigliato. 

giovedì 17 aprile 2025

Sotto le foglie

"Sotto le foglie" (Quand vient l'automne) di François Ozon. Con Hélène Vincent, Garlan Erlos, Josiane Balasko, Pierre Lottin, Ludvine Sagnier e altri. Francia 2024 ★★★★

Atmosfere autunnali e campestri per l'ultimo lavoro di François Ozon, e precisamente nella campagna della Borgogna dove Michelle, un'ex prostituta che esercitava a Parigi, si è ritirata a trascorrere la vecchiaia godendosi i piaceri di una vita tranquilla: la compagnia di Marie-Claude, amica ed ex collega di vita, le passeggiate nei boschi, la cucina e soprattutto le visite di Lucas, l'amato nipotino, le rare volte che glielo porta Valérie, una figlia complicata, in crisi col passato della madre. Nodi che vengono definitivamente al pettine quando, in occasione di un pranzo a base di funghi, Valerie, che è l'unica che li ha mangiati, sta male e viene ricoverata in ospedale per una lavanda gastrica, convincendosi che la madre abbia voluto avvelenarla di proposito e vietandole accudire il nipote per le vacanze. Nel frattempo Michelle, che ci è rimasta malissimo, aveva assunto come giardiniere Vincent, il figlio un po' scapestrato di Marie Claude, appena uscito di prigione, per aiutarlo a reinserirsi. Il giovanotto è un po' ambiguo, come del resto tutti i personaggi del Nostro, buono d'animo ma incline a mettersi nei pasticci, e si reca all'insaputa di tutti a Parigi, dove vive Valérie, per cercare di convincerla ad appianare le divergenze con Michelle e tornare a portarle Lucas: fatalità, proprio durante la visita, uscendo in terrazza a recuperare un pacchetto di sigarette che aveva nascosto in una grondaia, Valérie cade e si schianta sul marciapiede. Questa sarà, dopo anni, la versione che Vincent darà a Michelle, dopo che Marie Claude, sul letto di morte, le aveva rivelato la presenza del figlio a Parigi il giorno della morte di Valerie. In tutti quegli anni Lucas rimase affidato alla nonna, rifiutandosi di seguire il padre a Dubai, e Michelle, durante le indagini sulla morte di Valérie, fornisce un alibi a Vincent e Lucas lo corrobora, negando di averlo incrociato all'entrata della palazzina in cui abitava. E Michelle fornirà a Vincent il danaro per aprire, com'era suo desiderio, un locale. Ricompensa? Gratitudine? Semplice generosità? La situazione rimane in sospeso, irrisolta e non rivelata nemmeno in occasione della visita, anni dopo, di Lucas alla nonna e all'amico diventato una sorta di fratello maggiore. Irrisolta per il pubblico, che rimarrà con tutti i dubbi del caso, mentre per i protagonisti sta bene così, perché in fondo la morte di Valérie ha permesso di trovare un equilibrio che soddisfa tutti, essendo alla fine proprio lei l'elemento disarmonico di questa comunità, o famiglia, di fatto. Come sempre Ozon non si lascia incasellare nelle definizioni e veleggia tra i generi: c'è un polar rurale però senza polizia dove il delitto, se c'è, si svolge nell'appartamento della metropoli; una commedia intimista, dove emergono le tensioni latenti e oscure dei rapporti famigliari, talvolta tossici proprio come i funghi, nutrienti ma anche assassini. Da esperto alchimista, il regista assembla sapientemente e con una sottile perfidia tutti gli elementi e quello che ne esce è un prodotto raffinato, che affida agli sguardi e ai gesti degli interpreti, tutti bravissimi, più che alle loro parole, tutta l'ambivalenza dei personaggi: Hélène Vincent è Michelle, Josiane Balasko è Marie-Claude, Pierre Lottin è Vincent, Ludvine Sagnier è Valérie. Un bijou.

domenica 13 aprile 2025

Nonostante

“Nonostante” di Valerio Mastandrea. Con Valerio Mastandrea, Dolores Fonzi, Lino Musella, Laura Morante, Giorgio Montanini, Justin Korovkin, Barbara Ronchi, Luca Lionello e altri. Italia 2024 ★★★★+

