"Arrival" di Denis Villeneuve. Con Amy Adams, Geremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Marc O'Brien e altri. USA 2016 ★★★
In attesa che Villeneuve finisca di produrre il sequel niente meno che di Blade Runner, ecco il regista esercitarsi con la fantascienza con un film profondamente umanista, delicato, intelligente, per niente scontato ma che non finisce di convincere sia per una mancanza di ritmo in parte voluta, sia per una certa fumosità che non lo rende immediatamente comprensibile nonché per alcune incongruenze di non poco conto. Dodici astronavi aliene, dalle forme allungate e oscure che richiamano il monolite di 2001 Odissea nello Spazio, appaiono in dodici diversi siti del pianeta a poca distanza dal suolo, la cui scelta sembra del tutto oscura così come gli scopi della missione, al di fuori di quella che sembra un'attesa di contatto. Per scoprire le loro intenzioni e indagare nel sito del Montana, negli USA, dall'esercito viene ingaggiata Louise Banks, linguista di fama mondiale nonché in possesso di nulla osta governativo per traduzioni coperte dal segreto di Stato (Amy Adams, sulla cui bravura regge l'intero film) che deve collaborare con il fisico teorico Ian Donnelly (Geremy Renner che, insieme al poco credibile colonnello Weber impersonato da un quanto mai mediocre Forest Witaker è poco più che una comparsa). Sarà lei a prendere contatto con i Tom e Jerry, come vengono ribattezzati i due eptapodi (così vengono immaginati con scarsa fantasia gli extraterrestri), che comunicano attraverso schizzi di nero di seppia che fuoriescono da uno dei loro tentacoli e che disegnano della macchie variabili che si compongono su una lastra trasparente che li separa dagli umani nella sala dell'astronave che funge da luogo di incontro. Tutto il film ruota attorno alla necessità di comunicare e alla disponibilità a farlo, e quindi di trovare un modo di intendersi, innanzitutto per capire gli scopi della visita degli alieni e agire di conseguenza. In une crescente psicosi collettiva alimentata dalla cialtroneria e dal sensazionalismo dei media nonché dalla congenita paranoia dei militari (e naturalmente sono russi, cinesi e sudanesi a fare la parte dei più intransigenti, tutti d'accordo nell'interrompere la collaborazione scientifica dei "loro" siti con quelli delle altre nazioni interessate e nel far parlare le armi), l'unica a tenere i nervi saldi e viva la volontà di comunicare è Louise, la cui volontà di comprensione viene premiata dagli eptapodi col dono della visione del futuro che consiste nell'interiorizzare il loro modo di concepire il tempo, che non è lineare bensì circolare, concetto che sta anche alla base del loro linguaggio. Proprio prevedendo il futuro Louise riuscirà e entrare in contatto col comandante in capo dell'esercito cinese per convincerlo a fermare l'azione militare contro le astronavi aliene e queste potranno allontanarsi dalla Terra avendo però potuto consegnare il loro dono soltanto a una esponente dell'umanità e non all'intera comunità scientifica che avrebbe voluto beneficiare nella sua interezza, ma non divisa com'è secondo gli interessi nazionali; non manca la cotê sentimentale tra linguista e scienziato, di cui non sto a svelare l'esito, e che conferma la forze della convinzione di Louise nella capacità della comunicazione in sé. Insomma, "Arrival" si fa vedere, è tutt'altro che stupido ma si sente la mancanza di un qualcosa, che non è solo spettacolarità ma proprio un po' di energia e forse convinzione in più.
In attesa che Villeneuve finisca di produrre il sequel niente meno che di Blade Runner, ecco il regista esercitarsi con la fantascienza con un film profondamente umanista, delicato, intelligente, per niente scontato ma che non finisce di convincere sia per una mancanza di ritmo in parte voluta, sia per una certa fumosità che non lo rende immediatamente comprensibile nonché per alcune incongruenze di non poco conto. Dodici astronavi aliene, dalle forme allungate e oscure che richiamano il monolite di 2001 Odissea nello Spazio, appaiono in dodici diversi siti del pianeta a poca distanza dal suolo, la cui scelta sembra del tutto oscura così come gli scopi della missione, al di fuori di quella che sembra un'attesa di contatto. Per scoprire le loro intenzioni e indagare nel sito del Montana, negli USA, dall'esercito viene ingaggiata Louise Banks, linguista di fama mondiale nonché in possesso di nulla osta governativo per traduzioni coperte dal segreto di Stato (Amy Adams, sulla cui bravura regge l'intero film) che deve collaborare con il fisico teorico Ian Donnelly (Geremy Renner che, insieme al poco credibile colonnello Weber impersonato da un quanto mai mediocre Forest Witaker è poco più che una comparsa). Sarà lei a prendere contatto con i Tom e Jerry, come vengono ribattezzati i due eptapodi (così vengono immaginati con scarsa fantasia gli extraterrestri), che comunicano attraverso schizzi di nero di seppia che fuoriescono da uno dei loro tentacoli e che disegnano della macchie variabili che si compongono su una lastra trasparente che li separa dagli umani nella sala dell'astronave che funge da luogo di incontro. Tutto il film ruota attorno alla necessità di comunicare e alla disponibilità a farlo, e quindi di trovare un modo di intendersi, innanzitutto per capire gli scopi della visita degli alieni e agire di conseguenza. In une crescente psicosi collettiva alimentata dalla cialtroneria e dal sensazionalismo dei media nonché dalla congenita paranoia dei militari (e naturalmente sono russi, cinesi e sudanesi a fare la parte dei più intransigenti, tutti d'accordo nell'interrompere la collaborazione scientifica dei "loro" siti con quelli delle altre nazioni interessate e nel far parlare le armi), l'unica a tenere i nervi saldi e viva la volontà di comunicare è Louise, la cui volontà di comprensione viene premiata dagli eptapodi col dono della visione del futuro che consiste nell'interiorizzare il loro modo di concepire il tempo, che non è lineare bensì circolare, concetto che sta anche alla base del loro linguaggio. Proprio prevedendo il futuro Louise riuscirà e entrare in contatto col comandante in capo dell'esercito cinese per convincerlo a fermare l'azione militare contro le astronavi aliene e queste potranno allontanarsi dalla Terra avendo però potuto consegnare il loro dono soltanto a una esponente dell'umanità e non all'intera comunità scientifica che avrebbe voluto beneficiare nella sua interezza, ma non divisa com'è secondo gli interessi nazionali; non manca la cotê sentimentale tra linguista e scienziato, di cui non sto a svelare l'esito, e che conferma la forze della convinzione di Louise nella capacità della comunicazione in sé. Insomma, "Arrival" si fa vedere, è tutt'altro che stupido ma si sente la mancanza di un qualcosa, che non è solo spettacolarità ma proprio un po' di energia e forse convinzione in più.
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