"L'insulto" (L'insulte) di Ziad Doueiri. Con Adel Karam, Kamal El Basha, Rita Hayek, Diamand Bou Abboud, Christine Choueiri, Julia Kassar, Camille Salameh, Carlos Chahine. Libano 2017 ★★★★
Un film schietto, semplice, senza arzigogoli, forse schematico per i palati fini e gli onanisti mentali a oltranza ma efficace, che arriva direttamente allo scopo del regista e sceneggiatore: ricordare che nessuno ha il monopolio della sofferenza e illustrare la spaccatura verticale all'interno del suo Paese, il Libano, mai superata, perché se la guerra che l'aveva sconvolto è finita ormai da quasi trent'anni, basta un piccolo incedente, una grondaia che perde acqua, uno screzio verbale tra due uomini per innescare un caso mediatico montato in modo irresponsabile su un processo e capace di dividere ancora una volta una nazione che, se ha rimosso il passato, non lo ha però affrontato mancando così una riconciliazione effettiva tra le sue diverse componenti. Toni, titolare di un'officina meccanica, militante della destra cristiano-maronita, è infastidito dai lavori che gli operai di una ditta di costruzioni sta eseguendo su una tubazione rotta che esce dal suo terrazzo e ha un alterco con Yaser, profugo palestinese, ingegnere che lavora come capomastro; questo degenera e Toni lancia un insulto che è inaccettabile per Yaser, perché offende tutto il suo popolo, e quest'ultimo reagisce con un cazzotto. Il titolare della ditta e anche un deputato filo-palestinese insistono perché Yaser chieda scusa, ma questi proprio non ce la fa e finisce che Toni lo denuncia, ma non per la ferita, quanto per il fatto di non essersi scusato. Si inestardiscono entrambi e non mollano né su consiglio delle rispettive mogli e nemmeno quando finiscono in tribunale, pur ammettendo entrambi le proprie colpe e non chiedendo risarcimenti, ma giustizia. Entrano in campo entrambi gli avvocati, curiosamente padre e figlia, in un arguto duello di questioni di principio giuridiche e morali, mentre fuori dall'aula monta la tensione, alimentata dalla spettacolarizzazione del processo scatenata dai media, che non aspettavano altro che di gettare benzina sul fuoco, mentre Toni e Yaser sistemano la faccenda dopo un breve dialogo e una "riparazione" tra di loro, tacitamente e tra sguardi e silenzi di intesa dopo essersi riconosciuti parimenti come vittime di traumi risalenti al periodo bellico. Sceneggiatura solida, dialoghi serrati e precisi, ottime le interpretazioni di tutti i personaggi, resi credibili e "vivi", e premiata con la Coppa Volpi quella di Kamal el Basha, nei panni di Yaser, al Festival di Venezia di quest'anno. Consigliato.
Un film schietto, semplice, senza arzigogoli, forse schematico per i palati fini e gli onanisti mentali a oltranza ma efficace, che arriva direttamente allo scopo del regista e sceneggiatore: ricordare che nessuno ha il monopolio della sofferenza e illustrare la spaccatura verticale all'interno del suo Paese, il Libano, mai superata, perché se la guerra che l'aveva sconvolto è finita ormai da quasi trent'anni, basta un piccolo incedente, una grondaia che perde acqua, uno screzio verbale tra due uomini per innescare un caso mediatico montato in modo irresponsabile su un processo e capace di dividere ancora una volta una nazione che, se ha rimosso il passato, non lo ha però affrontato mancando così una riconciliazione effettiva tra le sue diverse componenti. Toni, titolare di un'officina meccanica, militante della destra cristiano-maronita, è infastidito dai lavori che gli operai di una ditta di costruzioni sta eseguendo su una tubazione rotta che esce dal suo terrazzo e ha un alterco con Yaser, profugo palestinese, ingegnere che lavora come capomastro; questo degenera e Toni lancia un insulto che è inaccettabile per Yaser, perché offende tutto il suo popolo, e quest'ultimo reagisce con un cazzotto. Il titolare della ditta e anche un deputato filo-palestinese insistono perché Yaser chieda scusa, ma questi proprio non ce la fa e finisce che Toni lo denuncia, ma non per la ferita, quanto per il fatto di non essersi scusato. Si inestardiscono entrambi e non mollano né su consiglio delle rispettive mogli e nemmeno quando finiscono in tribunale, pur ammettendo entrambi le proprie colpe e non chiedendo risarcimenti, ma giustizia. Entrano in campo entrambi gli avvocati, curiosamente padre e figlia, in un arguto duello di questioni di principio giuridiche e morali, mentre fuori dall'aula monta la tensione, alimentata dalla spettacolarizzazione del processo scatenata dai media, che non aspettavano altro che di gettare benzina sul fuoco, mentre Toni e Yaser sistemano la faccenda dopo un breve dialogo e una "riparazione" tra di loro, tacitamente e tra sguardi e silenzi di intesa dopo essersi riconosciuti parimenti come vittime di traumi risalenti al periodo bellico. Sceneggiatura solida, dialoghi serrati e precisi, ottime le interpretazioni di tutti i personaggi, resi credibili e "vivi", e premiata con la Coppa Volpi quella di Kamal el Basha, nei panni di Yaser, al Festival di Venezia di quest'anno. Consigliato.
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