"L'intrepido" di Gianni Amelio. Con Antonio Albanese, Antonio Albanese, Antonio Albanese, Antonio Albanese, Antonio Albanese, Livia Rossi, Alfonso Santagata, Gabriele Rendina, Bedi Moratti. Italia 2013 ★★-
Se il film avesse voluto limitarsi a essere una sorta di monografia su Antonio Albanese, nel personaggio che interpreta quando non da corpo a quelli che lo hanno reso celebre sul piccolo schermo e in teatro, ossia sé stesso, avrebbe avuto un senso e avrebbe raggiunto la sufficienza; invece non si capisce dove Amelio, che pure ammiro e che sol l'anno scorso ha girato uno splendido film come Il primo uomo, abbia voluto andare a parare e quale sia il significato di questa pellicola che suscita più di un dubbio. Più correttamente avrebbe dovuto intitolarsi "Il Fregoli del precariato nella Milano dell'Expo": Antonio Albanese è Antonio Pane, e come il pane è buono, oltre a essere gentile, onesto, ingenuo ma non stupido, un po' stralunato, e di mestiere fa il "rimpiazzo", ossia il precario all'ennesima potenza, sostituendo anche solo per poche ore, o una giornata intera chi, magari precario a sua volta, ha bisogno di assentarsi dal lavoro per un qualsiasi motivo, così una volta fa il muratore, poi il conducente di tram, il cuoco, il bibliotecario, il "pizza express", all'occorrenza il sarto e altro ancora in un tourbillon infinito. A gestire e incassare una percentuale da questo business delle sostituzioni, una specie di camorrista ottimamente interpretato da Alfonso Santagata, che dirige le operazioni da una sordida palestra con tanto di scuola di pugilato annessa. Siamo in una Milano perfettamente riconoscibile, che quasi è estranea a sé stessa, ossia com'è nella realtà al giorno d'oggi, e la storia di Antonio si svela man mano: è diplomato alle magistrali, ha un figlio, Ivo, alquanto nevrotico che adora, studia al Conservatorio, suona il sax contralto e vive con la madre che ha lasciato Antonio per mettersi con un tipico "imprenditore" brianzolo, maneggione, volgare, ignorante ma pieno di soldi: ogni tanto Ivo va a trovare il padre e lo aiuta economicamente all'occorrenza. Durante la prova di un concorso pubblico, Antonio conosce Lucia, un'altra giovane precaria che è paralizzata davanti al foglio dei quiz e lui le passa le risposte. La incontra nuovamente durante uno dei tanti lavori precari e cominciano a frequentarsi, finché non le succede qualcosa: forse si suicida, forse rimane vittima di un'incidente: Antonio non sa nulla di lei e non può dirci nulla, ma nemmeno Amelio si cura di informarci sui retroscena, su chi sia questa donna e che senso abbia nell'economia della storia. La pellicola procede con lentezza e senza un vero filo conduttore, Antonio si sgancia dal camorrista, ma per gentilezza sostituisce un suo amico, presumibilmente srilankese, nella vendita di rose tavolo a tavolo nei vari locali milanesi alla moda e finisce inevitabilmente per incocciare nella moglie, a cena col nuovo "ganzo", l'unico che glie ne compra tre. Senso di colpa della moglie, e il suo compagno gli offre di gestire un negozio di calzature ("con la cravatta, perché un uomo senza cravatta compra, con la cravatta, vende") in un quartiere fantasma dove non gira un cane, e chiaramente è una bufala, uno di quei negozi che servono chiaramente da schermo per altre attività o per ripulire denaro. Qualche tempo dopo ritroviamo Antonio, sempre retto, con una sua dignità e un forte senso morale in una miniera di carbone in Albania: per le legge del contrappasso. Non si capisce come e perché il figlio, Ivo, si trova a Tirana con il suo complesso per prendere parte a un festival Jazz e il padre, orgoglioso, fa un lungo viaggio per andare ad ascoltarlo, ma il ragazzo è vittima di una crisi di panico. Non si capisce come e perché, la supera e suona in modo memorabile. Antonio si allontana lungo un ponte che attraversa un fiume (a Tirana non ne esistono) e il film si chiude qui, sulle perplessità degli spettatori, così come era successo qualche sera fa alla proiezione per la stampa al Festival di Venezia. Che è sì una rassegna decaduta da tempo, ma pensare di vincerla con una pellicola così zoppicante è davvero una chimera. Nonostante la bravura di Albanese.