Alla sua seconda regia dopo l'esordio, nel 2018, con Ride, Mastandrea conferma dietro la camera da presa le stesse qualità che ha come persona e come attore (qui è anche il personaggio principale): un modo discreto, ironico e al contempo malinconico di guardare le cose della vita da un'angolatura non scontata, che dà un tocco volutamente surreale e leggero a eventi reali e imprevisti che vengono a scuotere la quotidianità. Là era un fatale incidente sul lavoro, qui è il coma, quella sospensione tra la vita e la morte in cui ogni possibilità è aperta, un risveglio come un definitivo soffio di vento che ti porta via, in cui tutto può succedere, una situazione senza tempo, dove non si ha memoria del passato né idea del futuro, che si immagina però anche, e non così paradossalmente, uno stato di assoluta libertà per il protagonista. Il suo corpo giace in un letto di ospedale, mentre il suo spirito, la sua essenza, vaga per il nosocomio, i suoi cortili e le strade circostanti, parla con quelli che sono nelle sue stesse condizioni: ogni comatoso reagisce alla sua condizione a modo suo, in attesa che evolva, in un senso o nell'altro, quasi rassegnata la donna interpretata da Laura Morante, il ragazzo di Justin Korovkin sul punto di andarsene, attaccato alla famiglia l'uomo di Lino Musella, quello più in confidenza con il nostro Valerio, per cui invece il coma è un momento di inattesa pausa dalla vita e dai problemi di tutti i giorni, una sorta di vacanza, in cui osserva gli altri senza dovere pensare a sé stesso, il cui corpo vede steso nel letto e attaccato alle apparecchiature che monitorano le sue funzioni vitali mentre lui schiaccia una pennica sul divano dopo una giornata a girovagare in totale assenza di gravità e senza essere visto, e in cui può a interagire soltanto con altri comatosi. Il gradevole, per lui, tran tran quotidiano viene stravolto quando la "sua" stanza viene occupata dalla vittima di un grave incidente stradale, Dolores Fonzi, ottima attrice molto nota in Argentina che è un vero piacere vedere in un film italiano, che invece è refrattaria ad accettare le "regole" che per Valerio sono invece una sorta di panacea. Prima infastidito dalla presenza e dal modo di fare della "intrusa", Valerio ne è sempre più attratto e alla fine si lascia andare e si innamora di lei nonostante, per l'appunto, sia impossibile che un rapporto vero nasca e nonostante tutto, in quello stato di assenza da sé stessi, funzioni. Morte, dolori: nonostante tutto bisogna vivere il presente, e tirare avanti, carpe diem nonostante tutto e nonostante ciò su cui non possiamo nulla e non sappiamo nemmeno definire. Piacevolmente surreale per quanto agganciato alla realtà, metafisico verrebbe da dire, il film suscita emozioni e considerazioni profonde senza mai essere strappalacrime o nemmeno banalmente ottimista o ridicolo: lieve ma non leggero, disincantato ma non triste. Mastandrea è bravo e misurato da regista quanto come attore, e così i colleghi che ha scelto accuratamente, la storia funziona, il commento musicale è perfetto. Cosa volere di più? Sembra una stagione positiva, per il cinema nostrano. Speriamo che continui così.

mercoledì 9 aprile 2025

Il malloppo


"Il malloppo" (Loot) di Joe Orton. Traduzione di Edoardo Erba Regia di Francesco Saponaro. Con Gianfelice Imparato, Marina Massironi, Giovanni Franzoni, Giuseppe Brunetti, Davide Cirri. Scene di Luigi Ferrigno; costumi di Anna Verde; disegno luci di Antonio Molinaro. Produzione “La pirandelliana”. 

