"Rush" di Ron Howard. Con Daniel Brühl, Chris Hemsworth, Alexandra Maria Lara, Olivia White, Pierfrancesco Favino, Christian McKay, Olivia White, Alistair Petrie e altri. USA, GB, Germania, 2013 ★★★★½
Negli anni Settanta, epoca d'oro della Formula Uno, fenomeno pressoché esclusivamente europeo, l'entusiasmo per l'automobilismo era tale da suscitare la stessa passione del calcio, con tanto di vere e proprie migrazioni da un circuito all'altro dei suiveurs più fedeli, alcuni dei quali sacrificavano le ferie nel grand tour degli autodromi. Era fra aprile e la fine dell'estate che, sulle piste del Vecchio Continente, si svolgeva la maggior parte delle gare: spesso risultava decisivo il GP d'Italia che per tradizione si svolge a Monza la seconda domenica di settembre. Non nella stagione 1976, rimasta storica perché in bilico fino alla fine e caratterizzata dalla epica rivalità fra l'austriaco Niki Lauda, campione mondiale in carica, e l'inglese James Hunt, il quale gli tolse il titolo negli ultimi minuti dell'ultima gara, sul circuito del Fuji, in Giappone, in una giornata di pioggia fitta, sotto un cielo tetro: una corsa che si è svolta soltanto perché i diritti televisivi erano stati venduti in tutto il mondo per cifre enormi (oggi è la norma che le TV condizionino lo svolgimento di qualsiasi sport, allora la cosa suscitò perplessità e discussioni infinite), e questo al termine di un'annata ricca di incredibili colpi di scena. Ma non è il fatto agonistico il tema centrale del film, benché reso con estrema precisione, tanto che le immagini d'epoca che compaiono nella pellicola risultano quasi indistinguibili da quelle girate da Ron Howard (e anche la somiglianza dei due attori protagonisti coi due piloti è impressionante): il vero fulcro è il ritratto umano e caratteriale dei sue campioni, e la relazione ambivalente che si instaura tra due persone che per indole non potevano essere più diverse: playboy, impulsivo, stravagante, simpatico l'inglese; introverso, perfezionista fino alla maniacalità, calcolatore, razionale e non sempre gradevole l'austriaco. Avevano però in comune sia la passione, correre in automobile, sia il fatto di essere ripudiati dalle rispettive famiglie, entrambe benestanti, di cui erano i rampolli, per essersi dedicati anima e corpo all'automobilismo. La pellicola ricostruisce fedelmente la vicenda della rivalità tra i due, dalle piste di Formula Tre, dove cominciano a ingaggiare i primi duelli e starsi sulle scatole a vicenda, fino al passaggio in F1: Lauda per via di un prestito per cui si "comprò" un posto alla BRM, Hunt grazie a uno stravagante miliardario scozzese, Lord Hesketh, che mise in piedi una scuderia per conto suo. I due giovani talenti emergono presto e si fanno notare, Lauda passa alla Ferrari su raccomandazione del suo compagno di squadra Clay Regazzoni (qui interpretato dall'ottimo Pierfrancesco Favino), che rientrava alla corte del "Drake", e Hunt alla McLaren. Lauda vince il campionato del 1975 (a Monza, arrivando terzo: primo Regazzoni, il mio idolo: c'ero, alla "Parabolica") mentre l'anno dopo, sempre al GP d'Italia del 12 settembre (c'ero anche in quell'occasione) arriverà quarto, e fu portato in trionfo, tornando a gareggiare incredibilmente dopo soli 42 giorni, e contro il parere dei medici, dal terribile incidente del 1° agosto al Nürburgring, nel quale andò quasi arrosto e fu salvato dalle fiamme del nostro Arturo Merzario. Era ancora davanti di tre punti rispetto a Hunt in Giappone, nella gara decisiva che chiudeva la stagione: era il 24 ottobre ed era la prima volta che un Gran Premio di F1 si correva su suolo asiatico e Lauda, dopo