Tanto rumore per nulla. Accolto con aspettative mirabolanti quanto malriposte ed esagerato clamore di fanfare al momento dell'inizio del suo primo mandato otto anni fa, specialmente da parte dei servili alleati europei che, per motivi che già allora mi erano incomprensibili, ne furono stregati (ricordo la sua tournée nel Vecchio Continente del 2008 al tempo delle primarie, come se dovesse convincere noi ad eleggerlo), la presidenza di Barack Obama non lascerà traccia, probabilmente nemmeno per il fatto di essere stato il primo afroamericano (peraltro soltanto a metà) nella serie dei presidenti degli Stati Uniti, di cui è stato il 44°. Belle parole, bel portamento, bei vestiti, bella famiglia, belle location, otto anni di sit comedy buonista e politicamente corretta: tutta apparenza e niente sostanza, quando va bene la mediocrità infiocchettata da orpelli, più spesso l'inganno, la malafede e la vigliaccheria (il Nobel per la pace che fa la guerra coi droni, il killer a distanza come nel caso dell'individuazione (?) e susseguente assassinio di Osama Bin Laden). Pallone definitivamente sgonfiato dopo aver perso perfino il controllo del Senato in seguito alle elezioni di mid-term del 2014, l'anatra si era già abbondantemente azzoppata da sola durante i primi sei anni di mandato, indecisa a tutto, in balia degli eventi e di chi ne tirava i fili alle spalle, dimenticando o contraddicendo una dopo l'altra tutte le (false) promesse seminate in campagna elettorale e avidamente bevute dai babbioni che l'hanno prima votato e poi portato in cima agli scudi. Pessimo uomo di partito, oltretutto, visto il risultato ottenuto da Hillary Clinton due mesi fa: nessun presidente da che io abbia memoria si era mai battuto con tanto fervoroso quanto incauto impegno e convinzione per una candidata che chiunque fosse in grado di valutare la situazione con un minimo di obiettività e cognizione di causa (non certo la stampa partigiana: quella statunitense come quella nostrana, con le sue legioni di sondaggisti e di strapagati e riveriti "esperti") avrebbe dato per sicura perdente. Incensato per la sua abilità come politico, è stato dannoso perfino per la sua parte, immaginarsi se non sarebbe stato ridicolizzato come statista da un personaggio che, per quanto discutibile sia, lo sovrasta per intelligenza, visione, capacità, realismo, abilità e concretezza come Vladimir Putin, che invece pensava di poter mettere nel sacco. Per quanto inadeguato, ignorante e imbecille possa essere, Trump questo non solo lo ha capito ma ne ha tenuto conto. Con quest'oggi se ne va, e mancherà soltanto a chi ne ha tanto decantato le virtù senza mai riuscire a spiegarne i motivi e convincerne nemmeno gli elettori del suo stesso partito.
giovedì 19 gennaio 2017
Adiós, senza rimpianti
Tanto rumore per nulla. Accolto con aspettative mirabolanti quanto malriposte ed esagerato clamore di fanfare al momento dell'inizio del suo primo mandato otto anni fa, specialmente da parte dei servili alleati europei che, per motivi che già allora mi erano incomprensibili, ne furono stregati (ricordo la sua tournée nel Vecchio Continente del 2008 al tempo delle primarie, come se dovesse convincere noi ad eleggerlo), la presidenza di Barack Obama non lascerà traccia, probabilmente nemmeno per il fatto di essere stato il primo afroamericano (peraltro soltanto a metà) nella serie dei presidenti degli Stati Uniti, di cui è stato il 44°. Belle parole, bel portamento, bei vestiti, bella famiglia, belle location, otto anni di sit comedy buonista e politicamente corretta: tutta apparenza e niente sostanza, quando va bene la mediocrità infiocchettata da orpelli, più spesso l'inganno, la malafede e la vigliaccheria (il Nobel per la pace che fa la guerra coi droni, il killer a distanza come nel caso dell'individuazione (?) e susseguente assassinio di Osama Bin Laden). Pallone definitivamente sgonfiato dopo aver perso perfino il controllo del Senato in seguito alle elezioni di mid-term del 2014, l'anatra si era già abbondantemente azzoppata da sola durante i primi sei anni di mandato, indecisa a tutto, in balia degli eventi e di chi ne tirava i fili alle spalle, dimenticando o contraddicendo una dopo l'altra tutte le (false) promesse seminate in campagna elettorale e avidamente bevute dai babbioni che l'hanno prima votato e poi portato in cima agli scudi. Pessimo uomo di partito, oltretutto, visto il risultato ottenuto da Hillary Clinton due mesi fa: nessun presidente da che io abbia memoria si era mai battuto con tanto fervoroso quanto incauto impegno e convinzione per una candidata che chiunque fosse in grado di valutare la situazione con un minimo di obiettività e cognizione di causa (non certo la stampa partigiana: quella statunitense come quella nostrana, con le sue legioni di sondaggisti e di strapagati e riveriti "esperti") avrebbe dato per sicura perdente. Incensato per la sua abilità come politico, è stato dannoso perfino per la sua parte, immaginarsi se non sarebbe stato ridicolizzato come statista da un personaggio che, per quanto discutibile sia, lo sovrasta per intelligenza, visione, capacità, realismo, abilità e concretezza come Vladimir Putin, che invece pensava di poter mettere nel sacco. Per quanto inadeguato, ignorante e imbecille possa essere, Trump questo non solo lo ha capito ma ne ha tenuto conto. Con quest'oggi se ne va, e mancherà soltanto a chi ne ha tanto decantato le virtù senza mai riuscire a spiegarne i motivi e convincerne nemmeno gli elettori del suo stesso partito.
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