Perso nelle tappe milanesi all'Elfo Puccini del mese passato, ho recuperato Il malloppo in quella di venerdì 3 scorso al bel Teatro Accademia di Conegliano: occasione imperdibile per un testo dissacrante e poco rappresentato in Italia, ma intramontabile in Gran Bretagna e negli USA, un classico della commedia nera scritta inglese nel 1965 e rielaborata successivamente, probabilmente il maggior successo di Joe Orton, morto a soli 34 anni nel 1967, ucciso dal suo amante e collega Kenneth Helliwell (chi di cadaveri colpisce...). Farsa del genere poliziesco in versione macabra, si basa sul ritmo e sulle battute a raffica dei cinque personaggi in scena oltre al morto, e prende di mira senza pietà il perbenismo sessuofobico e ipocrita dell'epoca, dalla religione alla morale, alla giustizia e all'ordine costituito nonché alla fede cieca nel mito del "progresso": insomma un sessantottino ante litteram, un vero spirito anarchicoLo spunto sono le indagini sulla fine fatta dal malloppo di una dilettantesca rapina ideata ed eseguita da Hal (Giuseppe Brunetti) e Dennis (Davide Cirri) alla banca adiacente all'impresa di pompe funebri dove lavora quest'ultimo, e che viene nascosto prima in un armadio e poi nella bara della madre di Hal, defunta da poco, e vegliata dal padre e fresco vedovo Mr McLeavy (Giovanni Franzoni) e dalla diabolica infermiera Fay, di fatto il personaggio principale e con più sfaccettature, rese tutte con disinvolta bravura e credibilità da Marina Massironi, al contempo bigotta, impostora, cacciatrice di uomini, serial killer di mariti, dark lady fatale. Buon ultimo entra in scena l'ottimo Gianfelice Imparato nella parte dell'ispettore Truscott, che inizialmente indaga in anonimato e che da un lato sembra dotato di un intuito che confina con la capacità divinatoria, dall'altro pare non rendersi conto delle evidenze che sono sotto gli occhi di tutti gli altri, a cominciare dagli spettatori, ovviamente, per cui risulta tanto straniato quanto straniante così come Mr McLeavy, in definitiva, il più "normale" della combriccola, l'unico che è lì per la morta, che viene spostata, spogliata, rivestita nel totale disinteresse del figlio e dell'infermiera quando gli altri sono al funerale al cospetto della bara che contiene il grisbi anziché il cadavere. Quando il poliziotto rivelerà la sua identità ha già capito tutto, non solo chi sono gli autori della rapina ma anche che Fay ha ucciso non solo la donna che assisteva ma pure i suoi precedenti mariti, ma in realtà è interessato molto più al bottino lui stesso invece che ad assicurare alla giustizia i ladri e l'assassina, e tutto finisce secondo il classico adagio "chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato", in versione londinese anziché partenopea. Divertimento assicurato e spettacolo vivamente consigliato a chi ha occasione di averlo a tiro. 

domenica 6 aprile 2025

Berlino, estate '42

"Berlino, estate '42" (In Liebe, eure Hilde) di Andreas Dresen. Con Liv Lisa Fries, Johannes Hegemann, Lisa Wagner, Alexander Scheer, Emma Bading, Sina Martens, Lisa Hrdina, Lena Urzendowsky, Hans-Christen Hegewald, Nico Ehrenteit, Tilla Kratochwil, Fritzi Haberlandt, Rachel Braunschweig e altri. Germania 2024 ★★★★+

