"Il regno d'inverno - Winter Sleep" (Kis uykusu) di Nuri Bilge Ceylan. Con hula Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberg Pekcan, Serhay Mustafa, Kiliç. Turchia, Francia, Germania 2014 ★★★★
Un filmone in tutti i sensi, questo con cui il regista turco ha vinto la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes, non solo per la durata, ma per la ponderosità dell'argomento, la fotografia sontuosa, l'attenzione ai dettagli, la prestazione dei tre interpreti principali, il senso di equilibrio che ne deriva; un lavoro che conferma il talento di Nuri Bilge Celan e spiega la fama di cui giustamente gode: con lui si va sul sicuro. Siamo in Cappadocia, nella zona famosa per le costruzioni rupestri, dove Aydin, già attore di successo a Istanbul e giunto alle soglie della terza età, si è ritirato per occuparsi della gestione del piccolo ma elegante albergo di famiglia assieme alla giovane moglie Nihal, e dove ospita la sorella Necla, reduce anche lei dalla grande città e da un divorzio che l'ha inacidita e resa rancorosa. In realtà delle incombenze quotidiane si occupano il suo tuttofare e sua moglie, così come dell'amministrazione di altre proprietà di famiglia, tra cui alcune case di cui talvolta gli affittuari non sono in grado di pagare la pigione: Aydin, per quanto illuminato e colto ma pur sempre un padrone, in realtà continua a fare l'intellettuale, curando una dotta rubrica per un giornale locale, mentre sta preparando una storia del teatro turco, e anche nella vita quotidiana di fatto continua e recitare: intrattiene gli ospiti in ameni conversari, è il regista delle relazioni familiari su cui opera un controllo assiduo celato da un atteggiamento di comprensione affettuosa e complice che finisce per soffocare in particolare Nihal, mentre gli scontri dialettici con la sorella avvengono a un livello paritario ma per lui meno coinvolgente. I rimandi a Shakespeare (Otello, che è anche il nome dell'albergo) e soprattutto Cechov, amatissimo da Ceylon, sono evidenti e dichiarati; ciò on toglie che il film dica molto sulla complessa situazione turca ma ha al contempo un respiro universale quando tratta delle relazioni tra famigliari (vedi anche la situazione degli affittuari morosi che si vedono sequestrare televisore e mobili), tra uomo e donna, del senso non univoco del "bene", come di quello dell'esistenza e del tempo che passa: ciò che Aydin deve ammettere a sé stesso, quando per acquietare le tensioni che si sono create si accinge a tornare a Istanbul per un po', è di non averne più l'energia, le motivazioni e la voglia, per cui rinuncia e accetta alla fine di essere arrivato alla vecchiaia, che cambia tutte le prospettive. E' questo il sonno d'inverno cui allude il titolo del film, più che l'ambiente naturale duro e raggelante che fa da sfondo.
Un filmone in tutti i sensi, questo con cui il regista turco ha vinto la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes, non solo per la durata, ma per la ponderosità dell'argomento, la fotografia sontuosa, l'attenzione ai dettagli, la prestazione dei tre interpreti principali, il senso di equilibrio che ne deriva; un lavoro che conferma il talento di Nuri Bilge Celan e spiega la fama di cui giustamente gode: con lui si va sul sicuro. Siamo in Cappadocia, nella zona famosa per le costruzioni rupestri, dove Aydin, già attore di successo a Istanbul e giunto alle soglie della terza età, si è ritirato per occuparsi della gestione del piccolo ma elegante albergo di famiglia assieme alla giovane moglie Nihal, e dove ospita la sorella Necla, reduce anche lei dalla grande città e da un divorzio che l'ha inacidita e resa rancorosa. In realtà delle incombenze quotidiane si occupano il suo tuttofare e sua moglie, così come dell'amministrazione di altre proprietà di famiglia, tra cui alcune case di cui talvolta gli affittuari non sono in grado di pagare la pigione: Aydin, per quanto illuminato e colto ma pur sempre un padrone, in realtà continua a fare l'intellettuale, curando una dotta rubrica per un giornale locale, mentre sta preparando una storia del teatro turco, e anche nella vita quotidiana di fatto continua e recitare: intrattiene gli ospiti in ameni conversari, è il regista delle relazioni familiari su cui opera un controllo assiduo celato da un atteggiamento di comprensione affettuosa e complice che finisce per soffocare in particolare Nihal, mentre gli scontri dialettici con la sorella avvengono a un livello paritario ma per lui meno coinvolgente. I rimandi a Shakespeare (Otello, che è anche il nome dell'albergo) e soprattutto Cechov, amatissimo da Ceylon, sono evidenti e dichiarati; ciò on toglie che il film dica molto sulla complessa situazione turca ma ha al contempo un respiro universale quando tratta delle relazioni tra famigliari (vedi anche la situazione degli affittuari morosi che si vedono sequestrare televisore e mobili), tra uomo e donna, del senso non univoco del "bene", come di quello dell'esistenza e del tempo che passa: ciò che Aydin deve ammettere a sé stesso, quando per acquietare le tensioni che si sono create si accinge a tornare a Istanbul per un po', è di non averne più l'energia, le motivazioni e la voglia, per cui rinuncia e accetta alla fine di essere arrivato alla vecchiaia, che cambia tutte le prospettive. E' questo il sonno d'inverno cui allude il titolo del film, più che l'ambiente naturale duro e raggelante che fa da sfondo.
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