un solo giro sotto la pioggia a dirotto e un cielo plumbeo, si ritirò: non cercò scuse "meccaniche" e ammise si aver avuto paura (anche al fatale Nürburgring pioveva e lui era contrario a rischiare inutilmente). Enzo Ferrari non gliela perdonò mai del tutto, Lauda smentì di essere un semplice computer, quale lo si accusava di essere, e Hunt si rese conto, dopo la corsa, di aver esagerato nello sfidarlo e si sentiva in colpa per averlo "costretto" a gareggiare in condizioni quasi impossibili anche in Germania, dove l'austriaco fu vittima dell'incidente che, oltre ai lineamenti del viso, gli valse l'assenza dai successivi due GP, il che consentì all'inglese di recuperare il distacco in classifica I due si rendono conto di essere complementari, uno l'insostituibile stimolo per l'altro, in un rapporto quasi simbiotico e alla fin fine si stimano e capiscono nonostante tutte le loro differenze, in una sorta di "vampirizzazione" reciproca in cui uno era necessario all'altro. Non solo l'epoca ma anche tanti episodi all'apparenza marginali sono ricostruiti con estrema precisione, e posso dirlo con cognizione di causa, perché seguivo con passione quel mondo e ho visto di persona parecchi dei personaggi citati, compresa Marlene Knaus, la moglie di Lauda, fatta "rivivere" dal suo clone, Alexandra Maria Lara. Mai mi sarei aspettato che un regista statunitense, che mai si è interessato all'automobilismo, e meno che mai a quello prettamente "europeo" della Formula Uno, completamente diverso da quello USA, sarebbe stato capace di confezionare un prodotto così potente, che non si può davvero definire soltanto un film "sportivo". E' il ritratto di due uomini, di un mondo, di un'epoca molto particolare, e chi l'ha vissuta la ritroverà. Eccezionali fotografia, ambientazione, impeccabile la sceneggiatura, bravissimi tutti gli interpreti. Uno dei migliori film visti quest'anno.
Negli anni Settanta, epoca d'oro della Formula Uno, fenomeno pressoché esclusivamente europeo, l'entusiasmo per l'automobilismo era tale da suscitare la stessa passione del calcio, con tanto di vere e proprie migrazioni da un circuito all'altro dei suiveurs più fedeli, alcuni dei quali sacrificavano le ferie nel grand tour degli autodromi. Era fra aprile e la fine dell'estate che, sulle piste del Vecchio Continente, si svolgeva la maggior parte delle gare: spesso risultava decisivo il GP d'Italia che per tradizione si svolge a Monza la seconda domenica di settembre. Non nella stagione 1976, rimasta storica perché in bilico fino alla fine e caratterizzata dalla epica rivalità fra l'austriaco Niki Lauda, campione mondiale in carica, e l'inglese James Hunt, il quale gli tolse il titolo negli ultimi minuti dell'ultima gara, sul circuito del Fuji, in Giappone, in una giornata di pioggia fitta, sotto un cielo tetro: una corsa che si è svolta soltanto perché i diritti televisivi erano stati venduti in tutto il mondo per cifre enormi (oggi è la norma che le TV condizionino lo svolgimento di qualsiasi sport, allora la cosa suscitò perplessità e discussioni infinite), e questo al termine di un'annata ricca di incredibili colpi di scena. Ma non è il fatto agonistico il tema centrale del film, benché reso con estrema precisione, tanto che le immagini d'epoca che compaiono nella pellicola risultano quasi indistinguibili da quelle girate da Ron Howard (e anche la somiglianza dei due attori protagonisti coi due piloti è impressionante): il vero fulcro è il ritratto umano e caratteriale dei sue campioni, e la relazione ambivalente che si instaura tra due persone che per indole non potevano essere più diverse: playboy, impulsivo, stravagante, simpatico