Nel post precedente accennavo all'abisso che avevo percepito tra questo raro film sulla resistenza tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale (un precedente era stato La Rosa Bianca - Sophie Scholl, del 2005) e Le assaggiatrici di Silvio Soldini, anche quello ambientato in quegli anni: col passare dei giorni, si è, se possibile, approfondito. Perché Berlino, estate '42 è fatto col cuore e con profondo rispetto per il personaggio principale, peraltro interpretato in modo eccellente dalla bravissima Liv Lisa Fries, già molto apprezzata nell'ottima serie Babylon Berlin, e senza mai cadere nel patetico suscita emozioni profonde, e sono quelle che alla fine contano, in uno spettacolo che vuole dire qualcosa e rimanere impresso nella memoria. E, in questo caso, nella coscienza. La storia è quella di Hilde Rake-Coppi, che rivive in flash-back, mentre è detenuta nella prigione di Plötzensee in attesa di essere decapitata, quella che era stata l'estate più bella della sua vita, quella in cui era rimasta incinta di suo marito, Hans, militante nel gruppo di Harro Schulze-Boysen e Arvid Harnack conosciuto come l'Orchestra Rossa, che dopo l'invasione dell'URSS da parte della Germania nazista nel 1941 si era offerto di trasmettere via radio da Berlino informazioni che potessero essere utili ai sovietici. Dopo averlo sposato, anche Hilde si era unita alle attività di quello che era anche e soprattutto un gruppo di amici, che vediamo entusiasti nella loro speranza di poter essere utili alla causa e infatti li vediamo pieni di vita non solo ciclostilare e distribuire volantini (o meglio lasciarli in luoghi di passaggio come gli scompartimenti del tram e della metropolitana), fare attacchinaggio, addestrarsi all'alfabeto Morse, tutte cose che Hilde, già sulla trentina, apparentemente timida ma caparbia e rigorosa, e che era stata fidanzata con un giovane ebreo fuggito all'estero (licenza degli sceneggiatori: in realtà era già entrata in contatto con esponenti del Partito comunista tedesco ben prima della guerra e Hans Coppi era già stato detenuto per attività sovversive) fa per convinzione, oltre che per stare vicino al marito. Lo fa, come gli altri, con entusiasmo giovanile, senza pensare ai pericoli e agli orrori da cui sono circondati, continuando a divertirsi, ascoltare musica, amarsi, discutere, andare al lago a bere, nuotare e fare festa anche durante l'estate che vedrà la Wehrmacht subire i primi seri colpi da parte russa: del resto, se non ci si muove e si fa qualcosa a quell'età, quando? E viene subito in mente lo stato di morte cerebrale che sembra essersi abbattuto su buona parte delle giovani generazioni di oggi, in un'Europa immemore e disgustosamente immorale che sembra volutamente cadere ogni giorno di più nei medesimi tragici errori di 110 anni fa. Questa la prima parte del film, perché la seconda, ancora più aderente alla realtà, descrive gli ultimi mesi di vita di Hilde Coppi nel "braccio della morte": la nascita del figlio Hans, poi diventato un noto storico, nel novembre del 1942, due mesi dopo l'arresto. La sua esecuzione venne confermata, nonostante una richiesta di grazia, fatta anche su suggerimento della secondina signora Kuhn (Lisa Wagner, anche lei ottima nella parte) con cui aveva instaurato un rapporto di rispetto e comprensione reciproci e del cappellano, cui aveva affidato una struggente lettera alla madre e al figlio, e solo rinviata al momento in cui non avesse più allattato al seno: venne giustiziata, con la ghigliottina, il 5 agosto del 1943, suo marito Hans (Johannes Hegemann) già nel dicembre '42. Tutta la vicenda viene raccontata con garbo, senza manicheismi e stupidi stereotipi: con umanità e partecipazione, credibilità e attenzione alla psicologia dei personaggi, e in grado di rendere un'epoca e un periodo difficili da descrivere senza cadere nei pregiudizi e nei luoghi comuni. Al termine del film, il ricordo dei genitori mai conosciuti è affidato alle parole di Hans Coppi Junior, voce fuori campo. Come già detto, la distanza con Le assaggiatrice è abissale, peccato che Berlino, estate '42 stia già uscendo dalla programmazione. e anche questo è un segno dei tempi.

martedì 1 aprile 2025

Le assaggiatrici

"Le assaggiatrici" di Silvio Soldini. Con Elisa Schlott, Max Riemelt, Alma Hasun, Emma Falck, Thea Rasche, Nicolo Pasetti, Marco Boriero, Boris Aljinović, Nikolai Selikovsky, Peter Schorn e altri. Italia, Belgio, Svizzera 2025 