Se il film avesse voluto limitarsi a essere una sorta di monografia su Antonio Albanese, nel personaggio che interpreta quando non da corpo a quelli che lo hanno reso celebre sul piccolo schermo e in teatro, ossia sé stesso, avrebbe avuto un senso e avrebbe raggiunto la sufficienza; invece non si capisce dove Amelio, che pure ammiro e che sol l'anno scorso ha girato uno splendido film come Il primo uomo, abbia voluto andare a parare e quale sia il significato di questa pellicola che suscita più di un dubbio. Più correttamente avrebbe dovuto intitolarsi "Il Fregoli del precariato nella Milano dell'Expo": Antonio Albanese è Antonio Pane, e come il pane è buono, oltre a essere gentile, onesto, ingenuo ma non stupido, un po' stralunato, e di mestiere fa il "rimpiazzo", ossia il precario all'ennesima potenza, sostituendo anche solo per poche ore, o una giornata intera chi, magari precario a sua volta, ha bisogno di assentarsi dal lavoro per un qualsiasi motivo, così una volta fa il muratore, poi il conducente di tram, il cuoco, il bibliotecario, il "pizza express", all'occorrenza il sarto e altro ancora in un tourbillon infinito. A gestire e incassare una percentuale da questo business delle sostituzioni, una specie di camorrista ottimamente interpretato da Alfonso Santagata, che dirige le operazioni da una sordida palestra con tanto di scuola di pugilato annessa. Siamo in una Milano perfettamente riconoscibile, che quasi è estranea a sé stessa, ossia com'è nella realtà al giorno d'oggi, e la storia di Antonio si svela man mano: è diplomato alle magistrali, ha un figlio, Ivo, alquanto nevrotico che adora, studia al Conservatorio, suona il sax contralto e vive con la madre che ha lasciato Antonio per mettersi con un tipico "imprenditore" brianzolo, maneggione, volgare, ignorante ma pieno di soldi: ogni tanto Ivo va a trovare il padre e lo aiuta economicamente all'occorrenza. Durante la prova di un concorso pubblico, Antonio conosce Lucia, un'altra giovane precaria che è paralizzata davanti al foglio dei quiz e lui le passa le risposte. La incontra nuovamente durante uno dei tanti lavori precari e cominciano a frequentarsi, finché non le succede qualcosa: forse si suicida, forse rimane vittima di un'incidente: Antonio non sa nulla di lei e non può dirci nulla, ma nemmeno Amelio si cura di informarci sui retroscena, su chi sia questa donna e che senso abbia nell'economia della storia. La pellicola procede con lentezza e senza un vero filo conduttore, Antonio si sgancia dal camorrista, ma per gentilezza sostituisce un suo amico, presumibilmente srilankese, nella vendita di rose tavolo a tavolo nei vari locali milanesi alla moda e finisce inevitabilmente per incocciare nella moglie, a cena col nuovo "ganzo", l'unico che glie ne compra tre. Senso di colpa della moglie, e il suo compagno gli offre di gestire un negozio di calzature ("con la cravatta, perché un uomo senza cravatta compra, con la cravatta, vende") in un quartiere fantasma dove non gira un cane, e chiaramente è una bufala, uno di quei negozi che servono chiaramente da schermo per altre attività o per ripulire denaro. Qualche tempo dopo ritroviamo Antonio, sempre retto, con una sua dignità e un forte senso morale in una miniera di carbone in Albania: per le legge del contrappasso. Non si capisce come e perché il figlio, Ivo, si trova a Tirana con il suo complesso per prendere parte a un festival Jazz e il padre, orgoglioso, fa un lungo viaggio per andare ad ascoltarlo, ma il ragazzo è vittima di una crisi di panico. Non si capisce come e perché, la supera e suona in modo memorabile. Antonio si allontana lungo un ponte che attraversa un fiume (a Tirana non ne esistono) e il film si chiude qui, sulle perplessità degli spettatori, così come era successo qualche sera fa alla proiezione per la stampa al Festival di Venezia. Che è sì una rassegna decaduta da tempo, ma pensare di vincerla con una pellicola così zoppicante è davvero una chimera. Nonostante la bravura di Albanese.
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