l'inglese; introverso, perfezionista fino alla maniacalità, calcolatore, razionale e non sempre gradevole l'austriaco. Avevano però in comune sia la passione, correre in automobile, sia il fatto di essere ripudiati dalle rispettive famiglie, entrambe benestanti, di cui erano i rampolli, per essersi dedicati anima e corpo all'automobilismo. La pellicola ricostruisce fedelmente la vicenda della rivalità tra i due, dalle piste di Formula Tre, dove cominciano a ingaggiare i primi duelli e starsi sulle scatole a vicenda, fino al passaggio in F1: Lauda per via di un prestito per cui si "comprò" un posto alla BRM, Hunt grazie a uno stravagante miliardario scozzese, Lord Hesketh, che mise in piedi una scuderia per conto suo. I due giovani talenti emergono presto e si fanno notare, Lauda passa alla Ferrari su raccomandazione del suo compagno di squadra Clay Regazzoni (qui interpretato dall'ottimo Pierfrancesco Favino), che rientrava alla corte del "Drake", e Hunt alla McLaren. Lauda vince il campionato del 1975 (a Monza, arrivando terzo: primo Regazzoni, il mio idolo: c'ero, alla "Parabolica") mentre l'anno dopo, sempre al GP d'Italia del 12 settembre (c'ero anche in quell'occasione) arriverà quarto, e fu portato in trionfo, tornando a gareggiare incredibilmente dopo soli 42 giorni, e contro il parere dei medici, dal terribile incidente del 1° agosto al Nürburgring, nel quale andò quasi arrosto e fu salvato dalle fiamme del nostro Arturo Merzario. Era ancora davanti di tre punti rispetto a Hunt in Giappone, nella gara decisiva che chiudeva la stagione: era il 24 ottobre ed era la prima volta che un Gran Premio di F1 si correva su suolo asiatico e Lauda, dopo un solo giro sotto la pioggia a dirotto e un cielo plumbeo, si ritirò: non cercò scuse "meccaniche" e ammise si aver avuto paura (anche al fatale Nürburgring pioveva e lui era contrario a rischiare inutilmente). Enzo Ferrari non gliela perdonò mai del tutto, Lauda smentì di essere un semplice computer, quale lo si accusava di essere, e Hunt si rese conto, dopo la corsa, di aver esagerato nello sfidarlo e si sentiva in colpa per averlo "costretto" a gareggiare in condizioni quasi impossibili anche in Germania, dove l'austriaco fu vittima dell'incidente che, oltre ai lineamenti del viso, gli valse l'assenza dai successivi due GP, il che consentì all'inglese di recuperare il distacco in classifica I due si rendono conto di essere complementari, uno l'insostituibile stimolo per l'altro, in un rapporto quasi simbiotico e alla fin fine si stimano e capiscono nonostante tutte le loro differenze, in una sorta di "vampirizzazione" reciproca in cui uno era necessario all'altro. Non solo l'epoca ma anche tanti episodi all'apparenza marginali sono ricostruiti con estrema precisione, e posso dirlo con cognizione di causa, perché seguivo con passione quel mondo e ho visto di persona parecchi dei personaggi citati, compresa Marlene Knaus, la moglie di Lauda, fatta "rivivere" dal suo clone, Alexandra Maria Lara. Mai mi sarei aspettato che un regista statunitense, che mai si è interessato all'automobilismo, e meno che mai a quello prettamente "europeo" della Formula Uno, completamente diverso da quello USA, sarebbe stato capace di confezionare un prodotto così potente, che non si può davvero definire soltanto un film "sportivo". E' il ritratto di due uomini, di un mondo, di un'epoca molto particolare, e chi l'ha vissuta la ritroverà. Eccezionali fotografia, ambientazione, impeccabile la sceneggiatura, bravissimi tutti gli interpreti. Uno dei migliori film visti quest'anno.
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