"Lui è tornato" (Er ist wieder da) di David Vnendt. Con Oliver Masucci, Fabian Bausch, Christoph Maria Herbst, Katja Riemann, Franziska Wulff, Lars Rudolph e altri. Germania 2015 ★★★½
Da un punto di vista qualitativo questo film, tratto dall'omonimo libro di Timur Vermes, pluritradotto dal tedesco e di grande successo, raggiunge a malapena la sufficienza, e anche le interpretazioni sembrano alquanto dilettantesche, a parte quella di Oliver Masucci nella parte di Adolf Hitler catapultato, nell'autunno del 2014, nello stesso luogo del centro di Berlino in cui si trovava il suo bunker, raso al suolo nella primavera del 1945, ma l'idea è geniale: come reagirebbe la gente a qualcuno che riproponesse esattamente gli stessi argomenti che avevano portato al potere i nazisti nel 1933 senza nascondere modi e mezzi per ottenere i suoi gli scopi? Il regista sceglie la vena dell'ironia, proponendo le reazioni delle persone che passano per strada e incrociano il personaggio in divisa assolutamente simile al Führer e ipotizzando le sue reazioni davanti alla modernità e che, nella finzione, viene riconosciuto sullo sfondo di un filmato da parte di un reporter appena licenziato dalla TV per cui lavora. Intuendo di avere un asso nella manica, per salvarsi il posto lo propone al suo caporedattore e Hitler, che continua e ribadire di essere tale e non un attore straordinariamente somigliante quale tutti pensano che sia, non tarda a diventare una star dell'emittente, protagonista di talk show in cui ribadisce, senza che occorra attualizzarle, tutte le posizioni che aveva sostenuto durante la sua ascesa al potere. Il risultato è sicuramente comico per come la vicenda viene raccontata ed è godibile, ma soprattutto porta a riflettere perché sono i medesimi discorsi che vengono riproposti senza filtro e senza discussione da più parti, anche in Italia, pronti a trovare accoglienza anche perché i mezzi di comunicazione, e la televisione prima fra tutti, li sfruttano per fare audience. In altre parole: si constata che il fascismo non è mai morto e anzi fa sempre parte di noi, e i mezzi di informazione, nella loro cinica e opportunistica ottusità, sono i primi responsabili dell'opera di rimozione collettiva, della manipolazione delle coscienze e dello sfruttamento acritico di tutti ciò che fa, in sostanza, spettacolo (e introiti pubblicitari). E, nel fare emergere l'amara conclusione che sì, il terreno per una riedizione del nazismo in forme moderne ai nostri tempi è già seminato, coglie nel segno. E, alla fine, non rimane che riflettere, finché c'è tempo.
Da un punto di vista qualitativo questo film, tratto dall'omonimo libro di Timur Vermes, pluritradotto dal tedesco e di grande successo, raggiunge a malapena la sufficienza, e anche le interpretazioni sembrano alquanto dilettantesche, a parte quella di Oliver Masucci nella parte di Adolf Hitler catapultato, nell'autunno del 2014, nello stesso luogo del centro di Berlino in cui si trovava il suo bunker, raso al suolo nella primavera del 1945, ma l'idea è geniale: come reagirebbe la gente a qualcuno che riproponesse esattamente gli stessi argomenti che avevano portato al potere i nazisti nel 1933 senza nascondere modi e mezzi per ottenere i suoi gli scopi? Il regista sceglie la vena dell'ironia, proponendo le reazioni delle persone che passano per strada e incrociano il personaggio in divisa assolutamente simile al Führer e ipotizzando le sue reazioni davanti alla modernità e che, nella finzione, viene riconosciuto sullo sfondo di un filmato da parte di un reporter appena licenziato dalla TV per cui lavora. Intuendo di avere un asso nella manica, per salvarsi il posto lo propone al suo caporedattore e Hitler, che continua e ribadire di essere tale e non un attore straordinariamente somigliante quale tutti pensano che sia, non tarda a diventare una star dell'emittente, protagonista di talk show in cui ribadisce, senza che occorra attualizzarle, tutte le posizioni che aveva sostenuto durante la sua ascesa al potere. Il risultato è sicuramente comico per come la vicenda viene raccontata ed è godibile, ma soprattutto porta a riflettere perché sono i medesimi discorsi che vengono riproposti senza filtro e senza discussione da più parti, anche in Italia, pronti a trovare accoglienza anche perché i mezzi di comunicazione, e la televisione prima fra tutti, li sfruttano per fare audience. In altre parole: si constata che il fascismo non è mai morto e anzi fa sempre parte di noi, e i mezzi di informazione, nella loro cinica e opportunistica ottusità, sono i primi responsabili dell'opera di rimozione collettiva, della manipolazione delle coscienze e dello sfruttamento acritico di tutti ciò che fa, in sostanza, spettacolo (e introiti pubblicitari). E, nel fare emergere l'amara conclusione che sì, il terreno per una riedizione del nazismo in forme moderne ai nostri tempi è già seminato, coglie nel segno. E, alla fine, non rimane che riflettere, finché c'è tempo.
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