Uscito di sala di malumore dopo la visione di quest'ultimo lavoro di Silvio Soldini, per la stima che ho sempre nutrito nei suoi confronti avevo deciso di lasciar sedimentare le mie impressioni, decisamente negative, e sospendere il giudizio, che però è diventato definitivo dopo aver assistito, ieri, alla proiezione di Berlino, estate 1942 (ne parlerò nei prossimi giorni). Entrambi i film sono ambientati in Germania nello stesso periodo, quando le sorti della guerra cominciavano a volgere a sfavore del regime nazista (e del suo alleato principale, ossia quello fascista italiano: lo preciso perché si tende a dimenticarlo, dalle nostre parti). Tra i due c'è un abisso, il paragone è impietoso. La pellicola è ispirata a una storia vera, raccontata da Margot Wölk nel 2007 in un'intervista concessa il giorno del suo 90° compleanno, unica sopravvissuta di 15 "assaggiatrici" reclutate in una cittadina situata presso la Wolfsschanze, la cosiddetta Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler che fino alla fine del 1944 diresse da lì le operazioni sul fronte orientale, prima del crollo di quest'ultimo: il loro compito era assicurare cuoco e guardie che il cibo del dittatore non fosse avvelenato. Adattando l'omonimo romanzo (per l'appunto di fantasia) di Rosella Pastorino, già vincitore del Premio Campiello 2018, Soldini si è avvalso della collaborazione di ben altri cinque sceneggiatori (tra cui Cristina Comencini e la figlia Giulia Calenda, fior fiore del cucuzzaro cinematografico romanocentrico) per partorire un film dall'ossatura rachitica, scialbo, irritante, intriso dei più vieti luoghi comuni sul tedesco nazista, che ha il passo di una delle più piatte serie TV di Mamma RAI. La protagonista diventa tale Rosa Sauer, 26 enne moglie di un soldato disperso in Russia, una segretaria berlinese di cui si accennano vaghi sentimenti antinazisti, che dopo i primi pesanti bombardamenti della capitale si rifugia nella casa dei suoceri nella campagna della Prussia Orientale, nei pressi, dunque della Tana del Lupo dove viene ingaggiata a forza dalle SS. Intanto dopo la cura degli sceneggiatori le sue compagne di sventura si sono dimezzate; nasce un'inspiegabile liaison amoureuse clandestina tra lei e il nuovo comandante delle Guardie Alimentari di Hitler (l'interprete, Max Riemelt, è un vero e proprio cane, e nemmeno così attraente da giustificare l'invaghimento della biondina protagonista, Elisa Schott), altra cosa inventata di sana pianta; viene rappresentata fino alla noia la contrapposizione tra le "cittadine" (Rosa, per l'appunto, ed Elfriede, impersonata da Alma Hasun, l'unica che spicca in un cast raffazzonato) e le indigene; l'unico caso di avvelenamento di due ragazze si registra a causa di un dolce contenente miele, colpa quindi di api che hanno scelto fiori tossici; infine Elfriede si scoprirà essere ebrea, cosa ancora più difficile da credere considerato che ai tempi i comuni cittadini tedeschi erano costretti a esibire certificati di "arianesimo" fino alla sesta generazione, e dunque obbligati a  produrre documenti anagrafici da reperire negli archivi delle parrocchie quando non bastavano quelli municipali: figurarsi i controlli nel caso delle "guardie del corpo alimentari", e nemmeno volontarie, del Capo Supremo assunte dalle occhiute SS. Il finale vuole essere a effetto, con Rosa che convince l'amante, il tenente delle SS con cui però aveva appena rotto, a farla salire sull'ultimo treno utile per rientrare a Berlino mentre stanno arrivando i sovietici, e si porta dietro Elfriede ma vengono scoperte: l'ebrea verrà abbattuta durante la fuga, Rosa non si sa, rimane lì impalata a bocca aperta sullo schermo a nostra imperitura memoria prima che scorrano gli "spiegoni" che precedono i titoli di coda sulla incolpevole ispiratrice di questo boccone indigesto (altro che assaggiatrici). Il risultato di questa operazione velleitaria è penoso oltre ogni dire e non salvano dal disastro le musiche curate da Mauro Pagani. Un'involuzione, quella di Soldini, inspiegabile, e si spera soltanto occasionale e frutto di congiunzioni astrali particolarmente avverse. A dare il colpo finale, un doppiaggio indecoroso: gente che pronuncia fiùrer invece di führer così come un romano pronuncerebbe viùrstel al posto di würstel: non si può sentire, e che non se ne sia accorto Soldini, che è milanese e per di più di origine ticinese, e non abbia preteso dei doppiatori in grado di pronunciare correttamente la u con l'umlaut così tipicamente lombarda, è la dimostrazione che stavolta aveva la testa da un'altra parte e che la regìa sia stata opera di un omonimo o di un alter ego sfasato. Unico aspetto positivo del film, se ce n'è uno, far riflettere, forse, e sempre che si abbia ancora il cervello in modalità attiva, sulla trovata della Commissione UE, presieduta da una tedesca ex ministro della Difesa, di finanziare con 800 miliardi di crediti il riarmo dell'unico Paese che può permettersi, a spese degli altri, di indebitarsi: la Germania, che dopo la riunificazione è diventato di gran lunga quello più popoloso del Continente, esclusa la Russia. Auguri.