"Still Alice" di Richard Glatzer, Wash Westmoreland. Con Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Hunter Parrish. USA 2014 ★★★-
In un inizio di 2015 cinematografico che pare centrato sul "casi umani", non poteva mancare un'autorità nel campo della linguistica e dei processi conoscitivi come la brillante e fascinosa Alice Howland, docente della Columbia University di New York all'apice della carriera, cinquantenne moglie e madre felice di tre figli, che scopre, come in una spietata legge del contrappasso, di essere preda di una forma ereditaria e particolarmente degenerativa di Alzheimer precoce. Interpretata da una misurata, introspettiva Julianne Moore, di cui non si scopre in questa pellicola la bravura nell'esprimere tutte le sfumature di un personaggio che, vedendo svanire sé stessa proprio nei tratti che ne hanno contraddistinto la personalità e che sono stati pilastri della propria esistenza, i processi linguistici e mnemonici, ed essendone cosciente, nonostante alcuni momenti di disperazione e sconforto riesce a non smettere di combattere, anche grazie a un ambiente sociale favorevole: non solo colto e benestante, ma amorevole e comprensivo. Questo è reso plastico dal rapporto con il marito, impersonato da un Alec Baldwin all'altezza della situazione, sia come interprete sia come personaggio, mentre non lo sono, da un punto di vista recitativo, i tre figli della coppia, schematicamente abbozzati e lasciati in mano a interpreti mediocri che probabilmente non sono stati in grado di dare spessore ai loro caratteri invero asfittici. Aspetto positivo del film è di non essersi fatto prendere la mano dal pietismo, ipotizzando anche, senza minimamente condannarla, una auto-eutanasia predisposta in maniera astuta quanto credibile dall'ammalata, quando la malattia era ancora allo stadio iniziale, andata però in fumo per una pura casualità (e che avrebbe risparmiato tante amarezze e sofferenze alla donna come ai suoi famigliari), nonché aver preso per le corna un toro, quello dell'Alzheimer e delle sue conseguenze, che si tende a rimuovere: La sceneggiatura regge, i dialoghi in parte; ciò che non funziona sono le figure di contorno della coppia di coniugi, nemmeno la figlia scapestrata e "prodiga", interpretata dalla scarsamente credibile Kirsten Stewart, per non parlare di Kate Bosworth, che sembra botulinizzata già a trent'anni. Insomma, un cast più equilibrato avrebbe reso un servizio migliore a una buona storia.
In un inizio di 2015 cinematografico che pare centrato sul "casi umani", non poteva mancare un'autorità nel campo della linguistica e dei processi conoscitivi come la brillante e fascinosa Alice Howland, docente della Columbia University di New York all'apice della carriera, cinquantenne moglie e madre felice di tre figli, che scopre, come in una spietata legge del contrappasso, di essere preda di una forma ereditaria e particolarmente degenerativa di Alzheimer precoce. Interpretata da una misurata, introspettiva Julianne Moore, di cui non si scopre in questa pellicola la bravura nell'esprimere tutte le sfumature di un personaggio che, vedendo svanire sé stessa proprio nei tratti che ne hanno contraddistinto la personalità e che sono stati pilastri della propria esistenza, i processi linguistici e mnemonici, ed essendone cosciente, nonostante alcuni momenti di disperazione e sconforto riesce a non smettere di combattere, anche grazie a un ambiente sociale favorevole: non solo colto e benestante, ma amorevole e comprensivo. Questo è reso plastico dal rapporto con il marito, impersonato da un Alec Baldwin all'altezza della situazione, sia come interprete sia come personaggio, mentre non lo sono, da un punto di vista recitativo, i tre figli della coppia, schematicamente abbozzati e lasciati in mano a interpreti mediocri che probabilmente non sono stati in grado di dare spessore ai loro caratteri invero asfittici. Aspetto positivo del film è di non essersi fatto prendere la mano dal pietismo, ipotizzando anche, senza minimamente condannarla, una auto-eutanasia predisposta in maniera astuta quanto credibile dall'ammalata, quando la malattia era ancora allo stadio iniziale, andata però in fumo per una pura casualità (e che avrebbe risparmiato tante amarezze e sofferenze alla donna come ai suoi famigliari), nonché aver preso per le corna un toro, quello dell'Alzheimer e delle sue conseguenze, che si tende a rimuovere: La sceneggiatura regge, i dialoghi in parte; ciò che non funziona sono le figure di contorno della coppia di coniugi, nemmeno la figlia scapestrata e "prodiga", interpretata dalla scarsamente credibile Kirsten Stewart, per non parlare di Kate Bosworth, che sembra botulinizzata già a trent'anni. Insomma, un cast più equilibrato avrebbe reso un servizio migliore a una buona storia.
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